di Jonathan Cook per The Unz Review – traduzione a cura di Old Hunter
La sentenza legale del più alto tribunale mondiale obbliga gli stati occidentali non solo a porre fine alla persecuzione del movimento di boicottaggio, ma anche a far propria quella causa.
Non fatevi ingannare. La sentenza della Corte Internazionale di Giustizia (ICJ) del 19 luglio secondo cui l’occupazione israeliana della Palestina è illegale è sconvolgente. Israele è uno stato canaglia, secondo la corte suprema del mondo. Per questo motivo, la sentenza verrà accuratamente ignorata dalla cricca degli stati occidentali e dai loro media che per decenni hanno così efficacemente coperto Israele. Gli scettici devono solo guardare l’accoglienza che il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu riceverà durante la sua visita negli Stati Uniti questa settimana [il 24 luglio, ndt]. Sebbene sia attualmente perseguito per crimini di guerra dal procuratore capo della Corte penale internazionale, il Congresso degli Stati Uniti lo accoglierà come un eroe quando mercoledì parlerà ai suoi rappresentanti. Le calorose strette di mano e le standing ovation ricorderanno che Netanyahu ha avuto il pieno appoggio delle potenze occidentali durante il massacro durato nove mesi di almeno 16.000 bambini palestinesi a Gaza, con altri 21.000 dispersi, la maggior parte dei quali sotto le macerie. L’accoglienza servirà a ricordare che le capitali occidentali sono pienamente d’accordo con lo smantellamento di Gaza da parte di Israele e con la fame della sua popolazione, in quello che la stessa corte ha concluso a gennaio essere come un “plausibile genocidio“. E sarà come un potente schiaffo in faccia a coloro che, come la Corte mondiale, si impegnano a rispettare il diritto internazionale, ricordando loro che l’Occidente e il suo Stato cliente più favorito credono di essere intoccabili. I politici e gli editorialisti occidentali continueranno a sottolineare che la Corte internazionale di giustizia non offre altro che un “parere consultivo” e che questo non è “vincolante”.
Ciò che non vogliono evidenziare è che questa opinione è il punto di vista collettivo dei più eminenti giudici di diritto internazionale del mondo, le persone più adatte a pronunciarsi sulla legalità dell’occupazione. E non è vincolante solo perché le potenze occidentali che controllano i nostri organismi internazionali non intendono fare nulla per rendere concreta una decisione che non è di loro gradimento. Ciononostante, la sentenza avrà conseguenze drammatiche per Israele e per i suoi sostenitori occidentali, anche se ci vorranno mesi, anni o addirittura decenni per manifestarsi.
L’avvertimento “top secret”
La sentenza della scorsa settimana è separata dal caso accettato a gennaio dalla Corte internazionale di giustizia che ha messo Israele sotto processo per genocidio a Gaza. Una decisione su tale questione potrebbe essere lontana ancora molti mesi. L’attuale sentenza stata emessa in risposta alla richiesta dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, a dicembre del 2022, di un parere sulla legalità dell’occupazione israeliana che dura da 57 anni. Potrebbe sembrare una riflessione più banale di quella sul genocidio, ma le implicazioni finali saranno probabilmente altrettanto profonde. Chi non ha familiarità col diritto internazionale potrebbe sottovalutare l’importanza della sentenza della Corte internazionale di giustizia, anche solo perché aveva già dato per scontato che l’occupazione fosse illegale. Ma non è così che funziona il diritto internazionale. L’occupazione da parte di un Paese belligerante è consentita fintanto che soddisfa due condizioni. In primo luogo, deve essere strettamente militare, concepita per proteggere la sicurezza dello Stato occupante e salvaguardare i diritti della popolazione occupata. In secondo luogo, deve trattarsi di una misura temporanea, mentre si svolgono i negoziati per ripristinare il governo civile e consentire l’autodeterminazione della popolazione occupata. Incredibilmente, ci sono voluti 57 anni prima che la corte suprema mondiale giungesse a una conclusione che avrebbe