UN ANNO CHE RACCHIUDE CENTO ANNI DI SOFFERENZE

DiMatteo Parigi

7 Ottobre 2024

Oltre 40.000 morti e quasi 100.000 feriti. Da un anno a questa parte grazie ad internet il mondo intero è spettatore quotidiano degli orrori indicibili perpetrati al popolo di Gaza, nonché, a partire dalla scorsa estate, dei concittadini (cristiani compresi) in Cisgiordania e nel sud del Libano. Eppure, tutto ciò non è che l’ultimo atto di una tragedia centenaria, evolutasi di intensità nel corso dei decenni, prima in pulizia etnica, da quando esiste lo stato di Israele, poi, da quel maledetto 7 ottobre 2023, in evidente genocidio. C’è chi ancora si fa scrupoli ad utilizzare il termine “genocidio”, perché apparentemente le azioni dello stato israeliano sono finalizzate non ad eliminare tutti i palestinesi in quanto non-ebrei, cioè per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi, bensì non starebbero facendo altro, a detta loro, che colpire le cellule terroristiche. Ma da che il mondo è mondo, o per lo meno da quando esistono leggi e buon senso, un anno di stragi immani di civili (donne, bambini e famiglie intere) non può trovare giustificazione in un arbitrario diritto di difesa o in quanto reazione nei confronti di uccisioni subite per conto di terroristi, i quali nulla hanno a che vedere, nemmeno lontanamente, con la popolazione civile. Men che meno uno stato, come sancito da tutte le convenzioni internazionali in materia, può rifarsela su ospedali, scuole, residenze civili e addirittura sui convogli umanitari, con la solita scusa della neutralizzazione dei terroristi. Insomma, che venga chiamata pulizia etnica o genocidio, gli effetti reali parlano da soli e sanciscono lo sterminio in bella vista del 2% di tutta la popolazione araba di Israele. L’equivalente, per fare un paragone esplicativo, della scomparsa in Italia di tutta la popolazione della Liguria o delle Marche, nell’arco di un solo anno solare.

Un calvario che dura da più di un secolo

I prodromi della pulizia etnica

A partire dagli anni ’80 dell’Ottocento, il clima di antisemitismo diffuso nel continente europeo, insieme all’attuazione di pogrom in est Europa, diede vita alle aliyahs, ossia a graduali ondate di colonizzazione in Palestina da parte di famiglie ebraiche europee. Già nel 1882 apparse uno scritto dal titolo Autoemancipazione ad opera di Leo Pinsker nel quale viene teorizzata l’impossibilità di assimilazione nelle società europee della diaspora ebraica e che il destino di quest’ultima sarebbe dovuto essere l’instaurazione di uno Stato Nazionale Ebraico indipendente. Da quel momento sorsero i primi movimenti sionisti e la scena fu subito dominata dall’Organizzazione Sionista Mondiale fondata da Theodore Herzl dopo la Prima Internazionale Sionista del 1897.

La dottrina del Sionismo, in breve, sostiene la creazione di uno stato sovrano in Terra Santa che garantisca la restaurazione del regno di Sion, ritenuto promesso da Dio al popolo degli ebrei, affinché realizzino il destino promesso di Israele. Non si tratta, va sottolineato, di una mera “mitologia teologica” con cui gli ebrei vorrebbero spiegare la propria storia, né può essere ridotta ad una specie di filosofia gerarchica della società: si tratta di una vera e propria ideologia razzista fortemente sentita dai membri del “popolo eletto”, tanto che nel 1975 l’ONU ha condannato il sionismo come forma di razzismo [1] e tuttora molti ebrei ortodossi dello stresso stato di Israele si dissociano apertamente dai loro correligionari sionisti, in particolare minoranze esigue di ultraortodossi come i Naturei Karta e gli Haredim.

L’attuazione del sionismo si concretizzava inizialmente nella pratica di colonizzare le terre palestinesi attraverso l’acquisto di terre [2], nonché promuovendo l’espulsione della popolazione locale, inizialmente mediante compravendite e negoziazioni pacifiche, poi ricorrendo a pressioni e violenze. Già nel 1920 i sionisti fondarono l’Histadrut [3], federazione del “lavoro ebraico” il cui fine era quello di tutelare i primi Kibbutz e le attività lavorative dei coloni, ma che di fatto istituì il boicottaggio dei lavoratori e produttori arabi: fu l’inizio della discriminazione ufficiale. La presenza degli arabi locali equivaleva, agli inizi del ‘900, a circa 450.000 unità registrate presso l’anagrafe dell’Impero Ottomano, di cui la Palestina era un distretto; solo una piccola percentuale delle proprietà autoctone apparteneva già ad ebrei sefarditi.

