È appena stato pubblicato “Punto e a capo. Per una rigenerazione della scuola” (Mimesis ed., 492 pp.), l’opera più completa di analisi critica sul degrado della scuola pubblica italiana, ricca di idee e proposte per la sua rinascita con uno strutturato progetto per un futuro umano del mondo dell’istruzione. Il libro, curato da Luciano Boi e Michele Maggino, è l’esito di un lavoro collettivo che ha coinvolto per due anni 15 autori di diversa formazione, quasi tutti insegnanti nei tre gradi del ciclo scolastico oltre che universitario. Giubbe Rosse pubblica in esclusiva, per gentile concessione della casa editrice, la Prefazione del volume scritta dai due curatori.

di Luciano Boi e Michele Maggino
Stiamo vivendo tempi di cambiamenti epocali su tutti i fronti del pensiero e dell’agire umani. La scuola è pienamente immersa in questo processo di radicali trasformazioni: gli ultimi tre decenni hanno portato ad un progressivo stravolgimento delle tensioni ideali e ad una costante opera di destrutturazione delle istituzioni scolastiche sotto l’insegna dell’aziendalizzazione (ovvero, una scuola appiattita sulle esigenze del mondo delle imprese e su una sua omologazione ai processi produttivi in tutti i loro aspetti) e della digitalizzazione pervasiva, che sta portando alla rimozione di altre modalità importanti dell’apprendimento e dell’acquisizione delle conoscenze, come l’immaginazione, la memorizzazione, l’osservazione, la sperimentazione e la socializzazione.
È stato smembrato pezzo per pezzo tutto il sistema scolastico portandolo all’attuale grado di degenerazione attraverso un suo smantellamento sistematico e premeditato, il degrado della funzione docente e l’incapacità da parte delle istituzioni di invertire la rotta realizzando una rifondazione della scuola.
La declinazione più recente di questo cambiamento radicale concerne il processo di digitalizzazione. La società digitale globale, monopolizzata dalle multinazionali del digitale, vuole una scuola digitale, uno studente digitale, un insegnante digitale, una pedagogia digitale. Vuole che i docenti insegnino a pensare
digitale.
Al di là dell’indubbia utilità degli strumenti digitali in aspetti specifici della didattica (pensiamo ad esempio all’uso di simulazioni digitali nella didattica della matematica e della fisica, purché si tratti di simulazioni di cui gli studenti comprendano completamente la logica e le basi concettuali e che in casi semplici siano in grado di progettare loro stessi), le nuove tecnologie informatiche, potentemente pervasive e trasformative a livello sociale e individuale, quantitativo e qualitativo, non consentono la persistenza di forme di sapere tradizionalmente intese, cioè tradizionalmente elaborate, conservate e trasmesse attraverso un codice di comunicazione prevalentemente alfabetico, causale e sequenziale o attraverso forme di conoscenza empirica. La prospettiva negativa è quella di immergere passivamente gli studenti in realtà virtuali prefabbricate che possano essere da loro scambiate con realtà naturali, senza fornire gli strumenti critici per analizzarne la logica di progettazione e gli inevitabili limiti.
La didattica digitale si fonda infatti sulla dematerializzazione e sull’assenza del corpo; vengono meno l’espressività, la riflessione e la rielaborazione critica degli argomenti che nella classe si istituisce attraverso il dialogo aperto, la reciprocità dello sguardo, il movimento dei corpi, l’incontro umano, la vita. La pedagogia digitale, disconnettendo i bambini dal mondo fisico per collegarli ad uno virtuale, in definitiva, nega l’umano, nega la vita.
A queste conclusioni sono arrivati non soltanto studiosi disinteressati ma anche decisori politici. A tal proposito è importante richiamare la relazione finale sull’indagine conoscitiva condotta dalla VII Commissione Permanente del Senato dal titolo “Sull’impatto del digitale sugli studenti, con particolare riferimento ai processi di apprendimento”. I lavori della Commissione, erano cominciati nell’aprile del 2019, ovvero prima dell’inizio dell’emergenza sanitaria.