dovuto essere evidente per chiunque, e a lei per prima. La natura militare dell’occupazione fu praticamente sovvertita quasi dal momento stesso in cui Israele occupò i territori palestinesi nel giugno 1967. Nel giro di pochi mesi, Israele decise di trasferire civili ebrei – per lo più nazionalisti religiosi estremisti – nei territori palestinesi occupati per contribuire alla loro colonizzazione. Israele sapeva che si trattava di una grave violazione del diritto internazionale perché il suo stesso consulente legale lo aveva messo in guardia in un promemoria “top secret” scoperto dal giornalista israeliano Gershom Gorenberg circa vent’anni fa. In una dichiarazione che approfondisce il ragionamento della Corte internazionale di giustizia, il presidente della Corte Nawaf Salam ha fatto specifico riferimento agli avvertimenti di Theodor Meron, che all’epoca era l’esperto legale del Ministero degli esteri israeliano. Nel settembre del 1967, il suo promemoria metteva in guardia sul fatto che qualsiasi decisione di stabilire insediamenti civili nei territori palestinesi occupati “contravveniva alle esplicite disposizioni della Quarta Convenzione di Ginevra”. Tali disposizioni, aggiungeva, erano “mirate a prevenire ogni colonizzazione”. Nove giorni dopo, il governo israeliano calpestò il promemoria di Meron e aiutò un gruppo di giovani israeliani a fondare il primo insediamento a Kfar Etzion.
Falsa pacificazione
Attualmente, centinaia di insediamenti illegali, molti dei quali ospitano vere e proprie milizie armate, controllano più della metà della Cisgiordania e gran parte di Gerusalemme Est. Invece di proteggere i diritti dei palestinesi sotto occupazione, come esige il diritto internazionale, l’esercito israeliano aiuta i coloni ebrei a praticare il terrore sui palestinesi. L’obiettivo è quello di cacciarli via dalla loro terra. Nelle parole del governo israeliano, gli insediamenti sono lì per “giudaizzare” il territorio palestinese. Nelle parole di tutti gli altri, sono lì per ripulire etnicamente dalla popolazione palestinese. Il che ci porta alla seconda violazione delle leggi di occupazione da parte di Israele. Trasferire centinaia di migliaia di coloni nei territori occupati ha intenzionalmente bloccato ogni possibilità di creazione di uno stato palestinese. Gli insediamenti non erano insediamenti provvisori. Alcuni si svilupparono presto in piccole città, come Ariel e Maale Adumim, con centri commerciali, parchi, piscine pubbliche, sinagoghe, fabbriche, biblioteche, scuole e college. Non c’era nulla di “temporaneo” in tutto questo. Erano lì per annettere gradualmente il territorio palestinese sotto la copertura di un’occupazione che Washington e i suoi alleati europei avevano tramato facendo finta fosse temporanea. L’intero processo di Oslo, avviato nei primi anni Novanta, fu solo un’espediente truffaldino, ovvero una “Versailles palestinese”, come avvertì all’epoca lo studioso palestinese Edward Said . Israele non ha mai preso sul serio l’idea di concedere ai palestinesi uno stato a tutti gli effetti, un fatto che l’allora primo ministro israeliano Yitzhak Rabin ammise poco prima di essere ucciso da un colono di estrema destra nel 1995. La farsa della pace di Oslo era concepita per dare più tempo a Israele per espandere gli insediamenti, vincolando al contempo i palestinesi a infiniti obblighi contrattuali mai ricambiati da Israele. Nella sua risposta indignata alla decisione della corte la scorsa settimana, Netanyahu ha svelato il gioco quando ha dichiarato: “Il popolo ebraico non è un occupante sulla propria terra, inclusa la nostra capitale eterna Gerusalemme, e neppure in Giudea e in Samaria [la Cisgiordania], la nostra patria storica”. In Israele la sua è una visione bipartisan. Tutti i partiti ebraici nel parlamento israeliano hanno la stessa posizione. La settimana scorsa hanno votato per respingere ogni possibilità di creare uno stato palestinese, sostenendo che sarebbe una “minaccia esistenziale” per Israele. Solo una manciata di legislatori, tutti appartenenti alla minoranza palestinese di Israele, hanno espresso il loro dissenso.