Alla fine della Prima Guerra Mondiale, dopo aver firmato gli accordi Sykes-Picot, con la Francia, la Dichiarazione Balfour scritta a Lord Rotschild ufficializzò il Sionismo quale obiettivo della politica inglese. In seguito alla Conferenza di San Remo, la Gran Bretagna ottenne il mandato di amministrazione della Palestina, che gli inglesi avevano occupato già nel 1917, promuovendo fortemente e sostenendo materialmente l’accelerazione della colonizzazione ebraica in Terra Santa [4]. Infatti, fino alla nascita dello Stato di Israele nel 1948, gli inglesi erano i “custodi” dell’ordine e della corretta amministrazione della regione. L’occupazione albionica, al netto dello stato di sudditanza che imponeva, fu almeno in termini polizieschi garante dell’ordine e della sicurezza dei cittadini palestinesi. Lo fu finché, in collaborazione con i sionisti, gli inglesi del posto non iniziarono a farsi da parte e lasciare campo aperto alle scorribande sioniste.

Già nel 1920 l’ufficiale inglese Orde Wingate aiutò gli ebrei a creare e addestrare i corpi militari dei sionisti [5] in Palestina dopo la creazione dell‘Haganah, braccio armato dell’Agenzia Ebraica per la Palestina, fondata nel 1921, consolidata nella sua fisionomia definitiva nel 1929 (Jewish Agency): essa fu l’agenzia esecutiva principale della migrazione ebraica in Terra Santa ed in quanto tale intrattenne i rapporti più stretti con l’amministrazione inglese. L’Haganah fu l’incubo dei palestinesi fino a che non venne inglobato nell’Esercito nazionale (IDF) nel 1948.

Nel frattempo, gli anni ’20 e ’30 videro l’affermazione di ulteriori organizzazioni sioniste a cui corrisposero i primi moti di rivolta e violenza civile. Vladimir Jabotinsky [6], amico di Mussolini ed in amicizia con Benzion Netanyahu [7], padre dell’attuale premier Benjamin Netanyahu, promosse in quegli anni l’ideale del Commonwealth ebraico a cui sarebbe dovuto seguire una veloce immigrazione prima ancora degli anni ’40. Mentre infatti gli ebrei si rafforzarono con la nascita dell’Agenzia Ebraica e la creazione dei nuclei militari Haganah, Irgun e Banda Stern, gli anni ’30 furono segnati da scontri violenti coi palestinesi, vittime tra l’altro della crisi globale del ‘29 che li costrinse a vendere ancora più terre e proprietà, nonché a subire sfratti da parte dei coloni. Dal 1936 al 1939 si svolse la prima Grande Rivolta Araba: arabi e coloni ebrei iniziarono a scontrarsi apertamente, causando le prime vittime da ambo le parti, ma come sempre la peggio la ebbero di gran lunga gli arabi nella misura in cui un uomo adulto su dieci rimase ucciso, ferito o imprigionato alla fine del conflitto [8].

Nel frattempo, Chaim Weizmann istituì la commissione Peel, il primo progetto di divisione in due stati nazionali, uno arabo e uno ebraico, la cui maggioranza della terra sarebbe dovuta tuttavia spettare ai secondi. Perciò il piano fu ovviamente rigettato dagli arabi. L’assetto militare sionista si era consolidato in diversi corpi, tra loro intercambiabili: la già citata Haganah dal cui sono derivate il gruppo Irgun nel 1931, la cui guida era niente di meno che Menachem Begin, futuro premier di Israele ai tempi di Camp David; la Banda Stern, scissa dall’Irgun nel 1940 la cui ferocia fu decisiva durante la Nakba; infine, il meno noto Palmach, corpo speciale di comando coadiuvato dai servizi segreti sionisti. Molto prima della guerra ufficiale tra stato di Israele e popolazione araba, la regione era fortemente militarizzata, nonché terra già battuta da scontri mortali tra palestinesi locali e coloni sionisti.

