La designazione di aree sicure a Gaza consente all’esercito israeliano di compiere crimini di guerra in modo più efficiente, e poi di negarli.

Fonte: Al Jazeera. Articolo di Nicola Perugini (6 gennaio 2024)

“Questa evacuazione è per la vostra sicurezza”, ha dichiarato l’esercito israeliano il 13 ottobre, quando ha ordinato a 1,1 milioni di palestinesi nel nord di Gaza di lasciare le loro case. Migliaia di persone hanno ascoltato l’avviso e si sono dirette a sud, per essere poi bombardate lungo la strada e all’arrivo.

L’ordine di evacuazione di massa è stato solo il primo di una serie di annunci e dispositivi legali sviluppati dall’esercito israeliano e dal suo team legale al fine di organizzare la violenza contro la popolazione palestinese e avvolgerla in una narrazione annebbiata da precauzioni consone al diritto internazionale umanitario.

I micidiali “sforzi umanitari” di Israele

A novembre, poco dopo aver lanciato la sua offensiva di terra, l’esercito israeliano ha designato la principale rotta nord-sud di Gaza – Salah al-Din Street – come “corridoio sicuro“. Una mappa con il passaggio per l’evacuazione è stata condivisa dalle forze di occupazione, che hanno sottolineato il loro “sforzo umanitario” per proteggere i civili. Ma da allora, la principale arteria stradale di Gaza è diventata un corridoio dell’orrore dove i palestinesi sono stati bombardati a caso, giustiziati, fatti sparire con la forza, torturati e umiliati. Nel frattempo, l’esercito israeliano ha continuato a bombardare il territorio a sud di Wadi Gaza, che pure aveva ripetutamente dichiarato “zona sicura” dove i palestinesi del nord avrebbero potuto cercare rifugio.

Quando, alla fine di novembre, il bilancio delle vittime della guerra aveva raggiunto i 15.000 palestinesi, molti dei quali civili uccisi nelle “zone sicure”, l’amministrazione degli Stati Uniti ha cercato di nascondere il proprio sostegno all’attacco indiscriminato dei civili da parte di Israele con la richiesta cosmetica di “espandere” le cosiddette aree sicure. L’esercito israeliano ha quindi risposto, introducendo un nuovo “strumento umanitario”: il sistema di griglia di evacuazione. Ha pubblicato sui social media una mappa a griglia che divideva la Striscia di Gaza in 600 isolati indicando quali aree dovevano essere “evacuate” e quali erano “sicure”.

Invece di incrementare le aree di sicurezza per i civili, questo sistema – dispiegato mentre l’esercito israeliano tagliava fuori Gaza da ogni forma di comunicazione – ha incrementato il livello di caos e morte. Aree precedentemente designate come sicure (ad esempio Khan Younis e Rafah) sono state trasformate in campi di battaglia urbani. Di conseguenza, Israele ha ordinato ai civili palestinesi che si trovavano in queste aree di andarsene di nuovo, verso nuove zone sicure. Ma le aree in cui il sistema di evacuazione ha indicato ai palestinesi di fuggire sono state immediatamente prese di mira dall’esercito israeliano.

A dicembre, un’inchiesta del New York Times ha rivelato che durante il primo mese e mezzo di guerra, Israele “ha usato abitualmente una delle sue bombe più grandi e distruttive in aree designate come sicure per i civili”. Le bombe da 2.000 libbre di fabbricazione statunitense sganciate nelle zone sicure rappresentavano “una minaccia pervasiva per i civili in cerca di sicurezza nel sud di Gaza”. Tuttavia, l’amministrazione Biden ha ripetutamente elogiato Israele per i suoi “sforzi” finalizzati alla protezione dei civili.

