La guerra russo-ucraina, nella primavera del 2025

di Big Serge sul suo substack.com – Traduzione a cura di Old Hunter
La guerra russo-ucraina dura ormai da tre anni e il terzo Z-Day, il 24 febbraio 2025, è stato caratterizzato da un tono sostanzialmente diverso rispetto alle iterazioni precedenti. Sul campo di battaglia, le forze russe sono significativamente più vicine alla vittoria di quanto non lo siano mai state dalle prime settimane di guerra. Dopo i rovesci iniziali, quando l’Ucraina ha approfittato degli errori di calcolo russi e della quantità non bastevole delle sue forze, l’esercito russo è aumentato nel 2024, facendo crollare il fronte ucraino nel sud di Donetsk e spingendo il fronte in avanti verso le restanti cittadelle del Donbass.
Allo stesso tempo, lo Z-Day del 2025 è stato il primo durante la nuova amministrazione americana, e in alcuni ambienti c’erano grandi speranze che il presidente Trump potesse prematuramente giungere a un accordo negoziato e porre fine alla guerra. Il nuovo tenore sembrava essere reso abbondantemente chiaro in un esplosivo incontro nello Studio Ovale del 28 febbraio tra Trump, il vicepresidente Vance e Zelensky, che dopo aver zittito il presidente ucraino si è concluso con la sua ignominiosa cacciata dalla Casa Bianca. A cui è seguito un brusco annuncio che l’Ucraina sarebbe stata tagliata fuori dall’ISR (Intelligence, Surveillance, and Reconnaissance) americano fino a quando Zelensky non si fosse scusato per la sua condotta.
In una sfera di informazioni piena di voci, manovre diplomatiche imperscrutabili e atteggiamenti pesanti (annebbiati ulteriormente dallo stile e dalla personalità distintivi dello stesso Trump), è molto difficile capire cosa potrebbe davvero importare. Ci ritroviamo con una bizzarra giustapposizione: sulla base delle battute esplosive di Trump e Zelensky, molti potrebbero sperare in un brusco cambio di rotta sulla guerra, o almeno in una revisione della posizione americana. Sul campo, tuttavia, le cose continuano più o meno come hanno fatto, con i russi che avanzano lentamente lungo un fronte tentacolare. Il fante trincerato vicino a Pokrovsk, in ascolto del ronzio dei droni in alto, potrebbe essere perdonato se non pensa che sia cambiato qualcosa.
Non ho mai nascosto la mia convinzione che la guerra in Ucraina sarà risolta militarmente: vale a dire, sarà combattuta fino alla sua conclusione e fine con la sconfitta dell’Ucraina a est, il controllo russo di vaste fasce del Paese e la subordinazione di un residuo dell’Ucraina agli interessi russi. L’auto-concezione di Trump è fortemente legata alla sua immagine di “affarista” e alla sua visione degli affari esteri come fondamentalmente di natura transazionale. Come presidente americano, ha il potere di imporre questa impostazione all’Ucraina, ma non alla Russia. Rimangono abissi incolmabili tra gli obiettivi di guerra della Russia e ciò che Kiev è disposta a discutere, ed è dubbio che Trump sarà in grado di conciliare queste differenze. La Russia, tuttavia, non ha bisogno di accettare una vittoria parziale semplicemente in nome della buona volontà e di una negoziazione. Mosca ricorre a una forma di potere più primordiale. La spada precede e trascende la penna. La negoziazione, in quanto tale, deve sottostare alla realtà del campo di battaglia e nessun accordo, per quanto duro, può trascendere l’antica legge del sangue.
La grande disavventura: il crollo del fronte a Kursk
Quando la storia di questa guerra verrà ripercorsa retrospettivamente, non mancherà l’inchiostro per l’operazione ucraina di otto mesi a Kursk. Da una prospettiva più ampia della narrazione bellica, l’incursione iniziale dell’Ucraina in Russia ha soddisfatto una serie di esigenze, con l’AFU che “ha portato la lotta” in Russia e ha preso l’iniziativa, anche se su un fronte limitato, dopo mesi di continue avanzate russe nel Donbass.
Nonostante l’immensa iperbole che seguì il lancio dell’operazione Kursk dell’Ucraina (che ho scherzosamente soprannominato “Krepost”, in omaggio al piano tedesco del 1943 per la sua battaglia di Kursk), nei mesi successivi questo fu senza dubbio un settore di grande importanza, e non solo perché portò alla caratteristica dell’Ucraina di conquistare un territorio all’interno della Federazione Russa prebellica. Sulla base di una lettura dell’Ordine di Battaglia, Kursk era chiaramente uno dei due assi di sforzo primario per l’AFU, insieme alla difesa di Pokrovsk. Decine di brigate furono coinvolte nell’operazione, tra cui una parte significativa delle principali risorse dell’Ucraina (brigate meccanizzate, d’assalto aereo e di fanteria di marina). Forse ancora più importante, Kursk è stato l’unico asse in cui nell’ultimo anno l’Ucraina ha fatto un serio sforzo per prendere l’iniziativa e passare all’offensiva, e la prima offensiva a livello operativo ucraino (al contrario dei contrattacchi locali) dal loro assalto alla linea russa di Zaporizhia nel 2023.
Detto questo, marzo ha portato al culmine di una seria sconfitta ucraina, con le forze russe che hanno riconquistato la città di Sudzha (che costituiva il nodo centrale della posizione ucraina a Kursk) il 13 marzo. Sebbene le forze ucraine siano ancora presenti sul confine, le forze russe hanno attraversato il confine Kursk-Sumy in Ucraina in altri luoghi. L’AFU è stata funzionalmente espulsa da Kursk e tutti i sogni di una qualche fuga in Russia sono svaniti. A questo punto, i russi ora detengono più territorio a Sumy di quanto ne abbiano gli ucraini a Kursk.
Sembrerebbe quindi essere un buon momento per condurre un’autopsia sull’operazione Kursk. Le forze ucraine hanno raggiunto il prerequisito di base per il successo in agosto: sono riuscite a mettere in scena un pacchetto meccanizzato adatto (in particolare, la volta forestale attorno a Sumy ha permesso loro di assemblare risorse in relativa segretezza, in contrasto con la steppa aperta a sud) e ottenere una sorpresa tattica, travolgendo all’inizio le guardie di confine russe. Nonostante la loro sorpresa tattica e la cattura anticipata di Sudzha, l’AFU non è mai stata in grado di trasformarla in una penetrazione o uno sfruttamento significativi a Kursk. Come mai?