Dopo la Seconda guerra mondiale, Stalin, Churchill e Roosevelt negoziarono informalmente il consolidamento delle regioni orientali, tra cui vi era la questione palestinese. Il via libera allo stato ebraico ufficiale dettò le condizioni affinché la nascente ONU potesse sancire con uno strumento di diritto internazionale il riconoscimento del progetto sionista. con la risoluzione 181 elaborata dall’Assemblea Generale dell’ONU, la Palestina riceveva per la prima volta una raccomandazione (N.B. non vincolante) per la divisione del territorio palestinese nella seguente forma: tre regioni arabe e una lunga striscia maggioritaria ebraica, la quale sarebbe dovuta scendere da Libano e Siria per poi terminare verso il Sinai a sud-ovest, costeggiando l’attuale Giordania a est. L’attuale Stato di Israele nasce quindi il 14 maggio 1948, ma già verso la fine del 1947 venne messo in atto quello che il coraggioso storico ebreo Ilan Pappé descrive come la Pulizia Etnica della Palestina. Iniziata de facto già dai primi del Novecento, dal dicembre del 1947 fino al 1949 il territorio palestinese è stato il campo di battaglia del progetto razzista dei sionisti a danno del popolo palestinese.

Protagonista indiscusso della guerra Arabo-Israeliana fu il primo presidente israeliano Ben Gurion, riferimento e guida politico-militare di tutti i principali ideatori del c.d., Piano Dalet, ossia il vero eproprio piano (studiato, deliberato consensualmente) di espulsione forzata degli autoctoni musulmani e cristiani. Grazie anche al via libera dell’amministrazione inglese uscente, sionisti quali Ygal Yallon, Moshe Dayan, Yehoshua Palmon, Yigael Yadin, Yossef Weitz ed Ezra Danin, furono in grado di distruggere la vita degli arabi locali attraverso l’uso della violenza, un villaggio dopo l’altro, casa per casa, fino a che, alla fine della prima guerra arabo-israeliana non si risolse in occupazione forzata e violenza deliberata da parte dell’establishment sionista. A riguardo, giova riportare alcune affermazioni che confermano la portata razzista e violenta del sionismo che ha forgiato gli anni ’40 e ’50, da cui deriva inevitabilmente quello attuale:

«Queste operazioni potranno essere svolte in uno dei seguenti modi: o distruggendo i villaggi incendiandoli o facendoli saltare in aria e poi mettendo delle mine nei detriti), soprattutto i centri abitati che sono difficili da controllare in modo permanente; oppure con operazioni di setacciamento e controllo con le seguenti modalità: si accerchia il villaggio e si fanno perquisizioni. Se c’è resistenza le milizie armate dovranno essere eliminate e la popolazione espulsa al di fuori dei confini dello stato» [9]

Bozza del Piano Dalet supervisionato da Ben Gurion.

«C’è bisogno di una reazione forte e brutale. Dobbiamo essere precisi nei tempi, nei luoghi e nei bersagli. se accusiamo una famiglia, dobbiamo colpire tutti senza pietà, comprese le donne e i bambini. Altrimenti non sarò una reazione efficace. Durante l’operazione non c’è alcun bisogno di distinguere tra chi è colpevole e chi non lo è» [10]

Ygal Yallon

«Si possono effettuare queste operazioni nella maniera seguente: distruggendo i villaggi (dandogli fuoco, facendoli saltare in aria e minandone le macerie) e specialmente quei centri popolati difficili da controllare con continuità; oppure attraverso operazioni di rastrellamento e di controllo con le seguenti linee guida: circondare i villaggi e fare retate all’interno. in caso di resistenza si devono eliminare le forze armate e la popolazione deve essere espulsa fuori dai confini dello stato» [11]

Bozza del Piano Dalet

«Uccidete ogni arabo che incontrare, bruciate ogni oggetto infiammabile e buttate giù le porte delle case con l’esplosivo» [12]

Mordechai Maklef

«Uccidere la dirigenza politica palestinese. Uccidere gli istigatori palestinesi e i loro finanziatori. Uccidere i palestinesi che agivano contro gli ebrei. Uccidere gli ufficiali e i funzionari palestinesi. Danneggiare i trasporti palestinesi. danneggiare le fonti di sussistenza palestinesi: pozzi d’acqua, mulini ecc. Attaccare i villaggi palestinesi vicini che avrebbero potuto partecipare ad attacchi futuri. attaccare i Club, i caffè, i ritrovi palestinesi ecc.» [13]

