«Chi difende tutti difende se stesso. Chi pensa solo a sé si distrugge». Forse potremmo racchiudere in questa battuta detta dal protagonista, l’essenza de I sette samurai. Un’opera imponente, epica e poetica allo stesso tempo che ci offre ancora oggi, a 70 anni dalla sua realizzazione, molti spunti su cui soffermarsi e meditare. Perché c’è davvero tanto su cui meditare.

Dopo essersi fatto conoscere come uno dei nuovi registi più talentuosi dell’estremo oriente con film come L’angelo ubriaco, Rashomon e Ikiru (Vivere), nel 1954 Akira Kurosawa realizza uno dei suoi capolavori e forse il titolo rimasto più famoso tra il grande pubblico: I sette samurai. Si tratta di un dramma storico ambientato nel Giappone del XVI secolo. Anche se i più conosceranno la trama, diamo alcuni accenni.

Un piccolo villaggio di contadini è nel terrore per la prossima scorribanda di un gruppo di briganti che l’anno passato avevano già fatto razzia del loro raccolto di riso. A breve sarà tempo di raccogliere l’orzo e se i contadini non saranno in grado di difendersi resteranno senza nulla per un anno intero. Su consiglio dell’anziano del villaggio decidono allora di cercare l’aiuto da alcuni samurai senza padrone. Una piccola delegazione si reca così in città col difficile compito di trovare un gruppo di samurai disposti a difenderli in cambio solamente del vitto, un po’ del riso rimastogli, e dell’alloggio. Una missione che appare quasi disperata.

I contadini, dopo alcuni giorni in città, e già in preda allo sconforto, assistono però all’impresa coraggiosa di un anziano e saggio samurai, Kambei Shimada, il quale uccide un ladro che aveva fatto prigioniero in un’abitazione, un bambino piccolo. Lo avvicinano e lo supplicano di aiutarli.

All’inizio titubante, Kambei accetta e si mette alla ricerca di altri samurai. In pochi giorni riesce a formare un gruppo di sette, sufficiente, secondo lui a difendere il villaggio su ogni lato.

I samurai addestrano i contadini allo scontro con i briganti che saranno nel numero di 40 circa e si adoperano per realizzare alcune barriere e fortificazioni lungo i confini per impedire un facile accesso agli assalitori.

Pochi giorni dopo aver terminato la raccolta dell’orzo, i briganti scendono dalla montagna e la battaglia ha inizio.

Kurosawa è uno dei registi più “occidentali” del Sol levante se ad esempio lo paragoniamo a due altri nomi assai noti della sua epoca come Ozu e Mizoguchi. Di Kurosawa colpisce la maestria della messa in scena. Ne I sette samurai egli fa uso di ogni tipo di inquadratura dai quadri in campo largo ai sapienti e profondi primissimi piani. I movimenti dei personaggi nello spazio sia esterno che interno parlano altrettanto che i volti, anche silenti, ripresi da vicino. Tutto concorre a costruire l’architettura psicologica e spirituale della storia e dei singoli personaggi.

Ci sono poi alcuni temi espressi nel film che vorremmo mettere in risalto perché hanno molto da dire a noi oggi.

I contadini faticano a trovare dei samurai disposti a combattere per loro perché molti samurai cercano il denaro e la gloria, cose che i contadini non possono certo offrire. Alla fine però Kambei accetta perché capisce che i contadini sono disposti a nutrirsi anche solo di miglio per lasciare il poco riso che hanno ai samurai. «Accetto il vostro sacrificio», dirà loro.

Kambei dimostra così che la Giustizia viene prima della gloria e di ogni ricchezza. Che ad un sacrificio, quello degli abitanti del villaggio, è doveroso rispondere con un altro sacrificio, quello in battaglia dei samurai. Kambei è mosso quindi da profonda compassione per le sofferenze ingiuste patite dai contadini che debbono ogni anno subire gli attacchi dei briganti. Il suo valore e la sua saggezza gli fanno sentire il cuore sanguinante di quelle povere anime. Mette da parte ogni orgoglio, sapendo che può persino rimetterci la vita, perché la causa per cui ha scelto di combattere è un Bene più grande.