Il testo è redatto sulla scorta, oltre che di una copiosa letteratura scientifica internazionale, anche delle audizioni di psichiatri, neurologi, psicologi, pedagogisti ed enumera i gravissimi danni fisici e psicologici che discendono, incontrovertibilmente, dall’uso/abuso della strumentazione digitale (smartphone, videogiochi, tablet etc.).
Le conclusioni sono che la prolungata esposizione degli studenti ai dispositivi elettronici comporta danni fisici: miopia, obesità, ipertensione, disturbi muscolo-scheletrici, diabete. E ci sono i danni psicologici: dipendenza, alienazione, depressione, irascibilità, aggressività, insonnia, insoddisfazione, diminuzione dell’empatia. Ma a preoccupare di più è la progressiva perdita di facoltà mentali essenziali, le facoltà che per millenni hanno rappresentato quella che sommariamente chiamiamo intelligenza: la capacità di concentrazione, la memoria, lo spirito critico, l’adattabilità, la capacità dialettica. I dispositivi generano dipendenza e riducono la neuroplasticità del cervello. Il cervello infatti agisce come un muscolo, si sviluppa in base agli stimoli che riceve e all’uso che se ne fa e, ove una determinata facoltà non sia esercitata, si atrofizza. “Niente di diverso dalla cocaina – si legge nel documento – stesse, identiche, implicazioni chimiche, neurologiche, biologiche e psicologiche”. (D’altra parte, nella Cognitive Warfare già operativa per organizzazioni sovranazionali e militari il cervello umano è esplicitamente diventato il campo di battaglia).

La relazione conclude affermando che, “dal ciclo delle audizioni svolte e delle comunicazioni acquisite non sono emerse evidenze scientifiche sull’efficacia del digitale applicato all’insegnamento. Anzi, tutte le ricerche scientifiche internazionali citate dimostrano, numeri alla mano, il contrario”. Dunque, “rassegnarsi a quanto sta accadendo sarebbe colpevole. Fingere di non conoscere i danni che l’abuso di tecnologia digitale sta producendo sugli studenti e in generale sui più giovani sarebbe ipocrita”.
Al quadro sopra delineato occorre aggiungere un sempre più accelerato degrado della scuola innescato non soltanto dalle condizioni di deterioramento materiale e dall’incuria in cui versano numerosi istituti scolastici, ma anche e soprattutto da un declino della funzione culturale e sociale dell’istituzione scolastica, che da valore primario nella scala dei diritti e dei doveri è via via degradata in una posizione sempre più marginale nei processi educativi e formativi.
Urge ripensarne profondamente il ruolo operando una sorta di rivoluzione copernicana, cioè facendone il punto di riferimento imprescindibile dell’apprendimento, dell’acquisizione delle conoscenze e della formazione delle persone.
La scuola deve ridiventare il perno attorno al quale organizzare e sviluppare tutti gli altri momenti essenziali della crescita cognitiva, civile e sociale di ogni singolo individuo e delle comunità. È necessario rimarcare che le élite di potere, sempre più dedite a velocizzare i processi di mutazione antropologica e culturale delle società umane, hanno ben chiaro dove vogliono portare il mondo della scuola, ovvero, in definitiva ed in estrema sintesi, intendono traghettarlo verso l’affermazione del pensiero unico ed il trionfo della tecnocrazia.
È ormai inderogabile dunque contrastare queste tendenze se vogliamo gettare le basi per un rigenerato umanesimo del terzo millennio e proporre con forza una scuola ed un’educazione dell’uomo orientate verso il senso e le finalità profonde della sua natura ed esistenza.
In sintesi, è necessario prefigurare una scuola che abbia come compito più quello di educare che di istruire, più quello di formare che di informare. L’accesso alla scuola deve fondarsi sulle pari opportunità per ognuno, indipendentemente dalla sua estrazione sociale e dal suo livello cognitivo. La scuola deve contribuire a sviluppare il pensiero critico invece di favorire l’omologazione culturale. La scuola deve alimentare la curiosità e la gioia di conoscere e non promuovere un’idea utilitaristica della conoscenza e la professionalizzazione del sapere.