La risposta sembra essere un nesso di problemi operativi e tecnici che si sono rafforzati reciprocamente: per certi aspetti questi problemi sono generali a questa guerra e ben compresi, mentre per certi versi sono unici per Kursk, o almeno, Kursk ne ha fornito una potente dimostrazione. Più specificamente, possiamo enumerare tre problemi che hanno condannato l’invasione ucraina di Kursk:
- L’incapacità dell’AFU di ampliare adeguatamente la propria penetrazione.
- La scarsa connettività stradale tra il centro ucraino di Sudzha e le basi di supporto intorno a Sumy.
- Il Persistente controllo delle linee di comunicazione e di rifornimento ucraine tramite attacchi ISR russi.
Possiamo vedere, quasi naturalmente, come questi elementi si alimentino a vicenda: gli ucraini non erano in grado di creare un’ampia penetrazione in Russia (per la maggior parte, l'”apertura” del loro saliente era larga meno di 30 miglia), il che riduceva notevolmente il numero di strade a loro disposizione per i rifornimenti e i rinforzi. La stretta penetrazione e lo scarso accesso stradale hanno permesso a loro volta ai russi di concentrare i sistemi d’attacco sulle poche linee di comunicazione disponibili, con la conseguenza che gli ucraini faticavano a rifornire o a rinforzare il raggruppamento basato intorno a Sudzha – questa scarsa connettività logistica e di rinforzo ha reso a sua volta impossibile per gli ucraini mettere in campo forze aggiuntive per cercare di espandere il saliente. Questo ha creato un ciclo di feedback positivo di confinamento e isolamento per il raggruppamento ucraino che ha reso la sua sconfitta più o meno inevitabile.
Possiamo, tuttavia, andare un po’ più a fondo nel nostro esame postmortem e vedere come questo sia accaduto. Nelle prime settimane dell’operazione, le prospettive dell’Ucraina sono state gravemente compromesse da due fallimenti tattici critici che hanno minacciato fin dall’inizio di trasformarsi in una catastrofe operativa.
Il primo momento critico è arrivato nei giorni dal 10 al 13 agosto; dopo i successi iniziali e la sorpresa tattica, i progressi ucraini si sono bloccati mentre tentavano di avanzare lungo l’autostrada da Sudzha a Korenevo. Durante questo periodo ci furono diversi scontri, ma solide posizioni di blocco russe venivano mantenute mentre i rinforzi affluivano nel teatro. Korenevo prometteva sempre di essere una posizione critica, per la presenza del baluardo russo sulla strada principale che conduceva a nord-ovest da Sudzha: finché i russi l’avessero tenuto, gli ucraini non sarebbero stati in grado di ampliare la loro penetrazione in questa direzione.

Con le difese russe che bloccavano le colonne ucraine a Korenevo, la posizione ucraina era già gravida di una crisi operativa di base: la penetrazione era stretta e quindi minacciava di diventare un saliente grave e insostenibile. A rischio di fare una pericolosa analogia storica, la forma operativa era molto simile alla famosa Battaglia delle Ardenne del 1944: colto di sorpresa da una controffensiva tedesca, Dwight Eisenhower diede priorità alla limitazione dell’ampiezza dell’attacco, piuttosto che alla profondità della penetrazione tedesca, spostando i rinforzi per difendere le “spalle” del saliente.
Bloccati a Korenevo, gli ucraini cambiarono approccio e fecero un nuovo sforzo per consolidare la spalla occidentale della loro posizione (il loro fianco sinistro). Questo tentativo mirava a sfruttare il fiume Seym, che scorre tortuoso a circa dodici miglia dietro il confine di stato. Colpendo i ponti sul Seym e lanciando un attacco di terra verso il fiume, gli ucraini speravano di isolare le forze russe sulla riva sud e di distruggerle o di forzarle a una ritirata sul fiume. Se ci fossero riusciti, il Seym sarebbe diventato un elemento difensivo di ancoraggio che proteggeva il fianco occidentale della posizione ucraina.
La disavventura ucraina di Kursk dal 6 agosto 2024 ad oggi
Fase 1: le forze AFU ottengono una sorpresa tattica, ma i guadagni sono contenuti attorno a Sudzha. I rinforzi russi si precipitano e stabiliscono posizioni di blocco di successo sulle autostrade esistenti.
Fase 2: Le forze ucraine tentano di ancorare il loro fianco sinistro alla linea del fiume Seym, isolando le forze russe colpendo i ponti. L’AFU non è in grado di distruggere tutti i ponti e i collegamenti e la Russia mantiene le forze sul lato sud del Syem.
Fase 3: I contrattacchi russi sgretolano il fianco sinistro ucraino e avanzano da Korenovo. Le forze russe raggiungono Snagost, ponendo fine alla minaccia AFU alla testa di ponte sul Seym e tagliando una potenziale via di rifornimento ausiliaria.
Fase 4: I contrattacchi russi sul saliente ucraino iniziano a comprimere i fianchi della posizione dell’AFU. I tentativi dell’AFU di riavviare l’offensiva colpendo le autostrade fuori da Sudzha vengono sconfitti.
Fase 5: La continua pressione russa isola la posizione ucraina attorno a Sudzha e sottopone le linee di comunicazione ucraine a un attacco persistente.
Fase 6: Gli attacchi finali russi raggiungono le linee di comunicazione ucraine e costringono a un ritiro generale ucraino da Kursk. Le forze russe riconquistano Sudzha il 13 marzo.

Il tentativo ucraino di sfruttare il Seym e creare un nodo difensivo sul loro fianco era in astratto ben concepito, ma alla fine è fallito. A questo punto, gli effetti della sorpresa tattica dell’Ucraina si erano dissipati e c’erano forti unità russe presenti sul campo. In particolare, la 155a Brigata di fanteria navale russa ha mantenuto la sua posizione sulla riva sud del Seym, mantenendo i suoi collegamenti con le unità vicine e conducendo una serie di contrattacchi: entro il 13 settembre, le forze russe avevano riconquistato la città critica di Snagost, che si trova nella curva interna del Seym.
La riconquista di Snagost (e il collegamento con le forze russe che avanzavano da Korenevo) non solo ha posto fine alla minaccia per le posizioni russe sulla riva sud del Seym, ma ha sterilizzato più o meno l’intera operazione ucraina, confinandola in uno stretto saliente attorno a Sudzha e limitandone la capacità di rifornire il raggruppamento al fronte.
