Dal corrispondente iracheno di the Cradle – traduzione a cura di Old Hunter

L’uccisione con tempi sospetti da parte degli Stati Uniti e di Israele di dirigenti della Resistenza in tutta l’Asia occidentale ha rafforzato l’unità dei fronti di resistenza regionali, ora pronti a coordinare una massiccia rappresaglia e ad iniziare una guerra su più fronti.

Tra il pomeriggio del 30 luglio e le prime ore del mattino successivo, l’Asia occidentale ha assistito a una serie di eventi significativi dal Levante al Golfo Persico. Le operazioni militari e di intelligence sincronizzate tra Stati Uniti e Israele sono iniziate intorno alle 16 di quel martedì, con un attacco alla periferia meridionale di Beirut che ha abbattuto un intero edificio residenziale. Più tardi, la sera stessa, dopo le preghiere del tramonto, è stato colpito il quartiere di Jurf al-Sakhar in Iraq, seguito da un attacco all’alba su Teheran. Si ritiene che questi attacchi coordinati facciano parte di una campagna di assassinii USA-Israeliana legata alla guerra in corso a Gaza, che si protrae da quasi 10 mesi. Tra gli obiettivi c’erano il capo del politburo di Hamas Ismail Haniyeh e il comandante di Hezbollah Fuad Shukr. Questi omicidi hanno dominato i titoli dei giornali, mettendo in ombra l’attacco militare statunitense, meno pubblicizzato, ai membri del Kataib Hezbollah (KH) in Iraq, che ha causato anche la morte di un alto specialista missilistico yemenita, Hussein Abdullah Mastour al-Shabal. 

“Minimizzare l’Iraq”

La differenza nella copertura mediatica potrebbe essere dovuta ai diversi ranghi delle persone prese di mira e all’importanza dei luoghi degli attacchi, anche se il concetto di un  fronte della resistenza unificato resta centrale in questo conflitto, iniziato 10 mesi fa con l’operazione Al-Aqsa Flood di Hamas. Il team di specialisti militari nel nord dell’Iraq è stato preso di mira in circostanze diverse. Un leader del KH ha informato The Cradle  che “questa squadra è specializzata nello sviluppo di armi, non nella loro implementazione”. Le sue informazioni contraddicono la dichiarazione di un funzionario della difesa statunitense, che ha affermato che l’attacco era una  misura difensiva contro i combattenti della resistenza in Iraq che si preparavano a lanciare attacchi con i droni contro le forze statunitensi e alleate nella regione. Ma come rivela la fonte KH, non c’era alcuna minaccia imminente per le forze statunitensi da parte del team tecnico del gruppo:

I membri del team erano nella fase finale della sperimentazione di una nuova tecnologia legata ai droni, e questo è il motivo del bersaglio americano. Questa tecnologia, che potrebbe presto entrare nel confronto, causerà danni che gli americani non possono accettare, e il bombardamento è avvenuto per sbarrare la strada a questo sviluppo, ma non ha raggiunto il suo obiettivo.

Il gruppo preso di mira, noto come “Al Nour”, comprendeva l’alto comandante del KH Ahmed Najm Abdul Zahra, noto anche come Abu Hassan al-Maliki o “Abu Hassan Biden”. Il soprannome “Biden” è legato al coinvolgimento di Maliki in una tentata operazione contro Joe Biden quando era vicepresidente sotto Barack Obama, avvenuta nella Zona Verde fortificata di Baghdad durante la sua visita a sorpresa in Iraq nel settembre 2009. Maliki è stato arrestato e imprigionato dalle forze statunitensi per tre anni prima di essere rilasciato nel 2012. Alla domanda su una possibile ritorsione all’attacco statunitense a Jurf al-Sakhar, il leader del KH ha affermato che, sebbene una risposta sia certa, le sue circostanze e la sua relazione con la risposta iraniana all’assassinio di Haniyeh – e la risposta libanese all’assassinio di Shukr – rimarranno ambigue e difficili da determinare:

La natura della risposta, la sua tempistica e la sua relazione con gli altri fronti non saranno al momento rivelati.

La fonte ha preferito non commentare quando The Cradle gli ha chiesto del bombardamento della base statunitense di Ain al-Assad del 5 agosto, in cui sono state annunciate vittime americane. Non ha neppure voluto confermare se quell’incidente facesse parte della prevista rappresaglia della resistenza irachena. Per complicare le cose, il gruppo ritiene che altre parti siano state complici degli attacchi degli Stati Uniti. KH ha identificato la base aerea Ali al-Salem del Kuwait come il sito di lancio dei droni statunitensi che hanno colpito Maliki e i suoi quadri in Iraq: è un’affermazione che il Kuwait ha cercato di negare, ma la fonte KH di The Cradle conferma.