Bozza del Piano C, precursore del Piano Dalet

Dalla Nakba alla guerra in corso

Ciò che segue è tutt’oggi conosciuta come Al-Nakba, ossia la catastrofe. Da questo momento nasce inizia la vera e propria questione israelo-palestinese così come la conosciamo. Mentre la divisione dell’ONU prevedeva una maggiore percentuale di terre da affidare agli arabi, i confini post-conflitto del 1949 lasciarono loro solamente il 22% della Palestina, relegando i loro territori in sole due enclave a sovranità limitata, ossia la striscia di Gaza e la Cisgiordania, anche conosciuta come Westbank. Queste sono ancora le zone principali di insediamento dei palestinesi autoctoni, rimasti solamente in 160.000 all’interno dei confini del primo Israele [14], quelli che non rientrano tra i 700.000 espulsi [15] a causa dalla pulizia etnica, costretti per decenni a convivere con gli occupanti che hanno continuato ad espandere le loro aspirazioni, continuando gradualmente l’opera di sostituzione forzata dei palestinesi.

Gerusalemme invece, città santa per le tre principali religioni monoteistiche, è stata divisa in una zona ovest sotto il governo centrale ed una Gerusalemme est proclamata capitale del popolo palestinese in opposizione alla rivendicazione totale di Israele quale capitale de facto del popolo ebraico. Lo status della città Santa è una delle questioni più spinose, il cui status rimane incerto a causa del variegato regime di riconoscimento da parte degli stati e delle organizzazioni internazionali.

Dalla nascita dello stato israeliano, all’interno del quale la divisione etnica è sempre stata ed è tuttora motivo di conflitto e violenze reciproche, si sono succedute guerre militari come quella dei Sei Giorni del 1967, la così detta guerra dello Yom Kippur nel 1973, conflitti paralleli al di fuori dei confini che, seppur non direttamente, hanno riguardato transitivamente anche i palestinesi, come ad esempio la Crisi di Suez del 1956 e la guerra civile libanese durata tutto l’ultimo quarto di secolo, nonché una serie di intifade, ossia rivolte arabe, a partire dalla prima del 1987.

Nel 1964 nasce l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina, abbreviata in OLP, considerato uno dei principali interlocutori per i palestinesi presso le più importanti istituzioni internazionali, in particolare l’ONU. Tra i compromessi più noti dell’OLP vi sono innanzitutto gli accordi di Camp David del 1978, firmati dal presidente egiziano Sadat e il premier israeliano Begin, i quali, dinanzi al presidente americano Jimmy Carter, ridussero i c.d. confini del ’67 (i più vicini al sogno di Eretz Israel), larghezza a cui aspira tuttora gran parte dell’establishment israeliana, a quelli attuali. Tuttavia, Camp David fu anche il primo radicale compromesso che l’establishment sionista riuscì ad ottenere dalla controparte palestinese, falsamente rappresentata dall’egiziano Sadat: infatti il 17 settembre 1978 furono redatti due importanti documenti per la storia palestinese. Il primo sancì le storiche condizioni di pace tra Egitto ed Israele, spartiacque che superò la precedente situazione di equilibrio conflittuale tra la più importante forza medio-orientale, vale a dire l’Egitto forgiato da Nasser, ed il leone di Giuda capeggiato all’epoca da Menachem Begin.

Gamal Nasser durante gli anni 50′ fu un riferimento per l’intero mondo arabo ed anti-sionista: espulse ogni residuo degli ex colonizzatori britannici a seguito della nazionalizzazione del Canale di Suez; legiferò una importante la riforma agricola che fu un vero e proprio modello di redistribuzione della ricchezza produttiva nazionale; mise al bando la Massoneria [16], presente quest’ultima anche in Medio Oriente dai tempi del riformatore Al-Afghani [17], nonché inserita nel tessuto politico a partire dalla nascita del partito Wafd capeggiato da Zaghlul e diffusasi nel tessuto sociale arabo grazie alla rete dei Fratelli Musulmani, fondati nel 1928 da Al-Banna. Fratelli Musulmani e partito Wafd furono forgiati durante gli anni ’20 e ’30 dalle logge massoniche inglesi, francesi ed italiane, tanto che nel 1950 adottò la struttura del Grande Oriente di Inghilterra [18], la cui influenza nella regione si è sempre contraddistinta per la messa in atto del principio divide et impera [19]. Lo stesso Hamas altro non è che un distaccamento dei fratelli Musulmani [20].