È piuttosto naturale che la connettività stradale sia più scarsa sul confine di stato che all’interno dell’Ucraina stessa, e questo è particolarmente vero per Sudzha. Una volta che Snagost è stata riconquistata dalle forze russe, il raggruppamento ucraino attorno a Sudzha aveva solo due strade che lo collegavano alla base di supporto attorno a Sumy: la principale via di rifornimento (MSR nel gergo tecnico) correva lungo l’autostrada R200 ed era integrata da un’unica strada a circa 3 miglia a sud-est. La perdita di Snagost ha condannato l’AFU a rifornire e rinforzare un grosso raggruppamento multi-brigata con solo due strade, entrambe ben alla portata dei sistemi di attacco russi.
Questa scarsa connettività stradale ha permesso ai russi di sorvegliare e colpire in modo persistente i rifornimenti e i rinforzi ucraini che si dirigevano verso Sudzha, in particolare dopo che le forze russe hanno iniziato a usare diffusamente i droni FPV in fibra ottica, che sono immuni alle interferenze. Un altro vantaggio dei droni in fibra ottica, che non è ampiamente discusso, è che mantengono il loro segnale durante l’avvicinamento finale al bersaglio (al contrario dei modelli controllati in modalità wireless, che perdono potenza del segnale quando scendono a bassa quota durante l’attacco). La potenza del segnale stabile delle unità in fibra ottica è un grande vantaggio per la precisione, poiché consente ai piloti di controllare il drone fino all’impatto. Forniscono anche un feed video ad alta risoluzione che rende più facile individuare e colpire veicoli e posizioni nemiche nascoste.

Operativamente, la principale caratteristica distintiva dei combattimenti a Kursk è l’orientamento ortogonale degli sforzi da parte dei combattenti. Con questo intendiamo che le controffensive russe erano dirette ai fianchi del saliente, comprimendo costantemente gli ucraini in una posizione più stretta (entro la fine del 2024, gli ucraini avevano perso metà del territorio che in precedenza detenevano), mentre gli sforzi ucraini per riavviare il loro progresso erano mirati a penetrare più in profondità in Russia.
A gennaio, gli ucraini hanno lanciato un nuovo attacco da Sudzha, ma anziché tentare di allargare e consolidare i loro fianchi, questo attacco mirava ancora una volta a colpire l’autostrada verso Bolshoye Soldatskoye. L’attacco venne respinto, con le colonne ucraine che avanzarono per qualche miglio lungo la strada prima di crollare con pesanti perdite, ma anche se avesse avuto successo non avrebbe risolto il problema fondamentale, che era la ristrettezza del saliente e la limitata connettività stradale per rifornimenti e rinforzi.
A febbraio, il raggruppamento ucraino a Kursk era chiaramente esausto e i suoi collegamenti di rifornimento erano sotto sorveglianza permanente e attacco da parte dei droni russi. Era forse prevedibile, quindi, che i russi avrebbero chiuso rapidamente il saliente una volta che avessero effettuato una spinta decisa. La vera e propria conclusione ha richiesto, al massimo, una settimana di buoni combattimenti. Il 6 marzo, le forze russe hanno sfondato le difese ucraine intorno a Kurilovka, a sud di Sudzha, e hanno minacciato di invadere la strada di rifornimento secondaria. Entro il 10, gli ucraini si stavano ritirando da Sudzha vera e propria, con la città che è tornata sotto il pieno controllo russo entro il 13.
Fu durante questo breve periodo di azione culminante che fu rivelata la sensazionale storia dell’attacco russo attraverso l’oleodotto. Questo divenne un aneddoto totemico, con fonti ucraine che sostenevano che le truppe russe erano state attaccate e massacrate mentre uscivano dal condotto, e fonti russe che lo acclamavano come un enorme successo. Penso che questo particolare trascuri il punto. L’assalto tramite l’oleodotto era innovativo e ad alto rischio, e certamente comportò un’enorme grinta da parte delle truppe russe che dovettero strisciare attraverso chilometri di angusto oleodotto, ma alla fine non penso che sia stato così importante in senso operativo.
A livello schematico, la posizione ucraina a Kursk era condannata a metà settembre, quando le truppe russe riconquistarono Snagost. Se gli ucraini fossero riusciti a isolare la riva sud della Seym, avrebbero avuto il fiume come preziosa barriera difensiva a protezione del loro fianco sinistro, nonché l’accesso a spazi preziosi e a ulteriori strade di rifornimento. Come è poi accaduto, il fianco ucraino è stato sgretolato all’inizio dell’operazione dalle vittorie russe a Korenevo e Snagost che hanno lasciato l’Ucraina a combattere per uscire da un saliente molto compresso e povero di strade. La (corretta) decisione russa di concentrare i contrattacchi sui fianchi ha ulteriormente compresso lo spazio e lasciato gli ucraini con collegamenti di rifornimento inadeguati e soggetti a persistenti attacchi di droni russi. Una recente pubblicazione ucraina sostiene che alla fine dell’anno i rinforzi ucraini hanno dovuto raggiungere il fronte a piedi, portando con sé tutto l’equipaggiamento e i rifornimenti, a causa della persistente minaccia ai veicoli.
Combattere in un saliente difficile è quasi sempre una cattiva proposta ed è un motivo geometrico di guerra che risale a millenni fa. Nell’attuale contesto operativo, tuttavia, è particolarmente pericoloso, dato il potenziale dei droni FPV di saturare le linee di rifornimento con l’esplosivo. In questo caso, l’effetto è stato particolarmente sinergico: l’angustia del saliente ha amplificato l’effetto dei sistemi d’attacco russi e questo, a sua volta, ha impedito agli ucraini di assemblare e sostenere le forze necessarie per espandere il saliente e creare più spazio. Il confinamento generava strangolamento e lo strangolamento generava confinamento. Combattendo per mesi con un fianco crollato, il raggruppamento ucraino era destinato alla sterilità operativa e alla sconfitta finale quasi all’inizio.