Fronti sovrapposti

Una fonte vicina alla Resistenza islamica in Iraq (IRI) ha dichiarato a The Cradle che lo scontro tra Israele e l’Occidente si è rapidamente esteso fino a interessare fronti sovrapposti in tutta l’Asia occidentale. 

La cerchia del confronto con Israele comprende la Resistenza islamica a Gaza e in Libano, mentre la Resistenza islamica in Iraq oltre alle sue operazioni attraverso il territorio siriano e le Forze armate yemenite svolgono i compiti di una cerchia più ampia, che è il fronte di sostegno, che ha prodotto il coordinamento e le operazioni congiunte tra i due in un ambiente ampio che parte dall’Iraq e dal Mar Mediterraneo a nord e anche dal Mar Arabico e dallo stretto di Bab al-Mandab a sud.

All’interno dei fronti della resistenza unificati, c’è una chiara divisione del lavoro e delle banche bersaglio, anche se le responsabilità potrebbero cambiare in qualsiasi momento man mano che il conflitto si intensifica e si approfondisce. La fonte spiega ulteriormente questa nozione: 

Nonostante la posizione del Libano sul Mar Mediterraneo e la presenza di Hezbollah, gli sforzi per imporre un blocco navale ricadono sulle spalle del fronte di sostegno iracheno e yemenita nell’ambito della divisione dei ruoli che è stata deliberata. Si noti che il fronte yemenita ha una particolarità: poiché Israele ha preso di mira il porto di Hodeidah, lo Yemen può quindi rispondere all’interno della Palestina occupata.

In Iraq, nonostante gli sforzi del primo ministro Mohammed Shia al-Sudani per convincere Washington a porre fine alla presenza della coalizione internazionale nel suo Paese – come deciso dalla maggioranza parlamentare nel 2020 – e a ridefinire, attraverso negoziati in corso, le relazioni militari tra i due Paesi, la tensione resta alta. 

La resistenza regionale contro l’occupazione 

Il maggiore generale Yahya Rasul, portavoce delle forze armate irachene, ha condannato il bombardamento di Jurf al-Sakhar, definendolo un “crimine odioso” e un “attacco palese” alla sovranità dell’Iraq. Per aumentare l’imbarazzo di Sudani, i bombardamenti statunitensi sono arrivati poco dopo che il premier aveva implorato pubblicamente e privatamente la resistenza irachena di astenersi da operazioni contro obiettivi statunitensi. Tuttavia, un consigliere del Primo Ministro iracheno, che ha parlato a The Cradle a condizione di anonimato, suggerisce che gli attacchi statunitensi non hanno avuto alcun impatto sui colloqui bilaterali:

Non c’è alcuna indicazione della sospensione dei negoziati tra i due Paesi riguardo slla fine della coalizione internazionale e al ritiro delle forze statunitensi. La recente telefonata del Segretario di Stato americano [Antony] Blinken con al-Sudani ha incluso la discussione di una tempistica per il ritiro.

Il ritiro, secondo il funzionario, prevede che le forze di combattimento lascino la “parte araba” dell’Iraq entro il 2025 e la regione del Kurdistan entro il 2026. Ma Hadi al-Amiri, una figura chiave del Quadro di coordinamento, una coalizione di partiti politici iracheni, e segretario generale dell’Organizzazione Badr, ha espresso impazienza per questa tempistica, ricordando agli iracheni che le forze straniere si sono ritirate entro due anni quando il loro numero era molto più alto, e mettendo in dubbio il motivo per cui 2.500 militari statunitensi richiedono ora tre anni per andarsene. La campagna di assassinii israelo-statunitense contro i membri dell’Asse della Resistenza riflette un tentativo disperato per interrompere il crescente coordinamento tra queste fazioni, mentre la prospettiva di una guerra su più fronti si fa sempre più vicina. Gli omicidi di un esperto yemenita di missili in Iraq e di Haniyeh di Hamas a Teheran illustrano i reciproci interessi di sicurezza profondamente intrecciati dell’Asse della Resistenza e gli obiettivi condivisi di porre fine all’occupazione straniera in Asia occidentale. Ogni passo americano e israeliano costringe questo Asse a un coordinamento e a un’operatività sempre più profondi. Questa guerra allargata non è più una possibilità remota, ma una realtà in divenire guidata dalla pressione incessante su questi fronti interconnessi.

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