Tornando a Camp David, la parallela risoluzione ONU 242 stabiliva un piano ambiguo di raggiungimento dell’autonomia per i territori palestinesi, ma mutò immediatamente nel riconoscimento del controllo di Tel Aviv su Gaza e Cisgiordania in cambio del ritiro dal Sinai. Rappresenta tutt’oggi una delle più umilianti sconfitte storico-politiche per il popolo palestinese ed arabo nel complesso, tanto che l’intero mondo arabo, società egiziana compresa, si dissociò dall’opera di Sadat. Motivi di malcontento e vessazioni ulteriori per il popolo palestinese, che sfociarono dal 1987 nella prima Intifada: il 9 dicembre 1987 venne indetta una manifestazione di protesta a Gaza, a cui seguì una sparatoria sui dimostranti da parte dell’IDF. Scoppiò la rivolta generale, che vedeva inizialmente i palestinesi lanciare sassi alle forze di occupazione non potendo rispondere in altre maniere. Motivo per cui nel 1988 nacque Hamas quale forza militare finanziata dalla rete dei FM. Le forze di Tel Aviv reagirono tagliando la corrente, sradicando alberi, bruciando giardini, orti [21]. In altre parole, misero in atto le stesse tecniche di pulizia etnica di sempre, utili non solo per indebolire il nemico ma per costringerlo a spopolare il territorio. Dopo tre anni, gli abitanti di Gaza persero un migliaio di vite, in confronto a 56 morti dell’IDF, mentre bambini tra i 23.00 ed i 29.000 ebbero bisogno di cure mediche [22].

Negli anni ’80 durante la guerra civile libanese sorsero le principali organizzazioni politiche e paramilitari palestinesi, quali l’attuale partito alla guida degli arabi palestinesi Hamas, il partito di Dio libanese Hezbollah e il partito collegato alla OLP al-Fatah. La creazione di Hamas, tuttora considerato, falsamente, principale interlocutore tra palestinesi di Gaza ed Israele, rientra nel novero della rete massonica dei Fratelli Musulmani. Fatto da tenere in seria considerazione nella misura in cui, in nome del divide et impera strategico, il potere sionista continua a legittimare Hamas per non dover negoziare con altri rappresentanti legittimi dei Palestinesi [23], soprattutto la OLP riconosciuta dalle Nazioni Unite. Haim Ramon [24], ex viceministro della giustizia, confessò che Netanyahu da quando è al potere ha stipulato un «patto non scritto con Hamas», da una parte per screditare l’Autorità Nazionale Palestinese guidata da Abu Mazen, rivale politico di Hamas; dall’altra per alimentare la militarizzazione di Israele contro eterni nemici interni e terroristi, il ché permette allo stesso tempo di evitare continuamente la creazione di uno stato palestinese.

Nel 1988 l’OLP di Arafat mutò ulteriormente lo status quo, sempre a favore dei sionisti, verso l’accettazione di una soluzione a due stati e nel 1993 con gli Accordi di Oslo firmati da Arafat e Rabin si arrivò per la prima volta al mutuo riconoscimento internazionale. L’accordo nonostante cercasse di normalizzare i rapporti tra le due parti, regalò invece consenso ai gruppi palestinesi più radicali come Hamas, facendo cadere l’OLP in secondo piano e negli anni 2000 continuarono le atrocità nella regione. Tra il 1993 ed il 1995 Israele sottrasse ai palestinesi altri 20.000 acri di territorio nella West Bank e la neonata Autorità Palestinese, guidata da amici di fiducia di Arafat, si dimostrò più oppressiva dei sionisti stessi. Inoltre, dopo il 1996 il primo governo di Netanyahu anticipò le misure criminale messe attuali inasprendo la confisca di terre e la complementare espansione ebraica nelle terre della Cisgiordania e di Gerusalemme.

