Editoriale della Strategic Culture Foundation–Traduzione a cura di Old Hunter

L’American War Party e i suoi seguaci in Gran Bretagna e nel resto d’Europa stanno spingendo il mondo verso l’abisso. E non c’è dubbio su questo.

Due eventi hanno dominato le cronache internazionali questa settimana: il dibattito televisivo tra i candidati alla presidenza degli Stati Uniti, Kamala Harris e Donald Trump, e le notizie secondo cui Washington e i suoi alleati della NATO si starebbero preparando a permettere al regime ucraino di utilizzare i propri missili a lungo raggio per colpire in profondità il territorio della Federazione Russa. Quest’ultima mossa sarebbe vista da Mosca come un’importante escalation che da una guerra per procura porta a un conflitto diretto tra potenze nucleari. Questi due eventi sono strettamente collegati. Mancano meno di due mesi alle elezioni presidenziali americane, che vedranno la democratica Harris e il repubblicano Trump sfidarsi in una gara molto combattuta e divisiva per la Casa Bianca. Secondo i sondaggi, la Harris, vicepresidente in carica, ha ottenuto la migliore performance nel dibattito televisivo in diretta. Trump, tuttavia, con la sua caratteristica sfacciataggine, ha affermato di aver vinto il dibattito. Il suo successivo rifiuto di partecipare a un secondo dibattito potrebbe far pensare che la campagna di Trump tema che la Harris sia riuscita ad avere la meglio sul suo avversario più anziano, che è apparso banale e incoerente. Stiamo parlando di apparenza superficiale e non di sostanza, che nessuno dei due candidati possiede. L’establishment statunitense favorisce con evidenza la vittoria della Harris. La maggior parte dei media americani è favorevole a quella che sarebbe la prima donna a diventare presidente degli Stati Uniti, per di più una donna di colore. Questa credenziale da sola rafforza l’immagine della repubblica americana come presunto bastione della democrazia e dei valori liberali. Ma la cosa più importante per lo Stato profondo americano – ovvero la sua classe dirigente – è che la Harris è più allineata con la sua politica estera imperialista. Come il suo attuale capo, il presidente Joe Biden, la Harris ha parlato in modo bellicoso del confronto con la Russia e del sostegno incondizionato al conflitto in Ucraina. L’establishment di Washington vuole che il 5 novembre la Harris vinca per garantire la continuazione della guerra per procura contro la Russia. Il complesso militare-industriale dominante nel cuore del capitalismo statunitense vuole che il racket della guerra continui a sfornare grandi profitti. Ma anche nel quadro geopolitico più ampio, il conflitto con la Russia è solo un elemento di una più ampia politica di confronto con altre potenze straniere, in primo luogo la Cina, o qualsiasi altra nazione che sfidi la presunzione di egemone degli Stati Uniti. Come abbiamo sostenuto nel nostro editoriale la scorsa settimana, gli Stati Uniti stanno cercando di compensare il declino del loro potere globale perseguendo una intensificata politica di aggressione e bellicosità, anche se tale politica mette l’intero pianeta a rischio di una catastrofica guerra mondiale. La mossa altamente coreografica di questa settimana da parte degli Stati Uniti e della Gran Bretagna di dare al regime ucraino il permesso di usare missili a lungo raggio per colpire in profondità la Russia è strettamente correlata alle elezioni presidenziali, che sono molto importanti. Anche i media occidentali riferiscono che il regime ucraino è in grave difficoltà, in quanto le forze russe stanno guadagnando terreno in modo significativo nella regione del Donbass mentre stanno respingendo l’offensiva di Kursk, che dura da un mese. Un’interessante relazione della CNN è sembrata cogliere la realtà che molti osservatori indipendenti hanno già riportato, ossia che le difese ucraine stanno crollando. L’amministrazione Biden non può permettersi una imbarazzante sconfitta in Ucraina prima delle elezioni di novembre. La candidata Harris sarebbe indelebilmente danneggiata dalla perdita di prestigio, soprattutto in considerazione dell’enorme capitale politico e finanziario investito per “difendere l’Ucraina dall’aggressione russa”. Perciò, dare al regime di Kiev un’altra opportunità con le armi a lunga gittata ha l’obiettivo di far resistere la debole giunta di Zelensky per poche altre settimane per superare le elezioni americane. Donald Trump trarrebbe grandi vantaggi dalla sconfitta in Ucraina. L’ex presidente repubblicano propone la sua candidatura alla Casa Bianca sostenendo un accordo di pace in Ucraina e per “prevenire una Terza Guerra Mondiale”. Il disprezzo di Trump per l’alleanza NATO e per gli alleati europei è in parte il motivo per cui l’establishment statunitense non gli è favorevole. In confronto, la Harris è uno strumento più flessibile per i guerrafondai americani, soprattutto per quanto riguarda il confronto con la Russia. Il discorso di Trump di voler negoziare una risoluzione in Ucraina è problematico per lo Stato profondo militarista. Tuttavia, è importante sfatare l’idea che