Chiediamoci allora se anche noi sapremmo fare lo stesso. O se abbiamo fatto lo stesso quando la vita ci ha chiesto di rinunciare a qualcosa o a molto, per sacrificarci per una causa giusta in cui non ci sarebbero stati premi e applausi ad accoglierci alla fine. Chiediamoci se saremmo mai disposti a mettere in gioco finanche la nostra vita per difendere la Giustizia. Chiediamocelo non una volta, ma spesso, ogni giorno direi, perché i tempi che viviamo non chiamano ai compromessi, alle soluzioni facili in cui niente si perde, ma a saper mettere in discussione tutto se necessario, anche molte nostre convinzioni.

«Ti preoccuperesti della barba se stessero per tagliarti la testa?». Così l’anziano del villaggio redarguisce un suo compaesano che temeva che qualche samurai gettasse gli occhi sulla sua bella e giovane figlia e approfittasse di lei. Quando si è nel pieno della tormenta, quando in gioco c’è niente meno che la vita, tutte le altre cose passano in secondo piano. Le priorità vengono stravolte. Ed ecco che anche noi viviamo un tempo così; anche se per molti questi ultimi sembrano momenti di calma, essa in realtà è solo apparente. Così dunque bisogna interrogarsi se anche noi non ci stiamo preoccupando solo della barba mentre non ci accorgiamo che ci stanno per tagliare la testa. Ognuno declini come meglio può nella propria vita questa metafora, si faccia un esame di coscienza e ripensi da capo le sue priorità. Siamo certi che verrà fuori un quadro assai cambiato. Con una riflessione aggiuntiva ma essenziale: quanto sta avvenendo ha un che di provvidenziale, affinché noi guardandoci allo specchio comprendiamo che umanità siamo e che società abbiamo costruito. E questo è un discorso che riguarda tutti, non solo coloro che seguono la scia del potere.

Un ultimo tema. Alcune case del villaggio si trovano al di là di un ponticello restando così isolate dalle altre. Nel pianificare la strategia di difesa i samurai ordinano che vengano sgomberate perché non sarebbe possibile difenderle. I proprietari protestano ferocemente, allora Kambei davanti all’intero gruppo di contadini così risponde: «Le case oltre il ponte sono soltanto tre. Quelle nel villaggio sono venti e anche più. Non si può lasciarne in pericolo venti per difenderne tre. Inoltre, le tre case separate sarebbero distrutte insieme alle altre. Chi difende tutti difende se stesso. Chi pensa solo a sé si distrugge».

Quale magnifica descrizione di cosa sia l’individualismo e di quali esiti nefasti esso porti con sé. E quale magnifica descrizione di cosa sia una comunità, la quale si fonda sul perseguire un Bene maggiore, che è sempre e solo un bene per tutti, un bene comune. Per agire in conformità a questo Bene maggiore occorre però far morire il nostro ego, ribelle e invadente. Davanti al pericolo della morte, in battaglia, esso svanisce: è il sacrificio a cui è chiamato il combattente. Ma ogniqualvolta non siamo chiamati a mettere in gioco la nostra vita, annullare l’ego è uno sforzo, un’ascesi. In entrambi i casi è sempre un atto spirituale.

Non è difficile, ahimè, constatare come l’attuale umanità sia schiacciata dall’individualismo, proprio perché non se ne rende nemmeno conto. La nostra è una società che ha smesso, e da molto, di avere le caratteristiche di una comunità. Ne siamo tutti responsabili, tutti. È giunta l’ora di farci i conti.

I sette samurai è un’opera che a dispetto degli anni, resta viva più che mai. In essa troviamo non solo i temi che abbiamo voluto sottolineare, ma il caleidoscopio di tratti ed emozioni che abitano nel profondo degli uomini: coraggio, viltà, onore, sacrificio, paura, amore, compassione, giustizia. E la forza del film sta proprio nel fatto che sia una grande opera d’arte. Perché dobbiamo ricordarci che al di là delle belle analisi, nulla è più dirompente e profondo della vera arte per risvegliare un’anima alla vita vera.

NOTA: Le immagini riportate nell’articolo sono di proprietà di Toho Studios

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