Nel 2000 Bill Clinton organizzò Camp David II tra il sionista Barak ed il veterano dell’OLP Arafat, ma il mancato accordo provocò la seconda Intifada, la quale terminò due anni dopo con la rioccupazione della West bank da parte di Israele, che stavolta inasprì le condizioni chiudendo gli spostamenti ed il commercio interno. Si stimano sulle 2400 vittime tra i palestinesi e 780 tra gli israeliani [25]. Nonostante le ingenti perdite umane sul fronte palestinese, il presidente Sharon si lamentava della crescita demografica che si stava registrando tra i non-sionisti. Spettro, quello della crescita demografica, che tuttora alimenta i provvedimenti oppressivi nei confronti degli abitanti storici della regione: arabi, minoranze cristiane ed ebrei haredim [26].

Nel 2006 scoppia la guerra in Libano tra Hezbollah e le forze israeliane, il ché significa il ritorno del clima di tensione nell’intera area medio-orientale. Sono gli anni in cui Hamas riesce a scalzare la leadership di Fatah e della OLP, ottenendo per la prima volta l’intera guida politica del popolo palestinese. Tuttavia, lungi dal favorire la normalizzazione dei rapporti tra palestinesi e comunità internazionale ciò che causa è invece l’esatto opposto, ossia il collegamento, al limite del bias cognitivo, tra palestinesi ed organizzazione di matrice fondamentalista e terrorista, andando così ad incrinare anche quel poco di sostegno che Gaza riceveva dall’estero.

Israele ne approfitta: tra 2008 e 2009 porta avanti senza scrupoli l’operazione Piombo Fuso su Gaza, che provoca un totale di circa 1400 morti, quasi tutti civili. Giornalisti che sono diventati martiri sul suolo di Gaza, come Vittorio Arrigoni e Rachel Corrie, hanno riportato di scene come quella di bambini che furono costretti a sfilare davanti ai carri armati dell’IDF come scudi umani. Nel 2014 durante l’operazione Margine Protettivo il governo centrale bombardò tutta la striscia radendo al suolo centinaia di strutture mediche e persino scuole gestite dall’ONU [27]; si sono contati almeno 2140 morti e 500.000 sfollati, quasi quanto i 700.000 della prima Nakba.

Una importante vittoria per i palestinesi arrivò il 29 dicembre 2012 quando finalmente l’ONU ha riconosciuto ufficialmente (sebbene sempre attraverso l’Assemblea Generale e non il Consiglio di Sicurezza) [28] lo Stato di Palestina, superando tra l’altro l’ideale della soluzione a due stati da sempre ritenuta unica soluzione dalla maggioranza della comunità internazionale. Tuttavia, negli ultimi anni le pessime scelte diplomatiche di attori importanti sulla scacchiera mondiale, come gli Accordi di Abramo stipulati tra Israele, Emirati Arabi Uniti e Stati Uniti, nonché il riconoscimento da parte di Trump di Gerusalemme come capitale del popolo ebraico [29], hanno provocato ulteriori motivi di conflitto, sfociati in ennesime stragi ed attentati. Gli ultimi prima della guerra sono avvenuti dal 2021 in seguito a centinaia di sfratti che gli ebrei hanno attuato contro famiglie arabe, soprattutto a Gerusalemme [30].

Nel frattempo, il governo israeliano dell’ultranazionalista Netanyahu e la Knesset, il parlamento di Israele, hanno passato nel 2018 una legge che sancisce unilateralmente Israele quale stato nazionale del popolo ebraico [31]. In altre parole, Eretz Israel è stata ufficialmente dichiarata dimora originaria del solo popolo ebraico, compresa Gerusalemme est quale capitale univoca del popolo ebraico. Oggi sempre Netanyahu, mentre ripete le parole di Golda Meir secondo cui «i Palestinesi non esistono», ha per la prima volta in assoluto dichiarato guerra ufficiale al governo di Gaza guidato da Hamas, evidente cavallo di Troia nello scacchiere israeliano, nonché certamente incapace di definirsi quale interlocutore privilegiato dei palestinesi.