Il mondo si sta ancora adattando alla nuova logica cinetica del potente nesso ISR-Strike che ora governa il campo di battaglia. Ciò che Kursk dimostra, tuttavia, è che le sensibilità convenzionali sulle operazioni non sono affatto obsolete: semmai, sono diventate ancora più importanti nell’era del drone FPV in fibra ottica. La sconfitta dell’Ucraina a Kursk si riduce in ultima analisi a regole consolidate sulle linee di comunicazione e sulla sicurezza dei fianchi. Le prime sconfitte a Korenevo e Snagost hanno lasciato il loro fianco occidentale permanentemente sgretolato e hanno riportati gli ucraini su una catena logistica sottile, facile da sorvegliare e colpire per le forze russe. In un certo senso, i droni hanno permesso di avvolgere verticalmente le forze nemiche, isolando i raggruppamenti di prima linea con una sorveglianza persistente sulle strade di rifornimento. Si tratta di una caratteristica che mancava in gran parte a Bakhmut, dove le forze russe utilizzavano ancora di preferenza l’artiglieria tubolare, ma che sembra essere una caratteristica permanente del campo di battaglia in futuro, rendendo preoccupazioni apparentemente antiquate come le “linee di comunicazione” più importanti che mai. I droni contano, ma conta anche la posizione spaziale delle forze.
Che ne è dell’Ucraina? Ora sono stati distrutti un paio di gruppi meccanizzati accuratamente controllati: uno a Zaporizhia nel 2023, e ora un secondo a Kursk. In entrambi i casi, non sono stati in grado di far fronte alla capacità dei sistemi d’attacco russi di isolare i loro raggruppamenti in prima linea, e alla sorveglianza e agli attacchi russi sulle aree di assemblaggio delle forze in retroguardia e sulle basi di supporto. La loro posizione a Kursk è sparita e non hanno nulla di positivo da mostrare per i loro sforzi.
Tutte le teorie sul perché l’Ucraina sia entrata a Kursk sono ora un pittoresco punto di discussione. Che intendessero o meno tenere una fetta di territorio russo come merce di scambio è irrilevante, perché quella fetta non c’è più. Ancora più importante, la teoria secondo cui Kursk avrebbe potuto costringere a un grande dispiegamento di forze russe è andata a rotoli e ora minaccia di ritorcersi contro gli ucraini. La maggior parte delle forze russe a Kursk sono state ridispiegate dal loro raggruppamento di Belgorod, piuttosto che dal teatro critico del Donbas (come abbiamo fatto notare in precedenza, mentre l’AFU eseguiva la sua “diversione” a Kursk, i russi hanno fatto crollare completamente il fronte meridionale di Donetsk e si sono spinti fino al confine dell’Oblast’ di Dnipro).
Ciò che è importante notare, tuttavia, è che il fronte di Kursk non sarà cancellato semplicemente perché i russi hanno espulso l’Ucraina dal confine. Nella sua apparizione a sorpresa al quartier generale del teatro di Kursk, Putin ha sottolineato la necessità di creare una “zona di sicurezza” intorno a Kursk. Questo è il linguaggio russo per continuare l’offensiva oltre il confine ucraino (e infatti le forze russe hanno attraversato l’Oblast di Sumy in diversi punti) per creare una zona cuscinetto. Questo avrà il duplice scopo di mantenere attivo il fronte, impedendo all’Ucraina di ridispiegare le sue forze nel Donbas, oltre che di prevenire qualsiasi tentativo dell’AFU di preparare le forze per un secondo attacco a Kursk. Molto probabilmente i russi cercheranno di conquistare le alture lungo la linea di confine e di posizionarsi a monte degli ucraini, replicando la situazione intorno a Kharkov.
In breve, dopo aver aperto un nuovo fronte a Kursk, gli ucraini non potranno chiuderlo facilmente. Per una forza che deve far fronte a gravi carenze di uomini (leggete la mia precedente analisi sul pessimo stato della mobilitazionedellUcraina se volete un aggiornamento), l’incapacità dell’Ucraina di accorciare la linea del fronte crea ulteriori sgradite tensioni. Con la pressione russa che continua imperterrita nel Donbas, ci chiediamo se una battaglia condannata al fallimento di 9 mesi per Sudzha sia stata davvero il miglior uso delle scarse risorse dell’Ucraina.
Un breve tour del fronte
Il saliente di Kursk è il secondo fronte ad essere completamente crollato per opera dell’esercito russo negli ultimi tre mesi. Il primo è stato il fronte meridionale di Donetsk, che è stato completamente ceduto nel corso di dicembre con conseguente ritirata nelle prime settimane dell’anno, il che ha avuto l’effetto non solo di buttare fuori l’AFU da roccaforti di lunga data come Ugledar e Kurakhove, ma anche di salvaguardare il fianco dell’avanzata russa verso Pokrovsk.
Al momento, ci sono diversi assi del progresso russo che esamineremo più in dettaglio tra poco. Più in generale, mentre la Russia cancella assi secondari come Donetsk Sud e Kursk, la traiettoria generale del fronte sta diventando più focalizzata, mentre le frecce convergono sull’agglomerato di Slovyansk-Kramatorsk. Occhi puntati sul premio. La Russia attualmente controlla circa il 99% dell’Oblast di Lugansk e il 70% di Donetsk.

Faremo un breve tour di questi fronti di combattimento. Uno dei motivi che risalterà immediatamente è che in più settori critici, le forze russe occupano attualmente posizioni operativamente potenti che forniscono loro molte rampe di lancio per ulteriori avanzamenti nel 2025. In particolare, i russi attualmente detengono più teste di ponte attraverso le linee fluviali, il che li mette in posizione per aggirare le linee difensive ucraine, e hanno consolidato il controllo di alture dominanti in luoghi come Chasiv Yar.
Possiamo iniziare dall’estremità più a nord della linea, a Kupyansk. Kupyansk è una città di dimensioni modeste (popolazione prebellica di circa 26.000 persone) situata in un crocevia strategico sul fiume Oskil, che è il più grande affluente del Donets. Più specificamente, Kupyansk si trova all’incrocio tra la principale autostrada est-ovest in uscita da Kharkov e il corridoio autostradale di Oskil che corre a sud fino a Izym, ed è anche il più importante snodo di transito per attraversare l’Oskil nel suo corso settentrionale. La città fu conquistata all’inizio della guerra dalle forze russe e servì da importante bastione per impedire lo spostamento delle riserve ucraine nell’Oblast settentrionale di Lugansk, e fu poi riconquistata durante la controffensiva ucraina di fine 2022, che li vide allontanare il fronte da Kharkov e attraverso l’Oskil.