Si tratta di restituire un ampio e fondamentale ruolo ai contenuti e metodi vivi e umani del processo di acquisizione delle conoscenze, ma anche di arricchire il significato stesso dell’insegnamento, il quale non può mai essere mera trasmissione di dati e informazioni, ma deve realizzarsi attraverso un dialogo continuo, di natura educativa, culturale e sociale che si costruisce tra docente e discente in uno spazio e un tempo condivisi. L’apprendimento e l’acquisizione delle conoscenze sono momenti essenziali di vita e di socializzazione, esperienze fondanti dell’identità degli individui e della cultura umana.

Occorre riaffermare un modello di scuola della conoscenza che, attraverso un insegnamento articolato e uno studio serio e rigoroso delle discipline che esplorano e rispecchiano i diversi campi del sapere e i loro intrecci, possa stimolare un’adeguata attitudine critica insieme all’amore per una conoscenza non superficiale delle cose del mondo, ovvero una scuola che sia in grado di fornire alle giovani generazioni gli strumenti cognitivi e speculativi indispensabili per indagare la complessità del reale, conoscere il passato, interpretare il presente ed affrontare il futuro.
Una scuola rifondata avrà bisogno di più linguaggi: il linguaggio dei segni e delle parole, ma anche quello dei gesti e degli affetti. Non bastano i codici virtuali (cioè gli algoritmi e l’intelligenza artificiale) e i simboli astratti (cioè i formalismi e il calcolo meccanico) per la formazione delle capacità razionali e l’acquisizione delle conoscenze, poiché sono anche essenziali l’intuizione spaziale (comprensione geometrica) e l’immaginazione topologica (il cambiamento delle forme). Questo non significa naturalmente che la matematica debba (o possa) rinunciare alle generalizzazioni astratte e alle forme simboliche che richiedono uno studio attento e una capacità di ragionamento, e alle quali si perviene anche attraverso il movimento e l’azione.
Da qui l’importanza di sviluppare una visione dinamica e attiva per la comprensione di molti concetti matematici particolarmente significativi, come quelli di simmetria, trasformazione, deformazione, superficie, spazio e funzione. Sia sul piano cognitivo che su quello dell’apprendimento, l’intuizione non è antitetica al rigore, e l’immaginazione non si oppone al ragionamento astratto (o al linguaggio simbolico), poiché le due componenti del pensiero sono in realtà complementari e entrambe necessarie.
La scuola deve favorire un dialogo vivo tra la cultura del passato in tutte le sue espressioni e gli sviluppi più recenti del pensiero filosofico-scientifico sulla natura e la natura umana, cercando di rimettere in movimento il confronto e lo scambio fecondo delle conoscenze, ridisegnando una mappa dei saperi, scientifici, umanistici e artistici, per congiungerli e renderli mutuamente fecondi. Il tutto sorretto dalla convinzione che la scuola debba rappresentare un antidoto all’omologazione del pensiero, un luogo cardine dedito allo sviluppo del pensiero critico e alla formazione di cittadini liberi, insomma un elemento portante di una rinascita della società e del primato della cultura.
La scuola – scrive Carlo Ossola – deve ridiventare il centro in discusso della formazione e della conoscenza individuale. In una realtà sempre più segnata da scienze applicative e tecnologiche, la memoria poetica e la cultura umanistica devono rivendicare la loro funzione critica e riacquistare una centralità ermeneutica – l’arte di sapersi porre delle domande e di saper cercare delle risposte”. È durante la scuola elementare che bisogna cominciare a esercitare la memoria. Non esercitandola, buttiamo un dono prezioso. Oggi è questa la sfida più importante dell’insegnamento: bisogna riattivare quell’esercizio, arrestare l’irresistibile processo di delega mentale rappresentato dal mondo delle risorse.