Una tragedia condannata ma impunita

L’attacco del 7 ottobre appare agli occhi di chi ha maggio profondità di pensiero, come un evento decisamente, troppo, prevedibile e per questo probabilmente chiamato favorevolmente oppure concordato tra governo di Tel Aviv e Hamas. Il senso di insicurezza causato da un nemico esistenziale è, come ritenuto da qualsiasi esperto della questione, funzionale alla sopravvivenza stessa di Israele, la cui leadership sionista non ha di fatto mai avuto legittimazioni erga omnes reali. La famosa risoluzione 181 ONU non ha infatti mai avuto valore vincolante. Lo stato di Israele si è auto-legittimato secondo il principio di effettività, il quale sancisce che la sovranità deriva innanzitutto dalla realtà manifesta e dimostrabile che una comunità si è organizzata come uno stato ed esercita controllo effettivo sul territorio, indipendentemente da come viene riconosciuto dalla comunità internazionale. In altre parole, non c’è mai stata la stipulazione ufficiale ed universalmente riconosciuta dello stato di Israele, ma si è appunto creato e legittimato da solo sulle spalle dei palestinesi locali. Teoria rafforzata dal fatto che Tel Aviv non ha mai avuto una costituzione scritta, sebbene ciò sia possibile anche per uno stato riconosciuto. Ovviamente hanno fatto la loro parte le lobby ebree negli Stai Uniti, soprattutto AIPAC, WINEP e gli innumerevoli think tank collegati alle università americane, che da decenni influenzano la politica estera americana in totale sostegno, se non vera e propria sudditanza, nei confronti di Tel Aviv.

Tuttavia, che sia concordato oppure no, l’attacco di Hamas del 7 ottobre 2023 non giustifica le atrocità che la popolazione civile di Gaza ha dovuto subire per un anno intero, in aggiunta agli espropri di case, terre, vessazioni e discriminazioni continue subite da cento anni a questa parte. La stessa Corte Penale Internazionale ha sottoscritto due mandati [32] di arresto nei confronti del premier Netanyahu e del ministro della difesa Gallant, lo stesso, quest’ultimo, che tre anni fa rivelava i rapporti di reciproca utilità tra Netanyahu ed Hamas. Anche L’ONU ha richiesto per l’ennesima volta la fine dell’occupazione dei territori occupati dallo stato sionista. Eppure, la guida del “popolo eletto” continua ad impartire invasioni e stragi dal comodo ufficio di New York, ospite di quella superpotenza dalla quale dipende completamente dal punto di vista strategico.

Messo in atto da collaborazionisti oppure no, l’attacco del 7 ottobre non giustifica la carneficina in atto da un anno: scene, facilmente reperibili, di bombardamenti sugli ospedali, nei centri di raccolta della popolazione civile, corpi squartati, bambini feriti. Addirittura, si sono bombardati gli aiuti umanitari [33] destinati agli innocenti di Gaza. Non si tratta nemmeno di una guerra tra eserciti, come avviene in Ucraina, ma di una guerra asimmetrica, cioè tra attori di diversa natura e livello, tra una delle forze militari più potenti al mondo ed una delle popolazioni più deboli e sfortunate della storia. Israele ha letteralmente infranto ogni norma strutturale del diritto delle genti, in particolare ha violato l’intera serie delle Convenzioni di Ginevra sul diritto umanitario in materia di trattamento dei civili, feriti, personale umanitario ecc., motivi per cui anche la CPI ha emesso i mandati di arresto nei confronti di Netanyahu e Gallant (oltreché nei confronti dei leader di Hamas) in aggiunta all’accusa di sterminio. L’intero apparato israeliano può benissimo rientrare, come anticipato all’inizio, anche nell’accusa di genocidio, come sancito dalla Convenzione ONU sul genocidio del 1951 e dallo Statuto del tribunale penale internazionale per la ex-Jugoslavia (artt. 4-7): infatti se con genocidio si intendono tutti quegli atti il cui fine è eliminare, del tutto od in parte, una comunità nazionale, etnica, razziale o religiosa, allora l’eliminazione del 2% dell’intera popolazione araba di Israele nell’arco di un solo anno, a cui vanno aggiunti tutti i decenni di pulizia etnica, spopolamento imposto e violenze perpetrate, vanno a formare un quadro purtroppo chiaro, aggravato dai 4,5 milioni di rifugiati [34] palestinesi che in un modo o nell’altro sono stati spazzati come polvere della storia dai capricci dei sionisti.

È stato calcolato che sommando tutte le uccisioni da ambo i lati, per ogni israeliano ebreo morto ce ne sono 3,4 palestinesi ed il rapporto tra bambini palestinesi ed israeliani uccisi è 5,7:1 [35]. L’ONU stessa ha condannato innumerevoli volte [36] l’occupazione israeliana e le sue politiche. Tuttavia, il governo israeliano ha sempre ignorato le risoluzioni e non è mai sceso a compromessi che potessero concedere minimi vantaggi ai palestinesi autoctoni. Oggi, come allora il progetto sionista procede indisturbato ed è ciò che fa gelare il sangue a chiunque abbia un minimo di senso della giustizia. Nel frattempo, mentre le manifestazioni per la Palestina vengono ostacolate, in Terra Santa viene creato il deserto per poi chiamarlo pace.

