
Com’è noto, la guerra in Ucraina non solo rappresenta una straordinaria occasione per testare sistemi d’arma in condizioni di combattimento reale, ma è anche il terreno da cui – proprio in base alle esperienza di combattimento – emergono nuove armi e, quindi, nuove tattiche.
Un elemento che ha prodotto significative novità è stato l’utilizzo di droni FPV, sia per l’osservazione ed il rilevamento, sia per l’attacco (in modalità kamikaze oppure usando armi di bordo), e da ultimo anche in versione drone anti-drone, per l’intercettazione in volo dei velivoli nemici.
Questo nuovo elemento, caratterizzato dal basso costo e dall’elevata flessibilità operativa, si è immediatamente riflesso sul comportamento tattico-operativo delle forze sul campo, per un verso limitando l’operatività dei mezzi corazzati, soprattutto di quelli leggeri, particolarmente esposti a questo genere di attacco [1], e per un altro rendendo più insicuro sia il movimento che l’acquartieramento delle fanterie [2]. Come risultato, entrambe gli eserciti hanno ridotto molto i movimenti di grandi unità , mentre l’uso dei carri armati è a sua volta passato all’appoggio ravvicinato alle piccole unità di fanteria.
Durante la prima fase dei combattimenti, questi droni – esattamente come quelli di uso civile, dai quali sono derivati – utilizzavano radio-comandi per il controllo da parte dell’operatore; questo però li esponeva alle contromisure elettroniche dei jammer nemici, riducendone progressivamente l’incisività . Il passo successivo è stato quindi l’avvento di FPV a fibra ottica; il drone è collegato all’operatore da un sottilissimo cavo in fibra, che si srotola man mano che il drone si allontana dal punto di lancio. Questo ovviamente pone dei limiti fisici al raggio d’azione dei droni stessi, ma ciò è largamente compensato dall’immunità rispetto al jamming.
In ogni caso, anche questa nuova modalità di controllo resta legata alla (relativa) vicinanza dell’operatore, che in genere si trova infatti a ridosso della linea di contatto.
In questa fase, si sono quindi sviluppati i droni anti-drone [3], per sopperire alla ridotta efficacia delle contromisure elettroniche, così come nuove tattiche di utilizzo. Gli operatori russi, ad esempio, oltre alla tattica abituale di volare in cerca di un obiettivo, hanno cominciato ad usare i droni per tendere imboscate: il velivolo viene fatto poggiare a terra, in prossimità di una strada o di una via di transito per i mezzi nemici, in attesa che passi un obiettivo appetibile; a quel punto il drone decolla e colpisce.

Sempre da parte russa è ora emersa una novità significativa, destinata a cambiare ancora una volta lo scenario. Il nuovo drone Ovod, infatti, presenta una caratteristica del tutto nuova: il controllo del velivolo non avviene più tramite un operatore collocato all’altro capo del cavo in fibra ottica, ma può essere pilotato da remoto. Nel primo utilizzo operativo, ad esempio, gli Ovod erano controllati da operatori che si trovavano in un centro comando a Mosca, a più di mille km dal fronte. L’apparizione di questa ultima generazione di droni FPV, evidentemente, comporta tutta una serie di ricadute altamente rilevanti. Innanzitutto, spostando il pilotaggio molto lontano dalla linea di fuoco, sottrae gli operatori ai rischi connessi ad una zona di combattimento; a sua volta, ciò comporta che in prospettiva il numero di operatori addestrati si incrementerà , senza essere soggetto a perdite che ne contengono il numero, e pertanto sarà possibile aumentare anche il numero dei droni impiegati. La creazione di centrali operative remote consentirà inoltre di impiegare lo stesso gruppo di controllori nel settore del fronte dove è più necessario, senza doverli spostare fisicamente, così come di concentrare massicciamente l’utilizzo dei droni, qualora se ne richieda l’impiego. Anche il coordinamento tra più fronti diventerà più agevole. Ciò fornirà un vantaggio operativo a chi riuscirà ad implementare per primo, ed in modo massivo, questa nuova modalità di utilizzo.
Va sottolineato, infine, come sinora prevalga nettamente un uso guidato dei droni da combattimento, mentre non si hanno notizie di un uso significativo di droni a guida autonoma (che utilizzano l’AI per cercare, identificare e colpire i bersagli), né tantomeno l’uso di grandi sciami (che a loro volta necessitano dell’AI).
Vedremo nel prossimo futuro se ci saranno o meno evoluzioni in questa direzione (che è sicuramente allo studio in Cina).
1 – Per proteggere i corazzati e le artiglierie semoventi dagli attacchi, sono state sviluppate – dapprima a livello artigianale, poi in modo più pianificato – delle reti e delle gabbie di protezione, con lo scopo di allontanare il punto d’impatto dalla corazzatura vera e propria, soprattutto in prossimità dei punti deboli.
2 – L’estrema flessibilità dei droni FPV ne ha reso possibile anche l’utilizzo per attacchi all’interno delle trincee nemiche, laddove ambienti chiusi ne esaltano l’impatto esplosivo.
3 – In alcuni casi si tratta di droni kamikaze, che colpiscono direttamente il drone-bersaglio; in altri, sono armati di un fucile a canna corta, in grado di sparare sull’obiettivo a distanza ravvicinata.