Il regime dell’apartheid
La sentenza della Corte internazionale di giustizia è particolarmente significativa in quanto smantella una volta per tutte la storia della copertura degli stati occidentali a favore di Israele. I giudici sottolineano che l’occupazione permanente dei territori da parte di Israele e il trasferimento di coloni ebrei al loro interno hanno reso necessario lo sviluppo di due sistemi legislativi separati e distinti. Uno è per i coloni ebrei, che sancisce per loro i diritti di cui godono gli israeliani. I palestinesi, al contrario, devono sottomettersi ai capricci di un regime militare straniero e belligerante. Esiste una parola per definire questo tipo di accordo: l’apartheid. Nell’ultimo decennio, nella comunità mondiale per i diritti umani (da Amnesty International a Human Rights Watch) si era già delineato un consenso sul fatto che Israele fosse uno Stato di apartheid. Ora il massimo organo giudiziario del mondo ha dichiarato di essere concorde. L’apartheid è un crimine contro l’umanità. Ciò significa che i dirigenti israeliani sono dei criminali di guerra, a prescindere dai crimini che stanno attualmente commettendo a Gaza. Ecco perché i media israeliani hanno parlato di panico all’interno del governo israeliano in seguito alla sentenza della Corte internazionale di giustizia. I dirigenti temono che ciò non lascerà altra scelta alla Corte penale internazionale, la corte gemella, se non quella di emettere mandati di arresto contro Netanyahu e il suo ministro della Difesa, Yoav Gallant, come già richiesto dal procuratore capo. È probabile che ciò rafforzi la determinazione della CPI a perseguire i dirigenti di alto rango israeliani per crimini associati al programma di insediamento degli israeliani. Un ex funzionario del ministero degli Esteri israeliano ha dichiarato al quotidiano Haaretz che la sentenza della Corte internazionale di giustizia ha indebolito la pretesa di Israele di essere uno Stato di stampo occidentale: “L’alone di essere una democrazia non ci protegge più come ha fatto finora”.
Atti di aggressione
La Corte internazionale di giustizia ha concluso che il regime di apartheid imposto da Israele ai palestinesi, nonché le politiche di pulizia etnica attuate dalle milizie dei coloni, sono atti di aggressione. La definizione occidentale di un “conflitto” tra Israele e i palestinesi, con gli sforzi per risolvere questa “disputa”, è volutamente ingannevole. Anche la rappresentazione della furia di Israele a Gaza come una “guerra contro Hamas” è una menzogna, secondo questa sentenza. La Corte internazionale di giustizia ha di fatto ridicolizzato l’affermazione di Israele e dei suoi alleati occidentali secondo cui l’occupazione di Gaza è terminata quando Israele ha ritirato i suoi soldati oltre la recinzione perimetrale e subito dopo ha istituito un assedio dell’enclave via terra, mare e aria. Israele è ritenuto pienamente responsabile delle sofferenze dei palestinesi sia prima che dopo il 7 ottobre. È Israele ad attaccare in modo permanente e continuato i palestinesi, a mezzo della sua occupazione illegale, del suo regime di apartheid, dell’assedio di Gaza e dell’annessione progressiva di territori che dovrebbero far parte di uno Stato palestinese. La violenza palestinese è una risposta, non la causa scatenante. Sono i palestinesi a reagire, a resistere, secondo la sentenza. Le istituzioni politiche e mediatiche dell’Occidente rovesciano causa ed effetto al loro contrario. Ci sono ulteriori conseguenze per la sentenza della Corte internazionale di giustizia. Non si scende a compromessi sull’apartheid. Nessuno ha suggerito di andare incontro al Sudafrica dell’apartheid con mezze misure. Le fondamenta razziste di un tale stato devono essere sradicate. Gli stati di apartheid devono essere ricostituiti partendo da zero. La Corte mondiale chiede che Israele non solo ritiri le sue forze di occupazione dai territori palestinesi e fermi l’espansione degli insediamenti, ma anche che smantelli gli insediamenti nella loro totalità. I coloni devono lasciare la Palestina. I giudici chiedono anche giuste “riparazioni” per i palestinesi per l’enorme danno subito da decenni di occupazione e apartheid. Ciò include il riconoscimento del diritto di tornare nelle loro terre ai palestinesi sottoposti dal 1967 a pulizia etnica, e l’obbligo per Israele di pagare ingenti risarcimenti finanziari per il furto di risorse essenziali che dura da decenni.