Note

1. https://www.un.org/unispal/document/auto-insert-181963

2 Cfr. W.Cleveland, M. Bunton, A history of modern Middle East, Routledge, pp. 236-242.

3 Ivi pp. 237-239.

4 https://www.maurizioblondet.it/come-la-corona-ha-creato-israele-e-hamas/

5 https://c4israel.com.au/articles/how-a-christian-zionist-shaped-both-israeli-education-and-the-idf/

https://www.jewishvirtuallibrary.org/charles-orde-wingate?utm_content=cmp-true

6 Cleveland, Bunton, p. 239.

7 https://www.voltairenet.org/article220832.html

8 https://www.palestinianhistorytapestry.org/tapestry/0450-kuyffiyeh-1936-arab-revolt/

9 I. Pappé La pulizia etnica della Palestina, Fazi editore, pp. 107-108.

10 Ivi p. 93.

11 Ivi p. 57.

12 Ivi p, 122.

13 Ivi p. 44.

14 Cleveland, Bunton, p.255.

15 https://www.juragentium.org/topics/palestin/doc02/index.htm; Cleveland,Bunton, p. 253.

16 https://zoboko.com/text/werdmjd6/la-mezzaluna-e-il-compasso-islam-e-massoneria-dallattrazione-allavversione/22

17 https://www.newdawnmagazine.com/articles/secret-history/the-compass-the-crescent-secret-societies-of-the-muslim-freemasons

18 https://www.maurizioblondet.it/come-la-corona-ha-creato-israele-e-hamas/

19 https://www.geopolitika.ru/it/article/strategie-di-governo-britanniche-le-sette-religiose

20 https://scheerpost.com/2023/10/22/hamas-israels-useful-enemy/

21 Cleveland, Bunton, p. 454.

22 J. Mearsheimer, La lobby israeliana e la politica estera degli Usa, Asterios, p.50; https://www.washingtonpost.com/archive/politics/1990/05/17/rights-group-accuses-israel-of-violence-against-children-in-palestinian-uprising/150cd8bc-644a-4f9d-a7a6-73a813675a46/

23 Cfr. Limes 5/2021, La questione israeliana, pp. 89-96.

24 Ivi, p.90; https://www.politybooks.com/blog-detail/a-strong-hamas-netanyahus-design; https://ytali.com/2021/06/14/palestinesi-tante-voci-nessuna-voce/

25 Cleveland, Bunton, p.491.

26 https://aspeniaonline.it/israel-a-demographic-ticking-bomb-in-todays-one-state-reality/

27 G. Ferrara, L’impero del male. I crimini nascosti da Truman a Trump, Dissensi, pp. 220-224.

28 https://unric.org/it/lo-status-della-palestina-allonu-come-diventare-uno-stato-membro-dellonu/

29 https://il.usembassy.gov/statement-by-president-trump-on-jerusalem/

30 https://www.reuters.com/world/middle-east/police-arrest-dozens-jerusalem-clashes-israeli-nationalists-chant-death-arabs-2021-04-23/

31 https://www.vaticannews.va/it/mondo/news/2018-07/israele-knesset-legge-ebrei-arabi-antonio-ferrari-medioriente.html

32 https://orientxxi.info/magazine/l-ombra-della-corte-penale-internazionale-incombe-sui-leader-israeliani,7392

33 https://www.cdt.ch/news/mondo/israele-attacca-un-convoglio-di-aiuti-umanitari-a-gaza-ci-sono-morti-e-scioccante-361787

34 https://www.juragentium.org/topics/palestin/doc02/index.htm

35 J. Mearsheimer, La lobby israeliana e la politica estera degli USA, Asterios, p.52.

36 https://en.wikipedia.org/wiki/List_of_United_Nations_resolutions_concerning_Israel

Un pensiero su “UN ANNO CHE RACCHIUDE CENTO ANNI DI SOFFERENZE”
  1. Articolo che riesce a fare sintesi, per quanto possibile, di un secolo di storia che troppo pochi conoscono. Per fare chiarezza con quanto sta avvenendo occorre comprendere come vi si è giunti.

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