SENTENZA STORICA DELLA CORTE CONTRO LA VON DER LEYEN NEL PROCESSO PFIZERGATE

DiOld Hunter

14 Maggio 2025
La Corte di giustizia dell’UE annulla la decisione della Commissione europea di rifiutare la divulgazione dei messaggi di testo tra la von der Leyen e il CEO di Pfizer Albert Bourla

di Thomas Fazi per thomasfazi.com     –     Traduzione a cura di Old Hunter

La presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen e l’istituzione che rappresenta hanno appena subito la prima battuta d’arresto legale nello scandalo in corso del “Pfizergate”.

Oggi, il Tribunale dell’UE, parte della Corte di giustizia dell’UE, la corte suprema del blocco, ha annullato la decisione della Commissione europea di negare al New York Times l’accesso ai messaggi di testo tra von der Leyen e l’amministratore delegato di Pfizer Albert Bourla, in cui la Presidente della Commissione ha negoziato da sola l’acquisto di un massimo di 1,8 miliardi di dosi del vaccino Pfizer-BioNTech per un costo sbalorditivo di 35 miliardi di euro, il più grande contratto di vaccinazione mai firmato da Bruxelles. Secondo un’analisi, il prezzo per dose concordato era 15 volte superiore al costo di produzione, il che significa che l’UE ha pagato i vaccini in eccesso di decine di miliardi di euro.

Quando il New York Times , che per primo ha dato la notizia nel 2021, ha richiesto i messaggi ai sensi delle norme UE sulla trasparenza, la Commissione ha rifiutato, sostenendo di non esserne in possesso e che i testi, a causa della loro “natura effimera e di breve durata”, non erano soggetti ai suoi obblighi di conservazione degli archivi. La Commissione ha inoltre respinto richieste simili da parte del Mediatore europeo e della Corte dei conti europea. Nel gennaio 2023, il quotidiano ha intentato causa contro la Commissione, sostenendo che il rifiuto violava il diritto UE in materia di accesso del pubblico ai documenti ufficiali, indipendentemente dal formato.

Oggi, la Corte di Giustizia si è pronunciata a favore del quotidiano e ha decisamente respinto la posizione della Commissione. La Corte ha stabilito che la Commissione “non ha fornito una spiegazione plausibile per giustificare il mancato possesso dei documenti richiesti”. Ha sottolineato che la Commissione non poteva semplicemente affermare di non essere in possesso dei messaggi senza fornire prove credibili che ne spiegassero la mancata disponibilità.

Ha inoltre sostenuto che l’argomentazione della Commissione secondo cui i messaggi di testo scambiati nel contesto di un accordo multimiliardario erano considerati “non contenenti informazioni importanti o informazioni che comportano un follow-up la cui conservazione deve essere garantita” è palesemente assurda. La Corte ha inoltre osservato che il New York Times aveva fornito “prove pertinenti e coerenti” a conferma dell’esistenza dei messaggi di testo, comprese le dichiarazioni dello stesso Bourla sul loro ruolo nei negoziati sul vaccino. In effetti, è stata criticata anche la mancanza di chiarezza da parte della Commissione sulla eventuale cancellazione dei messaggi. In particolare, dopo anni di ambiguità anche solo sull’esistenza dei messaggi, i legali della Commissione li hanno riconosciuti solo lo scorso novembre.

Con una mossa significativa, la Corte ha ordinato alla Commissione di pagare le spese legali del New York Times, sottolineando la gravità del mancato rispetto degli obblighi di trasparenza da parte del dirigente. La Commissione deve ora decidere se presentare ricorso contro la sentenza o ottemperarvi fornendo i messaggi, oppure affrontare ulteriori interrogatori sulla loro presunta “cancellazione”.

Qualunque sia la linea d’azione intrapresa dalla Commissione, e indipendentemente da come si svilupperà il caso in tribunale, questa sentenza infligge un duro colpo alla posizione della von der Leyen presso l’opinione pubblica, dove il “Pfizergate” è diventato l’emblema della palese mancanza di responsabilità e trasparenza della massima istituzione dell’UE, nonché, più in generale, del carattere profondamente opaco e antidemocratico dell’Unione. La sentenza è particolarmente eclatante in quanto proviene dalla Corte di giustizia europea, un’istituzione tradizionalmente considerata fermamente filo-europea e tipicamente riluttante a emettere sentenze che potrebbero minare l’autorità degli organi sovranazionali dell’Unione. In questo caso, tuttavia, le violazioni della Commissione sembrano essere state semplicemente troppo palesi per essere ignorate.

La sentenza giunge inoltre in un contesto di crescenti critiche, persino da parte di leader e funzionari dell’UE, al comportamento centralizzatore e autoritario della von der Leyen. Negli ultimi anni, la Commissione ha ampliato la portata della sua azione esecutiva praticamente in ogni campo, compresi molti che in precedenza erano di esclusiva competenza degli Stati membri dell’UE e sui quali la Commissione non ha alcuna competenza formale: dalla politica fiscale e monetaria alla sanità pubblica, dalla politica estera alle questioni di difesa e sicurezza. E sotto la von der Leyen, questi poteri si sono espansi a un livello senza precedenti, portando a una concezione del potere esecutivo quasi “in stile presidenziale statunitense”, come ha scritto Politico, e facendo guadagnare alla von der Leyen il soprannome di “Regina Ursula” a Bruxelles.

La pressione su von der Leyen sta aumentando anche al di là di questa sentenza. La Procura pubblica europea, incaricata di indagare sui gravi reati finanziari commessi contro gli interessi finanziari dell’UE, ha confermato di aver avviato un’indagine sulla Commissione in merito alla sua gestione degli appalti di vaccini.

Il regno della regina non è minacciato nell’immediato, ma gli eserciti si stanno radunando all’orizzonte.

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