RACHEL CORRIE E LA PERENNE LOTTA PER LA LIBERTÀ

DiOld Hunter

11 Marzo 2025
Rachel Corrie, attivista americana per la pace, tra un bulldozer
Caterpillar D9 e la casa di un medico palestinese nel 2003.

di Wyatt Peterson per The Unz Review    –    Traduzione a cura di Old Hunter

Siamo a quasi 50 giorni dalla nuova “età dell’oro” della presidenza Trump, eppure, in qualche modo, una guerra su larga scala in Medio Oriente sembra più probabile ora che in qualsiasi altro momento dal 2003. L’obbediente 47° Presidente è determinato a eseguire ogni richiesta che Benjamin Netanyahu e Miriam Adelson gli chiedono, indipendentemente dal fatto che i loro interessi particolari si sovrappongano o meno a quelli dei cittadini americani. Da quando ha riconquistato la presidenza a gennaio, Trump ha consegnato un totale di 12 miliardi di dollari in aiuti militari a Israele, invocando il principio della propria “autorità di emergenza” per aggirare il Congresso e garantire che Israele riceva le bombe da 2.000 libbre e i bulldozer blindati Caterpillar D9 che l’amministrazione Biden non aveva voluto precedentemente mandare. In effetti, Trump ha già giurato di “inviare a Israele tutto ciò di cui ha bisogno per finire il lavoro” e la Casa Bianca ha espresso pubblicamente il suo sostegno al blocco illegale di Israele di tutte le merci e provviste nella Striscia di Gaza, un territorio che è stato completamente distrutto, lasciando migliaia di morti e i sopravvissuti senza indispensabili risorse come cibo, acqua e medicine.

Gli osservatori obiettivi della scena politica stanno cominciando a notare che la politica estera americana è, in larga misura, plasmata e diretta da influenti gruppi ebraici, la cui prima fedeltà è verso lo Stato di Israele.

Solo poche ore prima del discorso di Trump a una sessione congiunta del Congresso del 4 marzo, è stata pubblicata una lettera dal Jewish Institute for National Security of America (JINSA) che chiedeva un maggiore sostegno americano al programma di guerra di Israele in Medio Oriente. Firmata da 77 ex generali statunitensi che concordano sul fatto che è “ora di lasciare che Israele finisca il lavoro contro l’asse iraniano”, la lettera invita il governo americano a massimizzare il sostegno a Israele per qualsiasi futura operazione contro lo stato persiano. FoxNews.com riporta:

I generali e gli ammiragli in pensione chiedono agli Stati Uniti di fornire a Israele munizioni, sistemi d’arma e “il supporto necessario per garantire l’efficacia delle operazioni contro questa minaccia comune”. Affermano che sostenendo Israele nella sua lotta contro un Iran nucleare, gli Stati Uniti proteggerebbero la propria influenza nella regione. Il regime iraniano è stato anche recentemente accusato di aver complottato per assassinare Trump, cosa che, secondo il presidente, avrebbe portato alla “cancellazione” della Repubblica islamica”.

Il JINSA è un think-tank di politica estera estremamente aggressivo, dedicato a creare legami inscindibili tra Israele e l’establishment della difesa americana. Precedentemente noto come Jewish Institute for National Security Affairs, il gruppo è stato fondato, secondo Jason Vest di The Nation , da “neoconservatori preoccupati che gli Stati Uniti potrebbero non essere in grado di fornire a Israele adeguate forniture militari in caso di un’altra guerra arabo-israeliana”. Membri influenti del JINSA, come Douglas Feith e Richard Perle, hanno svolto un ruolo significativo nel fomentare la catastrofica invasione dell’Iraq nel 2003, inventando stravaganti falsità sulle armi di distruzione di massa usate come giustificazione per l’invio di truppe americane. Ventidue anni dopo, lo stesso gruppo ci riprova, esercitando la massima pressione su un palesemente coinvolto Donald Trump nella speranza che possa impiegare l’esercito americano per un’altra serie di costose guerre in Medio Oriente. Non è un caso che l’esercito americano abbia recentemente registrato i numeri più alti degli ultimi 15 anni in termini di reclutamenti, arruolando 10.727 nuovi soldati solo nel dicembre 2024!