Oggi Kupyansk è un nodo di transito vitale, una base di supporto e un punto di attraversamento che sostiene un raggruppamento ucraino che combatte sulla riva orientale dell’Oskil. Per come si presenta attualmente il campo di battaglia, tuttavia, le forze russe hanno l’allettante opportunità di far crollare del tutto la posizione ucraina. L’aspetto critico è il consolidamento di una consistente testa di ponte russa a nord di Kupyansk, sulla riva occidentale dell’Oskil (cioè il lato ucraino), con le forze russe già posizionate sull’autostrada nord-sud. Sebbene questo fronte settentrionale sia stato negli ultimi mesi un teatro decisamente de-prioritizzato, dal momento che i russi hanno eliminato i fronti del Kursk e del Donetsk meridionale, il posizionamento delle forze russe a ovest dell’Oskil crea seri problemi all’AFU a Kupyansk.

Un’avanzata a sud e a ovest dalla testa di ponte di Oskil fiancheggerebbe Kupyansk e, in combinazione con le avanzate da sud-est, minaccerebbe di far crollare completamente il saliente ucraino attraverso l’Oskil. A seconda di quanta potenza di combattimento la Russia impegna su questo fronte, potremmo assistere a una situazione simile a quella che abbiamo visto a Kursk, con più brigate (attualmente impegnate a est dell’Oskil) costrette a tentare un’evacuazione ad hoc attraverso il fiume mentre il saliente crolla, con la loro capacità di ritirare equipaggiamenti pesanti potenzialmente compromessa dalla complicazione dell’attraversamento del fiume.
Più a sud su questo fronte, vediamo una situazione simile sull’asse del Donets. La geografia operativa qui è un po’ complicata, quindi ci concederemo un po’ di spiegazioni.
Il teatro settentrionale di Donetsk (con il suo traguardo finale nell’agglomerato di Kramatorsk-Slovyansk) è dominato da due importanti caratteristiche del territorio. La prima è il fatto che il corridoio urbano (che corre da Kostyantynivka verso nord fino a Slovyansk) si trova a bassa quota lungo il corso del fiume Kryvyi Torets: mentre il fiume in sé non è una caratteristica importante, lo è la bassa quota del suo bacino. Ciò significa che le città stesse sono dominate dalle alture a est, con Chasiv Yar che forma un importante snodo e una roccaforte a un’altitudine dominante.

La seconda importante caratteristica del territorio è il fiume Donets, a differenza del minuscolo Kryvyi Torets, questa è una barriera imponente che taglia in due il Donbass e forma lo scudo settentrionale per Slovyansk e Kramatorsk. Il controllo russo del Donets dalla riva nord (sia a Lyman o, idealmente, a Izyum più a ovest) sblocca il potenziale per aggirare Slovyansk e Kramatorsk da ovest e interdire il traffico stradale.
In breve, sebbene Kramatorsk e Slovyansk insieme formino un imponente agglomerato urbano, la loro difesa è intimamente connessa con la battaglia per le alture a est e la lotta per il controllo del Donets. Al momento attuale, tuttavia, le forze russe detengono posizioni preziose che forniscono una base di lancio per sbloccare questo fronte.
Quando ingrandiamo più da vicino [azione possibile solo nell’articolo in inglese], vediamo che le difese ucraine attorno al Donets hanno tratto beneficio dal terreno. Sulla riva nord del Donets, le forze russe devono anche vedersela con un corso d’acqua ausiliario nel fiume Zherebets, che scorre a sud verso il Donets e alimenta diversi bacini idrici che formano formidabili barriere difensive. Il divario tra lo Zherebets e il Donets è di circa cinque miglia, formando un collo di bottiglia difensivo naturale, e la maggior parte di quel divario è coperto dalla città di Tors’ke (ora pesantemente fortificata) e da una fitta foresta. Per la maggior parte degli ultimi diciotto mesi, questa sezione del fronte è stata in gran parte statica, con le forze russe che non sono riuscite a fare progressi significativi combattendo in questo collo di bottiglia.
Un modo per la Russia di minare questa forte posizione difensiva sarebbe stato quello di avanzare lungo la riva meridionale del Donets, raggiungendo il valico vicino a Yampil e aggirando la linea di Tors’ke da sud-est. Questo avrebbe isolato le forze ucraine che combattevano nelle foreste e avrebbe permesso ai russi di avanzare attraverso la strettoia. In ultima analisi, ciò non si è concretizzato a causa della bassa priorità materiale attribuita a questo fronte, oltre alla difesa molto ben gestita del saliente di Siversk da parte delle forze ucraine. Siversk è stata fortemente tenuta e funge da scudo per il fianco destro ucraino.
Ciò che è attualmente diverso, tuttavia, è che le forze russe hanno consolidato una testa di ponte sul fiume Zherebets, che consentirà loro di aggirare Tors’ke e raggiungere Lyman – non da sud, ma da nord. Nelle ultime settimane i russi si sono spostati nei piccoli villaggi alla periferia della loro testa di ponte (nomi come Kolodyazi e Myrne), creando lo spazio per spostare altre unità oltre lo Zherebets. Come a Kupyansk, la testa di ponte offre il punto di lancio per un attacco a tappeto nelle retrovie delle difese ucraine.

Quello che risalta della testa di ponte russa qui è che non solo è sopra lo Zherebets (cioè, le forze russe sono saldamente sulla sponda occidentale del fiume, mentre gli ucraini più a sud si difendono ancora molto a est), ma che è anche oltre la maggior parte delle fortificazioni campali ucraine nella zona. Prendendo in prestito la mappa di riepilogo militare, che include opportunamente le fortificazioni e i terrapieni, possiamo vedere che c’è ben poco di costruito nello spazio tra lo Zherebets e il Lyman. Le forze russe che escono da questa testa di ponte entrano per lo più in spazi aperti, con solo pochi posti di blocco.

Se la Russia riesce a sfruttare la testa di ponte di Zherebets per avanzare verso Lyman, può far crollare gran parte della difesa ucraina su entrambe le sponde del fiume. Non solo aggira la linea difensiva a Tors’ke e si stende sulla riva settentrionale del Donets, ma ciò accelererebbe anche la caduta del saliente di Siversk. Siversk è stata ben difesa dall’AFU fino a questo punto, ma è già saldamente in un saliente, e la cattura di Yampil porrebbe le forze russe saldamente alle spalle di Siversk e taglierebbe fisicamente la linea di comunicazione principale.