Il pensiero – nelle parole di Lamberto Maffei (da Elogio della parola, 2018) – va formato e curato nella scuola, nella scuola della parola. Coltivare la proprietà umana di parlare e ascoltare è il primo compito della scuola. Solo la scuola pubblica, che ne ha il dovere, può insegnare a tutti che parlare, confrontarsi, aprirsi alla dialettica delle idee, ribellarsi pacificamente, devono essere frutto della ragione e non soltanto della rabbia.
Corre il dubbio – continua Maffei – che l’incuria in cui la scuola è lasciata, nel disinteresse dei governi, non sia causale ma programmata, perché una buona scuola può far paura a chi ha ingiusti privilegi che non vuole perdere. Sudditi muti, non educati alla parola e al pensiero, sono cittadini funzionali a una democrazia solo di facciata. L’insegnante, a mio parere, deve fare come Michelangelo, scoprire la figura, la forma nascosta cioè le potenzialità cerebrali dell’alunno e, come scrive Montaigne, “accendere il fuoco”, la gioia del conoscere.
Per non far morire i valori di umanità, consciamente e forse anche inconsciamente, messi in pericolo dall’avanzare della tecnologia, non c’è che la scuola, che rimane l’unica resistenza etica alla società del dio mercato. Per cambiare il mondo, se crediamo nei valori dell’uomo che sono poi quelli della ragione, bisogna cambiare le scuole, scriveva Mandela.
Un proverbio cinese del passato recitava così: “Non dare un pesce a un bambino, insegnali piuttosto a pescare”. Oggi dovremmo dire: “Non dare un tablet o un cellulare a un bambino, insegnali piuttosto a giocare, a parlare e a pensare”. “In un elaboratore elettronico si trova un gran numero di dati, ma non si
trova la cosa essenziale: le domande.” Perciò occorre sviluppare la capacità di interrogarsi, di coltivare la curiosità, di saper formulare domande feconde che suscitano nuove conoscenze, in un rapporto gioioso con l’apprendimento vissuto come esperienza di formazione e di condivisione. (Citato da In difesa dell’umano. Problemi e prospettive, a cura di L. Boi, U. Curi, L. Maffei, L. Miraglia, Edizioni Vivarium Novum/Bibliopolis, Frascati-Napoli, 2022).
In definitiva, occorre con urgenza delineare ed affermare una scuola che rappresenti un luogo vitale ed una voce autorevole a difesa delle caratteristiche essenziali ed universali dell’umano.
Con questo libro abbiamo dunque chiamato a raccolta alcune delle menti più brillanti, aperte e coraggiose per contribuire ad avviare un tale percorso di ri-generazione della scuola.
I contributi che presentiamo spaziano da analisi storiche approfondite che cercano di individuare le origini della crisi della nostra scuola (sia dei suoi contenuti che dei suoi metodi e altresì del declino del suo ruolo culturale e sociale), a diagnosi sull’attuale situazione, per passare a proposte concrete e specifiche su determinati aspetti della vita scolastica e per concludersi infine con una proposta strutturata di rigenerazione della scuola.

Diversi contributi affrontano anche temi più generali che sottendono la visione nuova che bisognerebbe sviluppare al fine di rigenerare i contenuti e i metodi della scuola e ridarle un ruolo prioritario nello studio e nell’approfondimento delle conoscenze nei campi fondamentali del sapere. Tra questi temi vogliamo qui citare quelli della ricomposizione dei saperi e in particolare delle scienze della natura e gli studi umanistici a partire da una rivalutazione formativa e cognitiva della cultura classica, della filosofia e della letteratura, dell’importanza di mettere a confronto la matematica con l’arte e la musica, del legame vitale che va ripristinato tra l’apprendimento della lingua e quello della matematica, dell’esigenza di ridefinire le relazioni reciproche tra scienza, filosofia e storia dove tutte e tre le dimensioni vanno considerate, e tra tecnoscienze e conoscenze spostando l’interesse a favore di quest’ultima, che è una conditio sine qua non per arginare l’analfabetismo culturale e digitale di ritorno e fornire gli strumenti concettuali che consentono lo sviluppo del pensiero critico.