Ci sono sorprendenti somiglianze tra le parole del 2003 e quelle odierne

Ricordiamo Rachel Corrie

Con i tamburi di guerra che battono sempre più forti ogni giorno che passa, l’amministrazione Trump sta lavorando diligentemente per garantire che qualsiasi opposizione organizzata verso Israele venga presto proibita. Il 29 gennaio, Trump ha firmato un ordine esecutivo “per combattere con forza l’antisemitismo, utilizzando tutti gli strumenti legali disponibili e appropriati, per perseguire, rimuovere o altrimenti ritenere responsabili gli autori di molestie e violenze antisemite illegali”. L’ordine “riafferma” l’Ordine Esecutivo 13899, firmato da Trump nel dicembre 2019, che ha ampliato il Titolo VI della Legge sui Diritti Civili del 1964 per colpire specificamente il movimento nonviolento del Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni (BDS) nei campus universitari, dando istruzioni a chi ha il compito di applicare il Titolo VI di considerare come operativa la definizione di antisemitismo fatta dell’IHRA, che si dà il caso includa le critiche a Israele. Per dimostrare che non sta bluffando, Trump ha organizzato una Task Force per la lotta all’antisemitismo, guidata da Leo “Zio Tom” Terrell, che ha già aperto indagini su quasi una dozzina di college statunitensi. In una mossa che secondo i gruppi per i diritti civili è “senza precedenti” e “incostituzionale”, il Dipartimento dell’Istruzione ha annunciato questa settimana di aver annullato 400 milioni di dollari di finanziamenti federali alla Columbia University, citando “violenze incessanti, intimidazioni e molestie antisemite” nel campus, e affermando che “prevediamo che seguiranno ulteriori cancellazioni”.

Fin dagli anni ’60, i campus universitari americani sono stati un focolaio di attivismo contro le guerre. Nonostante tutti gli altri difetti, i giovani ed energici americani di orientamento liberale sono spesso dotati di un intenso spirito umanitario che è naturalmente contrario a genocidi e guerre. Non è raro che queste persone, e certamente non gli sbandieratori del MAGA, siano le più disposte a opporsi a quelle percepite come ingiustizie, anche a costo della propria vita.

Una di queste persone era Rachel Corrie, che, ventidue anni fa, in questo stesso mese, fu uccisa a sangue freddo dall’esercito israeliano mentre protestava a Gaza contro la distruzione delle case palestinesi.

Rachel era cresciuta a Olympia, Washington. Mentre frequentava l’Evergreen State College nei primi anni 2000, aveva saputo del conflitto israelo-palestinese grazie a un’amica di origine palestinese incontrata a scuola. Poco dopo è diventata, secondo le sue stesse parole, una “attivista per la pace”, decisa a fare qualcosa contro la grave ingiustizia che giustamente percepiva come un disastro umanitario. Rachel si era dapprima unita a un gruppo chiamato “Olympians for Peace and Solidarity”, che organizzava eventi per la pace per contribuire a sensibilizzare l’opinione pubblica sulla condizione dei palestinesi, prima di unirsi all’International Solidarity Movement (ISM). L’ISM è un’organizzazione pro-Palestina fondata nel 2001 da attivisti palestinesi, americani e israeliani in seguito al rifiuto da parte di Stati Uniti e Israele di una proposta delle Nazioni Unite, che mirava a collocare osservatori internazionali dei diritti umani nei territori palestinesi occupati. Fin  dall’inizio la missione dell’ISM è stata quella di sostenere la causa palestinese con iniziative di azione diretta non violenta, come le proteste contro l’esercito israeliano nella Striscia di Gaza e in Cisgiordania.

Nel gennaio 2003, Rachel e altri membri dell’ISM si recarono in Cisgiordania per quella che avevano descritto come una campagna di solidarietà. Il gruppo si fermò prima in una città a est di Betlemme, Beit Sahour, prima di dirigersi a Rafah nella Striscia di Gaza meridionale. Arrivarono a Gaza in un momento in cui l’esercito israeliano era impegnato in una campagna su larga scala di distruzione delle case palestinesi, spesso utilizzando come arma preferita i bulldozer corazzati Caterpillar D9 pagati dai contribuenti americani. Un rapporto del 2004 pubblicato dalle Nazioni Unite ha stabilito che tra settembre 2000 e maggio 2004, 17.594 palestinesi avevano subito la distruzione delle loro case da parte dell’esercito israeliano.