Ancora più a sud, il fronte è ugualmente ben predisposto per le avanzate russe nei prossimi mesi. Gli sviluppi distintivi qui sono stati la cattura di Chasiv Yar e Toretsk e la vittoria della Russia sul fronte di Donetsk Sud. Quest’ultimo è particolarmente importante in quanto salvaguarda il fianco della Russia a sud di Pokrovsk: anziché una tenaglia russa che si allarga nello spazio per circondare Pokrovsk a ovest, l’intera linea del fronte è ora a ovest di Pokrovsk.
Toretsk è stata una questione un po’ spinosa. La Russia ha fatto grandi progressi durante l’inverno avanzando attraverso questo forte accumulo urbano fortificato e all’inizio di febbraio il Ministero della Difesa russo ha annunciato la conquista della città. Nelle settimane successive, tuttavia, sono continuati i combattimenti nelle zone più periferiche: all’inizio si parlava di infiltrazioni ucraine in città, ma le voci si sono trasformate in una vera e propria controffensiva ucraina, con affermazioni sensazionali secondo cui le forze russe a Toretsk sarebbero state accerchiate o distrutte. La situazione ricordava molto le ultime fasi di Bakhmut, quando si parlava spesso di fantomatici contrattacchi ucraini.
Sembra che in realtà sia accaduto che il Ministero della Difesa russo abbia annunciato la conquista della città mentre le sue estremità erano ancora contese. Le forze russe mantengono il controllo della maggior parte della città, ma le unità ucraine sono rimaste alla periferia e i combattimenti sono continuati nella “zona grigia”. Il DeepState (un progetto di mappatura ucraino) ha confermato che non c’è stato un contrattacco generale ucraino, ma che i combattimenti erano semplicemente parte di una continua lotta per la periferia occidentale della città.
Combattere un’azione per prendere tempo a Toretsk è senza dubbio la scelta corretta per l’AFU. Il motivo per cui Toretsk e Chasiv Yar sono state così fortemente contese è abbastanza semplice: entrambe occupano le alture e permetteranno alle forze russe di attaccare in discesa, occupando ampi salienti situati sulla piana dello spazio di battaglia. Le tenaglie da Chasiv Yar e Toretsk lavoreranno in modo concentrico verso Kostyantynivka, facendo crollare la linea ucraina fortemente tenuta lungo il canale a ovest di Bakhmut. Allo stesso modo, le forze in uscita da Toretsk e Niu York si collegheranno con il fronte di Pokrovsk e spingeranno la linea del fronte ben a nord della città.

Si tratta di un bel po’ di cose su cui ragionare, e a volte metto in dubbio il valore di queste analisi. Per coloro che hanno seguito doverosamente questa guerra fin dall’inizio, tutto ciò è abbastanza elementare. Per altri che hanno meno interessati al fronte delle battaglie, è possibile che lo stato di questi insediamenti non sia molto interessante e si riduca a una minuzia astrusa.
In generale, tuttavia, i risultati puntano verso l’alto per la Russia nel Donbas per i seguenti motivi:
- Il crollo del fronte meridionale di Donetsk per l’Ucraina assicura il fianco alle avanzate russe verso Pokrovsk e consente di spingere il fronte a ovest della città.
- Le teste di ponte russe sui fiumi Zherebets e Oskil creano opportunità per aggirare e far crollare le posizioni ucraine intorno a Kupyansk, Lyman e Siversk.
- La cattura di Chasiv Yar e Toretsk, entrambi situati su creste elevate, fornisce il punto di lancio per forti attacchi verso Kostyantynivka, facendo crollare diversi salienti ucraini nel processo.
Tutto sommato, questo fa presagire i continui progressi russi nella prossima fase dell’offensiva. Pokrovsk è già una città in prima linea e Kostyantynivka lo diventerà molto presto. I russi hanno cancellato due importanti fronti negli ultimi tre mesi, facendo crollare prima l’asse del Donetsk meridionale e poi sradicando la posizione ucraina a Kursk. La fase successiva vedrà delle svolte nel Donbas centrale, mentre i russi si muovono attraverso la successiva cintura di città e si avvicinano agli obiettivi finali a Kramatorsk e Slovyansk.

Niente di tutto questo è predeterminato, ovviamente. Entrambi gli eserciti affrontano continui problemi di distribuzione delle forze e al momento grandi raggruppamenti stanno combattendo sia attorno a Pokrovsk che a Toretsk. Ma il fatto semplice è che i russi hanno rivendicato la vittoria su due assi strategici e hanno sconfitto un grande e determinato raggruppamento AFU a Kursk. La conquista di Toresk e Chasiv Yar sono di grande importanza strategica e il fronte è ben predisposto per ulteriori conquiste russe. Le forze russe sono significativamente più vicine alla vittoria nel Donbass di quanto non lo fossero un anno fa, quando il fronte era ancora impantanato in luoghi come Ugledar e Avdiivka. Le forze ucraine sono ancora in piedi, combattono coraggiosamente, ma il fronte sta sanguinando per un numero sempre crescente di ferite.
L’arte dell’affare
Qualsiasi discussione sulla sfera diplomatica e sulle prospettive di un negoziato di pace deve iniziare con la constatazione dell’animus della posizione americana: ovvero che il Presidente Trump è un praticante della politica personale, con una visione fondamentalmente transazionale del mondo. Con “politica personale” intendiamo dire che egli pone grande enfasi sulle proprie dinamiche interpersonali e sulla sua autoconvinzione di uomo d’affari in grado di manovrare le persone per ottenere un accordo, a patto che riesca a portarle al tavolo delle trattative.
Trump non è certo l’unico in questa situazione; per fare un esempio, possiamo guardare al suo predecessore, Franklin Roosevelt, morto da tempo. FDR, proprio come Trump, era molto orgoglioso dell’idea di essere eccezionalmente abile nel gestire, calmare e affascinare le persone. Un principio guida della politica americana durante la Seconda guerra mondiale fu la convinzione di FDR di poter “gestire” Stalin nei rapporti faccia a faccia. In una famigerata lettera a Churchill, FDR disse al primo ministro britannico:
So che non le dispiacerà la mia brutale franchezza quando le dico che penso di poter gestire personalmente Stalin meglio del suo Ministero degli Esteri o del mio Dipartimento di Stato. Stalin odia a morte tutti i suoi uomini di punta. Pensa di piacergli di più, e spero che continuerà a farlo.