Complice di crimini di guerra
Ma le implicazioni non riguardano solo Israele. Nel deferire il caso alla Corte internazionale di giustizia, l’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha chiesto alla Corte di fornire consigli su come i suoi 192 Stati membri dovranno rispondere alle sue conclusioni. Se i leader israeliani sono criminali di guerra, allora sostenerli, come le capitali occidentali fanno da decenni, rende quegli stati complici dei crimini contro l’umanità commessi da Israele. La sentenza considera le potenze occidentali come complici del reato di occupazione prolungata e di apartheid a causa delle loro continue vendite di armi, per la copertura diplomatica e lo status commerciale preferenziale che hanno conferito a Israele. Ma c’è di più. Vuole anche dire che gli stati occidentali non devono solo smettere di molestare, e persino di incarcerare, coloro che cercano di incolpare Israele per i suoi crimini – i sostenitori del movimento Boicotta, Disinvesti e Sanziona (BDS) – ma dovrebbero anche far diventare quella causa come propria. Ora hanno l’obbligo legale implicito di unirsi a tali azioni imponendo sanzioni a Israele in quanto Stato canaglia. Il nuovo, viscido governo laburista britannico ha già cercato di spostare subdolamente l’attenzione dal potere al terreno discorsivo che Israele possa meglio gradire. Ha risposto con una dichiarazione in cui affermava che “il Regno Unito è fermamente contrario all’espansione degli insediamenti illegali e alla crescente violenza dei coloni”. Ma come ha osservato l’ex ambasciatore britannico Craig Murray, non è stato questo ciò che ha deciso la Corte internazionale di giustizia. “Non è l’espansione degli insediamenti illegali di Israele ad essere in questione. È la loro stessa esistenza“, ha scritto. Allo stesso modo, l’amministrazione Biden ha deplorato la sentenza della corte. In un atto di spettacolare acrobazia mentale, ha sostenuto che porre fine all’occupazione avrebbe “complicato gli sforzi per risolvere il conflitto”. Ma come notato in precedenza, secondo la sentenza della Corte internazionale di giustizia, non c’è un “conflitto” se non nell’immaginazione egoistica di Israele e dei suoi sponsor. Ci sono occupazione e apartheid, atti permanenti di aggressione da parte di Israele nei confronti del popolo palestinese. Inoltre, gli Stati Uniti hanno avvertito gli altri stati di non intraprendere “azioni unilaterali” contro Israele, come la sentenza della Corte internazionale di giustizia li obbliga a fare. Washington sostiene che tali azioni “approfondiranno le divisioni”. Ma una divisione – tra i sostenitori del diritto internazionale e i trasgressori della legge come Israele e Washington – è esattamente ciò di cui c’è bisogno. La sentenza della Corte internazionale di giustizia capovolge decenni di scivolamenti linguistici da parte dell’Occidente, il cui obiettivo è stato quello di spostare l’ago della bilancia ideologica a favore del programma di Israele di progressiva annessione. È di vitale importanza che gli attivisti, i gruppi legali e per i diritti umani continuino a tenere sotto controllo i governi britannico e statunitense sotto il fuoco della Corte internazionale di giustizia.