Mentre era a Rafah, Rachel era stata ospite di diverse famiglie, tra cui quella di un medico di nome Samir Nasrallah che viveva in una modesta casa a due piani vicino al confine israeliano con la moglie e i loro tre figli. In un’intervista condotta poco prima della sua morte, Rachel ha parlato di alcuni degli orrori a cui aveva assistito durante il suo periodo a Rafah:

“Durante il periodo in cui sono stata qui, dei bambini sono stati uccisi a colpi di arma da fuoco. Il 30 gennaio l’esercito israeliano ha spianato con i bulldozer i due pozzi d’acqua più grandi, distruggendo più della metà della riserva idrica di Rafah. Ogni pochi giorni, se non tutti i giorni, qui vengono demolite delle case. Le persone sono economicamente devastate a causa della chiusura del confine con l’Egitto e dell’estremo controllo sull’economia di Gaza da parte di Israele… Ho la sensazione che ciò a cui sto assistendo qui sia una distruzione molto sistematica della capacità di sopravvivenza di un popolo. E questo è incredibilmente orribile”.

Il 16 marzo 2003, appena quattro giorni prima dell’invasione americana dell’Iraq, Rachel ricevette una telefonata da un’attivista che la informava che le IDF si stavano preparando a radere al suolo la casa del dottor Nasrallah. “Gli israeliani sono tornati”, le disse la persona che chiamava, “Venite subito qui. Penso che si stiano dirigendo verso la casa del dottor Samir”. In effetti, i bulldozer di fabbricazione americana avevano messo la casa del dottor Nasrallah nel mirino, dopo aver già distrutto le strutture circostanti. “Quasi tutte le altre case nella zona erano state abbattute negli ultimi mesi; la dimora di Nasrallah ora era isolata in un mare di sabbia e detriti”. [Fonte]

Rachel arrivò sul posto dove incontrò un gruppo di sette attivisti ISM britannici e americani che portavano megafoni e indossavano giubbotti fluorescenti arancioni per la massima visibilità. Un articolo su NPR.org descrive cosa accadde quando affrontò il bulldozer azionato da due militari dell’IDF:

“Corrie, che indossava un giubbotto fluorescente arancione e parlava per mezzo di un megafono, era determinata a fermarli. In piedi da sola su un cumulo di terra sul percorso del veicolo blindato, si aspettava che il bulldozer israeliano che si avvicinava a lei si fermasse, come avevano fatto altri bulldozer quando si erano trovati di fronte a manifestanti internazionali. Ma continuò ad avanzare e, mentre i suoi compagni attivisti urlavano e cercavano di fermarlo, la studentessa universitaria di 23 anni di Olympia, Washington, fu schiacciata a morte. I figli della famiglia Nasrallah guardavano inorriditi attraverso una crepa nel muro del loro giardino”.

Uno dei testimoni oculari, un uomo di nome Joe Carr, ha fornito il seguente resoconto:

“Con ancora addosso la sua giacca fluorescente, si è inginocchiata ad almeno 15 metri di distanza dalla ruspa e ha iniziato ad agitare le braccia e a gridare, proprio come gli attivisti avevano fatto con successo decine di volte quel giorno… Quando [il bulldozer] si è avvicinato così tanto da muovere la terra sotto di lei, è salita sul cumulo di macerie spinto dalla ruspa… La sua testa e la parte superiore del busto erano sopra la lama della ruspa e l’operatore della ruspa e il suo collaboratore potevano vederla chiaramente. Nonostante questo, l’operatore ha continuato a procedere, e questo l’ha fatta cadere all’indietro, fuori dalla vista dell’autista. Lui ha continuato ad avanzare e lei ha cercato di sfuggire indietro, ma è stata rapidamente tirata sotto la ruspa. Siamo corsi verso di lui agitando le braccia e gridando, un attivista con il megafono. Ma l’operatore della ruspa ha continuato ad andare avanti, finché Rachel non è stata completamente sotto la sezione centrale della ruspa”.

Rachel Corrie giace a terra, in attesa di assistenza medica, dopo essere stata
schiacciata sotto un bulldozer israeliano a Rafah, Gaza, il 16 marzo 2003.