Trump condivide una sensibilità simile, che postula la personalità e l’acume nelle transazioni come forza trainante degli affari mondiali. Per essere del tutto onesti con il Presidente Trump, questo ha funzionato ampiamente per lui sia negli affari che nella politica interna, ma potrebbe non essere così adatto agli affari esteri. Tuttavia, questo è il suo modo di pensare. Lo ha espresso in modo sintetico nell’esplosivo incontro del 28 febbraio con Zelensky:
Biden, non lo rispettavano. Non hanno rispettato Obama. Forse [Putin] ha rotto gli accordi con Obama e Bush, e forse li ha rotti con Biden. Forse l’ha fatto. Forse l’ha fatto. Non so cosa sia successo, ma non li ha infranti con me. Vuole fare un accordo.
Che questo sia vero o meno, è importante per inquadrare la situazione ricordare che questo è il modo in cui Trump vede sé stesso e il mondo: la politica è un dominio di transazioni mediato dalla personalità. Tenendo presente questo, ci sono due diverse questioni da considerare, ovvero l’accordo sui minerali tra Ucraina e Stati Uniti e le prospettive di un cessate il fuoco negoziato tra Ucraina e Russia.
L’accordo sui minerali è un po’ più semplice da analizzare e il motivo centrale che emerge è quanto Zelensky abbia sbagliato i suoi incontri con Trump. È utile innanzitutto esaminare il contenuto effettivo dell’accordo sui minerali: nonostante l’enorme prezzo di 500 miliardi di dollari, si tratta in realtà di un accordo molto scarno. L’accordo, nella sua forma attuale, sembra essenzialmente dare alle aziende americane il diritto di prelazione sullo sfruttamento delle risorse minerarie ucraine, con il 50% dei proventi delle risorse statali destinato a un “fondo di investimento” per la ricostruzione dell’Ucraina sotto la gestione congiunta statunitense-ucraina.
L’accordo sui minerali dovrebbe essere inteso come una manifestazione dell’immensa avversione di Trump ad agire in condizioni di svantaggio economico. È un uomo fondamentalmente propenso alle transazioni, che si è lamentato a lungo dei costi del sostegno americano a Kiev, e i diritti minerari sono il modo più semplice per estorcere promesse di “rimborso” a un governo ucraino che non può effettivamente permettersi di rimborsare nulla nel breve termine.
Per l’Ucraina, coinvolgere l’America nelle ricchezze minerarie ucraine potrebbe sembrare un’opportunità per assicurarsi il continuo sostegno americano, poiché potenzialmente creerebbe partecipazioni dirette per le aziende americane. È importante notare, tuttavia, che l’accordo sui minerali non contiene alcuna garanzia di sicurezza per l’Ucraina ed è esplicitamente legato al sostegno “passato”, piuttosto che agli aiuti futuri. In altre parole, Trump vuole presentare l’accordo sui minerali come un modo per l’Ucraina di ripagare gli ultimi tre anni di assistenza americana, e non come un accordo che garantisca il sostegno americano in futuro.

Alla luce di ciò, dovrebbe essere ovvio che Zelensky ha sbagliato l’incontro con Trump. La strategia ottimale per l’Ucraina era quella di avvicinarsi il più possibile all’amministrazione Trump: firmare l’accordo sui minerali, ringraziare, indossare giacca e cravatta e lodare gli sforzi di Trump per negoziare la fine della guerra. I negoziati di Trump si sarebbero scontrati con un muro una volta che i russi fossero stati coinvolti nella discussione, ma in questo scenario (in cui Zelensky si fosse presentato come un sostenitore accomodante nei confronti di Trump), l’ira personale di Trump sarebbe stata diretta contro Mosca, piuttosto che contro Kiev. Questo avrebbe potuto permettere a Zelensky di mettere Trump e Putin l’uno contro l’altro, trasformando la situazione in un maggiore sostegno americano quando Trump si fosse sentito frustrato dalla mancata volontà della Russia di negoziare rapidamente un cessate il fuoco.
Il principio operativo è che Trump è un politico peculiare e mercuriale che dà la priorità agli accordi. L’incapacità di concludere un accordo genera irritazione, e la mossa migliore di Zelensky sarebbe stata quella di fare tutto il possibile per assicurarsi che fosse la Russia a diventare l’elemento della sua irritabilità nel tentativo di accordo di Trump. Purtroppo per l’Ucraina, un’opportunità preziosa è stata sprecata dall’incapacità di Zelensky di interpretare la situazione. Invece, l’Ucraina è stata messa in un timeout ISR e Zelensky è dovuto tornare strisciando con delle scuse per firmare l’accordo sui minerali.
E questo si è tradotto direttamente in tenui tentativi diplomatici, tra cui una lunga conversazione telefonica tra Trump e Putin e una tavola rotonda diplomatica a Riad a cui hanno partecipato delegazioni americane, russe e ucraine.
Finora, l’unico risultato di queste discussioni è stato l’abbozzo di una resa dei conti nel Mar Nero, che nella sua essenza porrebbe fine agli attacchi alla navigazione commerciale (presumibilmente compresi gli attacchi russi alle infrastrutture portuali ucraine a Odessa) in cambio delle mosse americane per ristabilire le esportazioni agricole russe, ricollegando la Russia alle assicurazioni marittime, ai porti stranieri e ai sistemi di pagamento.
Per chi ha seguito la faccenda, si tratta più o meno di una ripresa del defunto accordo sui cereali negoziato dalla Turchia, che è crollato nel 2023. Ci sono ancora punti critici qui: l’Ucraina è irritata dalla promessa di allentare le sanzioni sulle esportazioni agricole russe e la Russia vorrà un serio regime di ispezioni per garantire che il cessate il fuoco del Mar Nero non fornisca una copertura per le armi da spedire a Odessa, ma le cose sembrano nel complesso tornare più o meno alle linee dell’accordo sui cereali del 2022. Resta da vedere se la replica durerà.
Tutto questo è comunque preliminare e forse anche irrilevante per la questione principale, che è se in questo momento sia possibile negoziare una pace significativa in Ucraina, o anche un cessate il fuoco temporaneo. Questo, tuttavia, è un ostacolo molto maggiore da superare. A mio avviso, ci sono quattro ostacoli strutturali a una pace negoziata che Trump ha poca o nessuna leva per superare:
- La disillusione russa nei confronti dei negoziati e della credibilità delle promesse occidentali.