Organizzare la violenza genocida

Secondo il diritto internazionale, sia nelle Convenzioni di Ginevra che nei Protocolli aggiuntivi, le zone sicure devono essere riconosciute in un accordo tra le parti in lotta. Tuttavia, nei conflitti, ciò accade raramente e le zone sicure – con i dispositivi giuridici ad esse associate – possono diventare strumenti per l’organizzazione della violenza. La concentrazione di civili inermi in aree designate e delimitate su una mappa come protette può essere utilizzata e sfruttata dagli attori sul campo di battaglia per gestire e dirigere il loro uso della forza letale.

Questo è stato il caso della Bosnia, con la famigerata “zona sicura” di Srebrenica. L’area era stata istituita dalle Nazioni Unite nel 1993 per proteggere i musulmani bosniaci sotto attacco, ma il disarmo della zona sicura l’ha trasformata in facile preda delle forze serbe. Prima hanno ostacolato la consegna di aiuti umanitari nell’area e poi hanno radunato e massacrato migliaia di civili musulmani. Le aree sicure sono diventate letali anche nel caso dello Sri Lanka, dove il governo ha imposto la creazione di zone di sicurezza tamil in cui ha ucciso migliaia di civili, incolpando le Tigri Tamil di aver presumibilmente usato i rifugiati concentrati nelle zone sicure come “scudi umani”.

Allo stesso modo, a Gaza, Israele sta prescrivendo unilateralmente cosa e dove “è sicuro” per i civili palestinesi. In tal modo, sta utilizzando il discorso della sicurezza e le tecnologie legali ad esso associate – allarmi, zone sicure, corridoi sicuri, griglie di evacuazione – come strumento letale per attuare la pulizia etnica di diverse aree del territorio designate come sicure/non sicure. Le aree o parti dei territori definiti sicuri servono a concentrare la popolazione sfollata e a gestire meglio le operazioni militari e l’uccisione di civili. Come dice un efficace titolo della Reuters: “Israele ordina agli abitanti di Gaza di fuggire, bombarda dove li manda”.

In altre parole, mettendo sotto ordine di evacuazione e spopolando vaste aree del territorio di Gaza, Israele ha concentrato la popolazione etnicamente pulita in zone sempre più ristrette che prende di mira immediatamente dopo aver designato quelle aree come “sicure”. Ciò dimostra un chiaro intento di liquidare i civili palestinesi dopo averli sfollati, e può diventare uno strumento per rendere più efficiente lo sterminio. In aree sovrappopolate come Rafah, con una densità di popolazione estremamente elevata a causa dell’afflusso di sfollati dal nord e dal centro di Gaza, un singolo attacco può uccidere un gran numero di persone contemporaneamente.

Oltre a servire un chiaro scopo militare, questa appropriazione necropolitica del dovere umanitario di avvertire e creare spazi sicuri per i civili fa anche parte della strategia legale di Israele per difendersi dall’accusa di aver commesso crimini di guerra e crimini contro l’umanità. Con la recente richiesta di genocidio presentata alla Corte Internazionale di Giustizia dalla Repubblica del Sudafrica, che accusa Israele di atti “intesi a provocare la distruzione di una parte sostanziale del gruppo nazionale, razziale ed etnico palestinese”, cresce per il governo israeliano l’urgenza di cercare di presentarsi come rispettoso del diritto internazionale.

Israele ha sempre cercato di dare una parvenza di legalità ai suoi 75 anni di pulizia etnica e di espropriazione. Ma questa volta la forza genocida di annientamento che ha scatenato – mettendo 2,3 milioni di persone a rischio concreto di morte – ha raggiunto una scala senza precedenti, e il discorso legale di Israele sulla sicurezza non può camuffare il suo completo disprezzo per lo status civile della popolazione di Gaza.

Nicola Perugini è Senior Lecturer in Relazioni Internazionali presso l’Università di Edimburgo. Co-autore di “The Human Right to Dominate” (OUP 2015) e “Human Shields. A History of People in the Line of Fire” (2020).

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Un pensiero su “ZONE SICURE: LE TECNOLOGIE ISRAELIANE DEL GENOCIDIO”
  1. Le notizie sul sul genocidio del popolo Palestinese ad opera di Israele vanno diffuse quanto più possibile

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