La nebbia si sta diradando
I sostenitori di Israele troveranno conforto nel fatto che una precedente sentenza della Corte internazionale di giustizia su Israele è stata ampiamente ignorata sia da Israele che dai suoi sostenitori occidentali. Richiesti di un parere consultivo, i giudici hanno stabilito nel 2004 che, sotto la copertura di rivendicazioni per motivi di sicurezza, Israele stava annettendo illegalmente fasce di territorio per costruire il suo “muro di separazione” lungo 800 km su terra palestinese. Israele non ha smantellato il muro, anche se in risposta ne deviò il percorso di alcune parti mentre abbandonò la costruzione in altre aree. Ma quella sentenza della Corte internazionale di giustizia, vecchia di due decenni, era molto più ristretta di quella attuale. Era limitata a una specifica politica israeliana, anziché affrontare l’intera dominazione di Israele sui palestinesi. Non metteva in discussione il carattere politico di Israele, identificandolo come uno stato di apartheid. E c’erano poche implicazioni evidenti nella sentenza per i sostenitori occidentali di Israele. E forse la cosa più importante è che 20 anni fa i dirigenti israeliani non correvano il rischio di essere processati dalla Corte penale internazionale per crimini di guerra, come invece accade adesso. La decisione della Corte internazionale di giustizia rafforza ulteriormente il nodo legale che grava su Israele e rende difficile per la CPI continuare a tergiversare nell’emissione di mandati di arresto nei confronti dei capi israeliani. E questo metterà le multinazionali, le banche e i fondi pensione in una posizione giuridica ancora più difficile se continueranno a ignorare la propria complicità con la criminalità di Israele. Potrebbero ritrovarsi presto a pagare un prezzo anche nei confronti della loro clientela. La Adidas potrebbe essere una delle prime vittime di una simile reazione dopo aver ceduto alle pressioni israeliane il 19 luglio, quando ha eliminato la modella palestinese-americana Bella Hadid come volto della sua nuova campagna pubblicitaria, paradossalmente lo stesso giorno in cui la Corte internazionale di giustizia ha annunciato la sua sentenza. Ci saranno anche delle ramificazioni in Occidente per i loro tribunali nazionali. Sarà difficile per i giudici ignorare l’opinione della Corte mondiale quando i loro governi cercheranno di punire gli attivisti della solidarietà verso i palestinesi. Coloro che promuovono boicottaggi e sanzioni contro Israele, o cercano di impedire alle aziende che forniscono armi a Israele, stanno facendo ciò che, secondo la Corte internazionale di giustizia, i governi occidentali dovrebbero fare di loro spontanea volontà. Ma forse la cosa più importante è che la sentenza sconvolgerà in modo decisivo il discorso intenzionalmente ingannevole dell’Occidente su Israele. Questa sentenza elimina completamente la base stessa del linguaggio che le potenze occidentali hanno usato nei confronti di Israele. Una realtà che è stata capovolta per decenni dall’Occidente è stata rimessa saldamente in piedi dalla Corte mondiale. L’occupazione – non solo quella degli insediamenti – è illegale. Israele è legalmente definito uno Stato di apartheid, come lo era prima di lui il Sudafrica, ed è uno Stato impegnato in un progetto di annessione e pulizia etnica. I palestinesi sono le vittime, non Israele. È la loro sicurezza che ha bisogno di protezione, non quella di Israele. Sono loro quelli a cui è dovuto l’aiuto finanziario, sotto forma di riparazioni, non Israele. Di conseguenza, la finta pacificazione dell’Occidente si rivela palesemente la farsa che è sempre stata. Continuare con questo tipo di duplicità, come ad esempio il leader britannico Keir Starmer sembra determinato a fare, servirà solo a mettere in luce la malafede di coloro che sono coinvolti in tali esercizi. D’altro canto, le potenze occidentali che aiutano Israele a continuare la sua opera di segregazione, espropriazione e pulizia etnica dei palestinesi saranno smascherate come complici dei crimini contro l’umanità commessi da Israele. Le parole hanno potere. Sono la nostra via per comprendere la realtà. E la Corte Mondiale ha appena spazzato via la nebbia. Ha spazzato via la foschia dalla finestra. L’Occidente farà ancora una volta del suo meglio per nascondere i crimini di Israele. Ma la Corte mondiale ha reso un servizio ai palestinesi e al resto dell’umanità smascherando Israele per quello che è: uno stato canaglia e un criminale.