Nonostante la promessa del Primo Ministro israeliano Ariel Sharon di avviare un’indagine “approfondita, credibile e trasparente”, l’inchiesta militare ha completamente assolto l’IDF da ogni illecito e ha stabilito che la morte di Rachel è stata un incidente di cui lei stessa era responsabile. Una testimone intervistata dall’esercito israeliano, un’infermiera britannica di nome Alice Coy, ha testimoniato sotto giuramento che il soldato che l’ha interrogata sull’omicidio di Rachel si è rifiutato persino di registrare la sua dichiarazione in cui affermava di credere che i bulldozer stessero pianificando di distruggere le case dei civili. La sentenza è stata criticata dai gruppi per i diritti umani Amnesty International, Human Rights Watch e B’Tselem, così come dal colonnello Lawrence Wilkerson, che ha detto ai genitori di Rachel che non considerava legittima l’indagine. Sentimenti simili sono stati espressi dall’ambasciatore statunitense in Israele, Dan Shapiro, che ha detto alla famiglia di Rachel che il governo statunitense non credeva che l’indagine israeliana fosse stata “approfondita, credibile e trasparente”. Nonostante le critiche, il deputato Brian Baird, che rappresentava la città natale di Rachel, Olympia, Washington, fu uno dei pochi politici americani disposti a richiamare l’attenzione sul suo omicidio. Nel marzo 2003, Baird presentò una risoluzione al Congresso degli Stati Uniti che chiedeva al governo degli Stati Uniti di “intraprendere un’indagine completa, equa e rapida” sulla morte di Rachel. Non sorprende che non sia mai stata intrapresa alcuna azione.

Nel 2005 i genitori di Rachel hanno intentato una causa civile presso il tribunale distrettuale di Haifa accusando lo stato israeliano di non aver condotto un’indagine credibile e di essere ritenuto responsabile della morte di Rachel. La famiglia ha intentato una causa per un simbolico dollaro, non per ottenere un guadagno finanziario, ma piuttosto per ottenere una sentenza di responsabilità per la morte della persona amata. Nell’agosto 2012, un tribunale israeliano ha confermato il verdetto dell’indagine militare, invocando un’eccezione per “attività di combattimento” che afferma che il personale militare non può essere ritenuto responsabile per alcun danno fisico o economico arrecato a civili in un’area designata come “zona di guerra”. Nel suo verdetto, il giudice Oded Gershon ha descritto l’indagine di Israele come “appropriata” e ha accusato Rachel e altri dello ISM di “proteggere i terroristi”, sebbene si potesse difficilmente dire che il dottor Nasrallah e la sua famiglia corrispondessero a tale descrizione. Gershon ha aggiunto che la morte di Rachel era “il risultato di un incidente che si era procurata da sola”. Dopo il processo, la famiglia di Corrie ha affermato che importanti prove erano state nascoste come parte di un insabbiamento. Come riportato dal Jerusalem Post:

“Subito dopo la fine del processo, a luglio, la famiglia di Corrie ha affermato che prove importanti, tra cui diversi nastri di sorveglianza che mostrano riprese a colori di eventi prima e dopo la morte dell’attivista, sono state tenute nascoste come parte di una copertura sulle circostanze del decesso. Le riprese a colori sono state utilizzate in un documentario di Channel 2, ma l’IDF ha negato la loro esistanza, afferma la famiglia”.

Sulla base di queste prove occultate, i signori Corrie hanno presentato ricorso contro la sentenza nel maggio 2014, che è stata infine respinta dalla Corte Suprema israeliana l’anno successivo. Oggi, Craig e Cindy Corrie continuano a lottare per i diritti dei palestinesi, dopo aver fondato la Rachel Corrie Foundation for Peace and Justice nel 2003 per “sostenere gli sforzi di base per la pace e la giustizia a livello globale”. (Steven Plaut, ex editorialista del quotidiano newyorkese The Jewish Press, una volta ha descritto i Corrie come una “squadra SWAT di propaganda anti-Israele composta da due persone”).

La vera lotta che gli americani devono affrontare non è quella tra democratici e repubblicani, a prescindere da ciò che gli Alex Jones del mondo potrebbero sostenere. Quando la coscienza umana è accalappiata dai partiti politici – come è accaduto in larga misura dal 2016 – le persone si trovano spesso a difendere i loro peggiori avversari a causa dei dettami del “partito”. Molti americani immaginano Donald Trump come una sorta di Supereroe impegnato in una valorosa lotta per salvare l’America e il mondo occidentale da una cabala globalista senza nome e senza volto. In realtà, Trump è un bellicoso idiota che sembra determinato a piantare l’ultimo chiodo sulla bara dell’America come un obbediente aiutante di Netanyahu e dello Stato di Israele. In un Paese pieno di primitivi gorilla che si battono il petto a favore del MAGA, abbiamo bisogno di più persone con l’integrità di Rachel Corrie. Solo con una convinzione e una determinazione simili potremo sperare di vedere il giorno in cui la sovranità americana sarà ripristinata e la nostra nazione sarà nuovamente percepita come un faro di luce per il mondo. Che Dio benedica la sua memoria!

Rachel Aliene Corrie, April 10, 1979 – March 16, 2003

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