Trump sia un candidato pacifista. Può anche avere un’inclinazione incoerente a ridurre l’aggressione degli Stati Uniti contro la Russia, ma il candidato repubblicano è più bellicoso del suo rivale democratico nei confronti della Cina e dell’Iran. Trump sostiene pienamente il genocidio di Israele in Palestina. È lecito affermare che se Trump tornasse presidente, la politica estera guerrafondaia degli Stati Uniti si sposterebbe semplicemente verso qualche altra regione del mondo. Il discorso di Trump di voler impedire una Terza Guerra Mondiale non è credibile. Quando era presidente (2016-2020), ha incoraggiato il regime neonazista ucraino a scatenare la sua guerra genocida contro l’etnia russa nel Donbass, che ha portato all’intervento militare della Russia nel febbraio 2022. Si è anche impegnato a tagliare il gas russo all’Europa e a fare pressione sulla Germania affinché annullasse il progetto Nord Stream. È stato poi Biden a ordinare l’esplosione del gasdotto sottomarino del Baltico nel settembre 2022. Proporsi come pacificatore in Ucraina è il cinico tentativo di Trump di accaparrarsi i voti di molti americani, giustamente allarmati dalla sconsiderata guerra per procura contro la Russia. Ma si tratta di una mossa retorica. È improbabile che un futuro Presidente Trump riesca ad ottenere la pace in Ucraina. Tanto per cominciare, l’establishment statunitense andrebbe in fibrillazione pur di sabotare un simile risultato. Potete immaginare come la vecchia bufala dei media, secondo cui Trump sarebbe un presunto tirapiedi della Russia, tornerebbe in auge. Inoltre, è da notare che ampi settori del Partito Repubblicano al Congresso e al Senato, così come figure di spicco del passato, sono convinti sostenitori della politica ostile nei confronti della Russia. È un segno dei tempi che l’ex vicepresidente repubblicano Dick Cheney – l’architetto delle guerre in Afghanistan e in Iraq – abbia recentemente dato il suo appoggio alla Harris, così come hanno fatto altri noti repubblicani. E la Harris ha ringraziato sentitamente il criminale di guerra. Inoltre, questa settimana i membri repubblicani della Camera dei Rappresentanti che siedono nei principali comitati di intelligence, militari e di politica estera hanno scritto una lettera ufficiale a Biden per esortarlo ad autorizzare il lancio di missili a lungo raggio contro la Russia da parte dell’Ucraina. Biden non si è fatto convincere più di tanto. All’inizio della settimana, ha dichiarato con disinvoltura che stava “lavorando alla proposta”. A sostegno della russofobia bipartisan, un’altra lobby del Partito Repubblicano, Republicans Against Trump, ha affermato che “un voto per Trump è un voto per Putin”. Il risultato evidente – nascosto dal clamore e dalla distorsione dei media – dello “storico” dibattito televisivo di questa settimana negli Stati Uniti è che entrambi i candidati appartengono a un unico partito – il partito della guerra di fatto. Ci possono essere nomi ed etichette multipartitiche e differenze retoriche, ma, essenzialmente, la stragrande maggioranza dei politici di Washington non rappresenta il popolo e le sue necessità, ma è al servizio di un imperialismo guerrafondaio. E lo stesso vale per i politici europei. È un tragico riflesso del degrado della democrazia negli Stati Uniti e in Europa il fatto che i cittadini siano portati verso una potenziale guerra mondiale e in una conflagrazione nucleare da un monopolio di politici e aziende. Qualsiasi voce dissenziente alla propaganda servile dei media a favore della guerra viene messa a tacere e censurata. Google e YouTube stanno chiudendo i siti contro la guerra con l’assurda motivazione che si tratta di “propaganda del Cremlino”, in modo analogo a come gli studenti americani ed europei che protestano contro il genocidio a Gaza vengono additati come “simpatizzanti del terrorismo”. Le “democrazie” occidentali stanno rivelando la loro vera natura di Stati fascisti in guerra che distruggono il diritto internazionale. I governanti degli Stati Uniti, tra la loro crisi politica interna e il fallimento globale, stanno giocando d’azzardo con la pace nel mondo. Questa settimana il presidente russo Vladimir Putin ha avvertito che se verrà dato il via libera ai missili a lungo raggio, la Russia considererà la NATO come un partecipante diretto alle ostilità. Così la precedente guerra per procura diventerà d’ora in poi una guerra diretta. Questa è una netta linea rossa. I folli “leader” occidentali la attraverseranno? Potrebbero farlo a causa della loro incorreggibile arroganza maturata in anni come guerrafondai mai puniti e anche perché l’intero sistema capitalista occidentale è congenitamente predisposto alla guerra, in quanto questa rappresenta l’unico modo per impedirne il suo intrinseco collasso. La guerra sembra inevitabile se la classe politica occidentale avrà la meglio. Il partito della guerra americano e i suoi aderenti in Gran Bretagna e nel resto d’Europa stanno spingendo il mondo verso il baratro. E su questo non è possibile discutere.

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