La antena, un film sul potere, la manipolazione, la suggestione. Un’opera visionaria che gioca col dramma e col grottesco, capace di raccontarci qualcosa di molto attuale.

Raccontare il potere suggestionante e manipolativo dei media lo si può certo fare in molti modi. Si può ad esempio immaginare un mondo distopico dove tale potere viene portato vicino al suo culmine, dove la popolazione sembra quasi inerte e rassegnata davanti a tale potere. Queste distopie sono quasi sempre immaginate come mondi futuri. Anche se ormai bisogna ammettere con franchezza che tale futuro è quasi divenuto il presente.

Noi qui invece oggi vogliamo trarre spunto da un film che rappresenta un che di unico forse nel panorama cinematografico riguardo al tema appena evidenziato. Si tratta de La antena, opera del regista argentino Esteban Sapir, che torna ora disponibile sulla piattaforma Mubi dopo diversi anni. Non solamente la storia sembra ambientata in una grande città degli anni ’20, ma lo stile stesso del film è un chiaro richiamo al cinema muto di quel periodo, a quello sovietico di Eisenstein e Vertov, all’espressionismo tedesco di Lang, Murnau, solo per fare gli esempi più noti.

Gli abitanti di una città senza nome hanno perduto la voce, ma sembrano non darvi più peso. Comunicano in altri modi. Una sola persona è rimasta con la capacità di parlare: è denominata La Voce. È una cantante, di cui non vediamo il volto, che si esibisce per l’emittente del Signor TV, unica rete trasmessa in città. La Voce ha un figlio cieco, Tomás, anch’egli ha misteriosamente conservato lo stesso dono della madre, ma nessuno lo deve sapere; e nessuno lo sa. Il Signor TV ha sotto il suo potere l’intera città, ma come sempre, il potere chiama altro potere. Egli vuole togliere alle persone anche l’ultimo spiraglio di libertà: le parole. Così il suo dominio sarà assoluto. Ma per fare questo deve rapire La Voce per compiere un esperimento su di lei. C’è poi Ana, una bambina che abita di fronte a Tomás, insieme a sua madre, un’infermiera dell’ospedale. I suoi sono separati e suo padre lavora con il nonno come riparatore di televisori per il Signor TV. Saranno proprio loro a scoprire il malvagio piano e a tentare di sventarlo. Sarà il finale amaro, tragico o luminoso? Noi qui non lo sveleremo.

«Ci hanno rubato la voce ma abbiamo ancora le parole», dice il nonno di Ana. E il potere ultimo, grande, lo hanno proprio le parole. Perché le parole sono prima ancora pensiero. E il pensiero è ordine capace di confrontarsi con l’ordine inscritto nella Creazione. Logos appunto, che è pensiero, ma anche colloquio, scambio di Vita.

Noi ci siamo allontanati dal vero significato del linguaggio. Esso è semplice convenzione, mentre esso è evocazione di realtà superiori. Il linguaggio nella sua natura più cristallina è poesia; poesia ispirata. Perché dunque stupirsi se il linguaggio nei secoli si è via via fatto sempre più “mercantile”, come mercantile è divenuta tutta la nostra società? Del resto l’inglese non è forse la lingua “commerciale” per eccellenza? E si è impoverito restando solo il suo senso più elementare e univoco. La polisemia e il simbolismo sembrano espressioni di un’epoca che fu. Il linguaggio si è ridotto a slogan, la cui violenza noi sottovalutiamo sempre troppo. E alfine è divenuto chiaro strumento di manipolazione. Non poteva che essere altrimenti.

Ecco che allora, questo film “quasi muto” ci fa sovvenire che non basta la voce, dobbiamo tornare alle parole, a riscoprirne il senso e la forza in esse contenuta, ma non più sprigionata. Perché tutta la vita è linguaggio che ci comunica continuamente i suoi segreti. E noi dobbiamo tornare a ricercarli, smettendo di accontentarci delle piccole verità di superficie.

Stilisticamente invece La antena è un susseguirsi di trovate visive, grafiche, forse anche al limite del kitsch e del grottesco. Il comico e il bizzarro si alternano al drammatico lasciando all’opera comunque un senso di unità formale. Gli scenari, le inquadrature e la recitazione ricreano un mondo che certo rimanda a quello di un secolo addietro, ma allo stesso tempo ci sospinge in un mondo “totalmente altro”, immaginario, eppure verosimile, reale. Proprio questo aspetto ci dà lo stimolo per un’ultima riflessione.

Sempre il nonno di Ana mostra al figlio un disegno di sua madre in cui c’era scritto «L’immaginazione ha salvato gli uomini». Noi crediamo sempre di poter ostacolare un potere corrotto e malvagio, delle ideologie insensate, contrapponendovi contenuti di senso contrario, utilizzando però lo stesso linguaggio, o meglio la stessa “idea di linguaggio”. Quella per intenderci a cui abbiamo accennato prima, che è un’idea solo e soltanto moderna, dove con “moderna” ci riferiamo all’era in cui viviamo e che è iniziata alcuni secoli fa. Si rimane dentro la stessa cornice del “nemico”. Il nostro occhio vede e intende solo il contenuto, ma dimentica sempre la forma. Non sappiamo il più delle volte nemmeno cosa dire riguardo alla forma. Eppure è proprio la forma che qualifica il contenuto e gli conferisce il suo vero e profondo senso. E così il nostro messaggio risulta sempre povero, monodimensionale, spuntato. Perché non scava alla ricerca della Verità profonda, che è molto oltre la ragione. Continuando ad operare in tale maniera nulla potrà mai veramente cambiare, perché ad essere “infetto” non è solo qualche contenuto, ma tutto il terreno su cui crescono i vari contenuti. Bisogna allora curare il terreno. Dobbiamo curaci quindi anche noi. Ma per farlo dobbiamo prima di tutto recuperare la capacità di immaginare una cornice diversa, delle forme diverse. Stiamo sbiadendo perché non abbiamo più vera immaginazione, perché non abbiamo più quasi parole, ma solo una ruvida voce.

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