- La crescente fiducia russa di essere sulla buona strada per ottenere una vittoria decisiva sul campo di battaglia.
- La reciproca riluttanza di Mosca e dell’attuale regime di Kiev a impegnarsi in negoziati diretti tra di loro
- Lo status dei territori del Donbas rivendicati dalla Russia e ancora sotto il controllo ucraino.
Molte delle questioni si intrecciano e sono in ultima analisi legate alla situazione del campo di battaglia, dove l’esercito russo continua ad avanzare. Fino a quando la leadership russa riterrà di essere in procinto di conquistare l’intero Donbas (e non solo), è altamente improbabile che la squadra di Putin accetti una vittoria parziale al tavolo dei negoziati: l’unica via d’uscita sarebbe la cessione da parte di Kiev di obiettivi come Kramatorsk e Slovyansk. Per molti versi, l’attuale possesso di queste città da parte dell’Ucraina è la sua carta migliore in qualsiasi negoziato, ma perché le carte siano utili devono essere giocate, ed è difficile immaginare che il regime di Zelensky rinunci semplicemente a città per cui ha combattuto per anni nel difenderle.
Inoltre, Putin ha chiarito che che non considera affatto Zelensky una figura legittima o credibile, sostenendo che poiché Zelensky ha sospeso le elezioni elezioni col pretesto della legge marziale, di fatto non esiste un governo legittimo a Kiev. Si tratta, ovviamente, di un offuscamento del problema da parte del Cremlino: Zelensky è il Presidente dell’Ucraina e, secondo i parametri delle leggi ucraine, le condizioni della legge marziale gli consentono di rimanere in carica. Ma non è questo il punto: ciò che conta è che il Cremlino ha più o meno escluso categoricamente di negoziare con l’attuale governo di Kiev e ha persino suggerito un governo provvisorio con una supervisione internazionale come sostituto.
Secondo una valutazione generosa, affinché vi siano ragionevoli prospettive di un accordo negoziale dal punto di vista russo, devono essere soddisfatte almeno quattro condizioni:
- Il cambio di regime a Kiev per introdurre un governo più acquiescente agli interessi russi.
- Controllo russo di tutti i territori annessi (o tramite le azioni dell’esercito russo sul terreno o con il ritiro di Kiev da questi)
- Ampio alleggerimento delle sanzioni per la Russia
- Impegni credibili che le truppe occidentali non saranno dislocate in Ucraina come “forze di pace” – in quanto, dopo tutto, un obiettivo strategico critico per la Russia era quello di impedire il consolidamento della NATO sul suo fianco, perciò difficilmente accetterà una pace che ne preveda il dispiegamento di truppe in Ucraina.
Finché la Russia continuerà ad avanzare sul campo di battaglia, non avrà alcun incentivo a privarsi di una vittoria completa accettando un accordo parziale e prematuro. Putin ha espresso questo punto di vista chiaro ed esplicito il 27 marzo:
Stiamo gradualmente, non con la rapidità che alcuni vorrebbero, ma comunque in modo persistente e fiducioso, raggiungendo tutti gli obiettivi dichiarati all’inizio di questa operazione. Lungo l’intera linea di contatto, le nostre truppe hanno l’iniziativa strategica. L’ho detto poco tempo fa: li distruggeremo. C’è motivo di credere che li distriggeremo.
È giusto così. In definitiva, la visione per le transazioni della politica di Trump si scontra con la realtà più concreta del significato dei negoziati in tempo di guerra. Il campo di battaglia ha una realtà propria che è esistenzialmente precedente ai negoziati. La diplomazia in questo contesto non serve a negoziare una pace “giusta” o “equilibrata”, ma piuttosto a codificare la realtà del calcolo militare. Se la Russia ritiene di essere sulla traiettoria di una sconfitta totale dell’Ucraina, l’unico tipo di pace accettabile sarebbe quella che esprime tale sconfitta conla caduta del governo ucraino e il ritiro dell’Ucraina dall’est. La Russia è in fibrillazione e Putin non sembra essere dell’umore giusto per accettare una vittoria parziale quando la misura completa è a portata di mano.
l problema per l’Ucraina, se la storia insegna qualcosa, è che non è molto facile arrendersi. Nella Prima guerra mondiale, la Germania si arrese mentre il suo esercito era ancora sul campo, combattendo in buon ordine lontano dal cuore della Germania. Si trattò di una resa anticipata, nata da una valutazione realistica del campo di battaglia che indicava che la sconfitta tedesca era inevitabile. Berlino scelse quindi di prematuramente ritirarsi, salvando le vite dei suoi giovani quando la lotta era ormai senza speranza. Questa decisione, ovviamente, non fu accolta con favore e fu ampiamente denunciata come tradimento e codardia. Divenne un momento spartiacque politicamente segnante che plasmò la sensibilità tedesca e le spinte revansciste per i decenni a venire.
Finché il governo di Zelensky continuerà a ricevere il sostegno dell’Occidente e l’AFU rimarrà sul campo – anche se dovrà costantemente arretrare ed essere maciullata lungo tutto il fronte – è difficile immaginare che Kiev accetti una resa anticipata. L’Ucraina deve scegliere tra la via facile e quella difficile, come si dice in gergo, ma non si tratta di una vera e propria scelta, soprattutto vista l’insistenza del Cremlino sul fatto che un cambio di governo a Kiev è un prerequisito per la pace in quanto tale. Qualsiasi percorso di successo verso una soluzione negoziata passa attraverso le rovine del governo di Zelensky, ed è quindi al momento in gran parte precluso.
Le forze russe sono oggi molto più vicine alla vittoria nel Donbas rispetto a un anno fa e l’AFU è stata decisamente sconfitta a Kursk. Sono pronte a compiere ulteriori progressi verso i confini del Donbas nel 2025, con un’AFU sempre più debole che si sforza di rimanere sul campo. Questo è ciò che l’Ucraina ha chiesto, quando ha volontariamente rinunciato all’opportunità di negoziare nel 2022. Quindi, per tutto il cinema diplomatico, la realtà bruta del campo di battaglia rimane la stessa. Il campo di battaglia è il principio primo e il fine ultimo del potere politico. Il diplomatico è un servo del guerriero e la Russia ricorre al pugno, allo stivale e alla pallottola.
Ottimo articolo