Constantin von Hoffmeister condanna senza appello il pontificato di Papa Francesco. Simbolo del declino della Chiesa cattolica, della resa definitiva al globalismo e ai valori del progressismo liberale, Papa Francesco viene descritto come il pontefice che ha aperto il Vaticano a temi come l’immigrazione incontrollata, l’attivismo per i diritti LGBTQ+ e il cambiamento climatico. Un papa che, per garantire la sopravvivenza della Chiesa, l’ha trasformata in un’entità che promuove un “universalismo digitale” e un “umanesimo secolare”, abbandonando i valori spirituali e identitari tradizionali. La visione di von Hofmeister risente fatalmente della prospettiva nazionalista e identitaria tipica delle posizioni della destra paneuropea dell’autore e non riflette necessariamente la posizione del nostro canale.

di Constantin von Hoffmeister per eurosiberia.net – Traduzione a cura di Old Hunter
Doveva essere la Roccia. Il successore di Pietro. Quello che abbiamo ottenuto è stato uno slittamento, un sospiro, una morbida decomposizione vestita di bianco. Il Vaticano ha smesso di essere una fortezza ed è diventato un campo profughi, i cancelli si sono spalancati per ogni straniero, ogni non credente, ogni voce che chiedeva di entrare con proteste e clamori ipocriti. Papa Francesco ha parlato con hashtag e slogan, scusandosi per i peccati dell’Occidente con coloro che hanno bruciato le sue cattedrali. Il peccato si è dissolto in sofferenza. L’ordine è crollato in empatia. Il Vangelo di Cristo si è trasformato in un manuale di risorse umane per il Sud del mondo, distribuito come opuscoli a un pranzo di Davos. Papa Francesco si è inginocchiato davanti alla telecamera. Ha pianto per gli “scartati” mentre i nascituri venivano dimenticati.
Il pastore della tradizione si è allontanato dal sacro archivio. Le messe in latino sono state limitate. Le ombre barocche dell’incenso e del senso di colpa si sono disperse. Al loro posto hanno sventolato bandiere arcobaleno in Piazza San Pietro. Ha tenuto discorsi sull'”inclusione”, predicato la “tolleranza”, insistito che la Chiesa “accogliesse” coloro che l’avrebbero disfatta. Le sue parole sul clima assomigliavano a quelle dei burocrati di Bruxelles. Le sue opinioni sul capitalismo riecheggiavano quelle dei leader sindacali di Buenos Aires. Sui confini, ha parlato come se serrature e soglie non fossero mai esistiti. Le sue encicliche hanno rispecchiato i libri bianchi delle Nazioni Unite. Nella sua enciclica Fratelli Tutti, ogni fratello è stato reso uguale, ogni anima compressa nell’uniformità. Il divino è divenuto equità. Il Corpo di Cristo è stato sezionato in ONG e quote di migranti.
Fratelli Tutti era la sua lettera d’amore al mondo, non al mondo ferito di santi e martiri, ma alla sfocatura sconfinata di burocrati compiaciuti e corrotti. Niente sangue, solo la fratellanza così come era stata concepita dalla Rivoluzione Francese. Il testo trasudava empatia, disarmava ogni difesa, battezzava lo straniero con sciroppo e teoria. Non c’erano più nazioni, solo “vicini” sparsi per deserti e oceani come una preghiera impazzita. Sovranità? Un’eresia. Identità? Un inconveniente. La guerra era peccato, la gerarchia era peccato, il capitalismo era peccato – ma la diluizione del sacro? Quella era misericordia. Papa Francesco ha borbottato unità e cancellato il nome di ogni popolo che un tempo si era inginocchiato davanti alle croci scolpite dai propri antenati. La chiamava fraternità, ma sapeva di resa.
L’immigrazione clandestina è divenuta la sua crociata. Ha descritto i muri come anticristiani. Eppure il Vaticano ne è circondato. Le porte del Paradiso rimangono chiuse agli impuri. Quegli insegnamenti dovevano forse essere metafore? I confini non erano più sacri? Lavava i piedi dei migranti, ma mai dei fedeli dimenticati. I suoi castighi si sono abbattuti sulle nazioni occidentali, su coloro che hanno costruito le cattedrali che aveva ereditato. Si è schierto con le forze che stavano disgregando l’Europa. Dove altri vedevano un’invasione, lui immaginava il pellegrinaggio. Dove altri mettevano in guardia dall’illegalità, lui lodava il desiderio. Questo era il credo dell’universalismo, spogliato del giudizio. Discernimento abbandonato, caos accolto.
Ha sorriso agli uomini che indossavano rossetto e pizzo, accogliendoli non come peccatori in cerca di redenzione, ma come profeti incompresi di una nuova “inclusività”. Papa Francesco – che una volta chiese: “Chi sono io per giudicare?” – è divenuto il confessore del mondo moderno degenerato; anziché ascoltare i peccati, li ha cancellati. Sotto il suo regno, le unioni civili delle coppie dello stesso sesso sono state lodate, non solo tollerate, e la sacra istituzione del matrimonio si è confusa nel riconoscimento burocratico della convenienza emotiva. Ha incontrato attivisti transgender, benedetto i loro viaggi e, con ogni gesto, scalfito il vecchio altare di pietra. Il catechismo parlava ancora di disordine, eppure il suo tono lo soffocava, dolce e misericordioso, il tono di un pastore che conduceva le sue pecore direttamente nella nebbia della decadenza e del declino.
Online, i suoi difensori si moltiplicavano come muffa nella cripta di una cattedrale. I meme celebravano il credo dell’universalismo, i tweet papali. È divenuto un marchio, un pontefice “progressista”, fluente negli slogan. Ha onorato Greta Thunberg come una santa. Il mistero ha ceduto il passo allo spettacolo. La liturgia digitale ha sostituito quella antica. Gli hashtag si sono diffusi dove un tempo sorgeva l’incenso. È divenuto di tendenza per aver piegato il credo. L’algoritmo lo ha santificato. Le telecamere lo hanno adorato. Gli atei hanno accolto con entusiasmo le sue interviste. Ha messo in discussione il dogma e mai l’ideologia. Quando parlava del Diavolo, nominava razzismo, sessismo, capitalismo – mai il marciume che si insinuava sotto le vesti della Chiesa.
Quando un papa abbraccia il mondo, la Chiesa ne diventa la marionetta. Questa è stata la sua eredità. Ha proclamato l’inclusione, abbandonando il Vangelo. Il suo papato si è dispiegato come una resa. L’armatura è andata. La spada si è arrugginita. Il fuoco si è spento. Ha offerto scuse e compromessi. Mentre piangeva per il vento, la cattedrale è crollata. Ora che se n’è andato, il fumo si alza ancora, incerto, pesante. Il trono rimane occupato, ma profanato. La Chiesa deve risvegliarsi dal delirio. Deve ricordare che l’amore distaccato dalla verità è tradimento. E coloro che ancora credono devono alzare di nuovo lo stendardo, affrontando il mondo non come esige di essere visto, ma come brama di essere salvato.