Altri temi legati intimamente a quelli appena richiamati e anch’essi trattati in diversi contributi sono quelli del ruolo costruttivo e virtuoso dell’errore nel processo dell’apprendimento, della necessità di ridare autorevolezza educativa e culturale all’insegnante, dell’esigere il rispetto come regola essenziale a cui improntare le relazioni tra gli alunni, e del bisogno di introdurre un rapporto simmetrico tra diritti e doveri nello studio e nel comportamento.
In sintesi, bisogna ripensare la scuola rigenerando il ruolo fondamentale che in essa devono avere la parola e la lingua, l’apprendimento di contenuti e metodi per pensare, la comprensione di quello che si apprende e si fa. Insomma, è della scuola del logos che abbiamo urgentemente bisogno per riscoprire la meraviglia della scoperta e il senso della vita.
Senza avere la pretesa di essere stati esaurienti in maniera definitiva sulle tre fasi di anamnesi, diagnosi e prognosi, vogliamo sperare che il presente volume possa costituire un importante ed efficace stimolo alla discussione ad ampio raggio sul futuro della scuola, facendo uscire il residuale dibattito sui temi dell’educazione e dell’istruzione scolastica dall’attuale dimensione appiattita su singole e marginali questioni per portarlo ad affrontare l’essenza della posta in gioco per l’educazione e la formazione delle future generazioni.
INDICE DEL LIBRO
- La “Scuola” nell’epoca della minorità intellettuale. Fabio Bentivoglio (Filosofo, saggista, già Docente di Storia e Filosofia, Pisa).
- La scuola del dubbio e dell’ascolto. Per una ricomposizione dei saperi. Luciano Boi (École des Hautes Études en Sciences Sociales, Centre de Mathématiques, Parigi, e Università di Cagliari, Logica e Filosofia della Scienza).
- La falsa contrapposizione tra scuola di qualità e scuola inclusiva: per una rivisitazione della storia del primo ciclo di istruzione. Lucio Bontempelli (Dirigente Scolastico).
- La scuola e/è TESSERE. Creatività, Educazione, Formazione ne “la sfida di una scuola che cambia”. Rossella Capuano (Docente di Storia dell’arte).
- Lo specchio di Medusa. Maria Cristina Fortunati (Docente di Storia dell’arte, Frascati e docente presso Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”).
- A scuola di errori. Enrico Castelli Gattinara (Epistemologo e storico della scienza e insegnante di scuola media).
- Attenzione alle protesi intellettuali. Laura Catastini e Franco Ghione (Dipartimento di Matematica, Università degli Studi di Roma 2 “Tor Vergata”).
- La crisi dell’autorità nella scuola italiana. Alcune riflessioni sulla situazione attuale. Alberto Jori (Dipartimento di Studi Umanistici, Sezione di Filosofia, Università degli Studi di Ferrara).
- Autopsie (de l’école). Marc Le Bris (Direction des Systèmes d’Information, Université de Tours, Francia).
- Last Call. Cambiare il dispositivo della scuola. Raffaele Mantegazza (Dipartimento di Medicina e Chirurgia, Università degli Studi di Milano-Bicocca).
- Di Storie, Tempeste e Anamorfosi. Alexandra Massini (Responsabile programmi internazionali, Accademia Vivarium Novum di Frascati).
- A lezione nel metaverso. La digitalizzazione della didattica. Sonia Milone (Architetto e critico d’arte).
- Dove sta andando la scuola? Si può cambiare la direzione della trasformazione? Lucio Russo (Dipartimento di Matematica, Università degli Studi di Roma 2 “Tor Vergata”).
- Ricostituire l’intero. Riflessioni sulla scuola del futuro. Patrizia Scanu (Docente di Scienze umane).
- “La scuola. Per un futuro umano”. Il progetto. (a cura di) Michele Maggino (Docente di scuola primaria).