Dobbiamo iniziare a ricostruire il ponte che altri hanno cercato così duramente di distruggere.

di Thomas Fazi sul suo thomasfazi.com – Traduzione a cura di Old Hunter
Sto scrivendo queste parole a circa 5.000 metri di altezza, in volo da Roma a Istanbul. Da lì, domani mattina, volerò a Mosca per assistere e documentare la parata del Giorno della Vittoria del 9 maggio, che quest’anno celebra l’80° anniversario della sconfitta della Germania nazista da parte dell’Unione Sovietica. A patto, ovviamente, che il mio volo non venga cancellato a seguito del massiccio attacco con droni ucraino a diversi aeroporti russi.
Sarà la mia prima volta in Russia e non vedo l’ora di visitare la città, incontrare gli amici e godermi un po’ di buona vodka con sottaceti. Ma ovviamente, non è per questo che ci vado. Ho scelto di essere a Mosca proprio in questo giorno perché è importante. Stiamo vivendo un periodo estremamente buio e pericoloso. Negli ultimi tre anni e mezzo, i governi europei hanno sistematicamente smantellato le relazioni diplomatiche, economiche e culturali con la Russia, conducendo al contempo una guerra per procura contro il Paese, a spese dell’Ucraina. Sebbene molti ancora non se ne rendano conto, l’Europa è in guerra – militarmente, economicamente e culturalmente – con la più grande potenza nucleare del mondo. Armi, intelligence e finanziamenti forniti dall’Occidente hanno contribuito alla morte di migliaia di soldati russi.
Non si tratta di un evento senza precedenti. Le potenze europee sono ripetutamente entrate in guerra contro la Russia: nella guerra di Crimea, nella Prima Guerra Mondiale e, più catastroficamente, nella Seconda Guerra Mondiale, quando la Germania nazista lanciò la più letale campagna militare della storia, l’Operazione Barbarossa, contro l’Unione Sovietica, che causò milioni di vittime russe. Ora, ancora una volta, l’Europa sta giocando col fuoco. Ciò a cui stiamo assistendo non è una reazione all’invasione russa del 2022; è la prosecuzione di un’offensiva geopolitica decennale che alla fine l’ha provocata.
Per oltre trent’anni, la maggior parte degli europei ha vissuto inconsapevole della guerra invisibile che si stava svolgendo nel loro continente. L’espansione della NATO verso est, le varie “rivoluzioni colorate” nei paesi post-sovietici, il colpo di stato del 2014 in Ucraina sostenuto dall’Occidente, la successiva guerra civile nel Donbass, le sanzioni economiche e l’incessante campagna mediatica contro la Russia: queste sono state solo fasi diverse di una guerra tra Occidente e Russia. Tre anni e mezzo fa, è semplicemente entrata in una fase molto più aperta.
Ciò che rende tutto ciò ancora più inquietante è che questa campagna non è stata nemmeno guidata da un calcolo strategico europeo. In realtà, l’Europa aveva tutto da guadagnare da relazioni stabili con la Russia post-sovietica. Questa rottura è stata invece orchestrata nell’interesse di una potenza straniera – gli Stati Uniti – per la quale mantenere l’Europa divisa dalla Russia è sempre stato un imperativo geostrategico. La Russia rappresentava una sfida non solo al dominio statunitense durante la Guerra Fredda, ma anche all’egemonia unipolare che ne è seguita. Ecco perché Washington ha trascorso i decenni successivi alla Guerra Fredda cercando di smantellare la Russia economicamente, politicamente e culturalmente, usando l’Europa come testa di ponte.
Sebbene molti leader europei abbiano approfondito i legami con la Russia negli anni 2000, non hanno avuto il coraggio politico – o l’indipendenza – per resistere alle pressioni di Washington. Che sia per ignoranza, complicità o codardia, i leader europei hanno la responsabilità collettiva di aver riacceso l’antagonismo che un tempo ha condotto il continente a due guerre mondiali.
E come negli episodi precedenti, questa ultima escalation è stata accompagnata da un’aggressiva campagna di disumanizzazione e russofobia. Abbiamo assistito a inviti a bombardare edifici governativi russi nei talk show, alla confisca di auto e telefoni russi ai confini dell’UE, alla rimozione di opere letterarie e artistiche russe dalle istituzioni europee e ad atleti russi costretti a gareggiare senza bandiera o inno.
Nel frattempo, i leader europei continuano ad alimentare il fuoco con una retorica incendiaria e massicci programmi di riarmo, giustificati dallo spettro di una minaccia russa che semplicemente non esiste. Stanno erigendo una nuova cortina di ferro, non solo fisicamente, ma anche psicologicamente e culturalmente. La reazione contro leader come lo slovacco Robert Fico, che ha osato dire che avrebbe partecipato alle celebrazioni del 9 maggio, la dice lunga. Non ci deve essere alcun contatto con il “mostro russo”: questo è il nuovo dogma della “diplomazia” europea.
Le conseguenze di questa politica sono state devastanti. Dal punto di vista economico, la rottura con la Russia – in particolare la perdita di energia a basso costo – è stata catastrofica. In termini di sicurezza, l’Occidente ha portato l’Europa sull’orlo di uno scontro diretto con una superpotenza dotata di armi nucleari. Questo disastro è stato finora scongiurato solo grazie alla moderazione della leadership russa, nonostante le ripetute provocazioni occidentali.
Altrettanto gravi sono le conseguenze culturali e, oserei dire, spirituali di questa separazione forzata. Per secoli, Europa e Russia sono state coinvolte in un ricco processo di osmosi culturale – nella letteratura, nella musica, nel cinema, nella filosofia. La cultura russa fa parte del patrimonio europeo, così come la cultura europea fa parte di quello russo.
Anche politicamente, l’Unione Sovietica ha svolto un ruolo decisivo nel plasmare l’Europa del dopoguerra. L’esistenza stessa dell’URSS ha alimentato il sogno del socialismo democratico occidentale e ha reso possibile la socialdemocrazia occidentale, costringendo le élite ad accettare lo stato sociale e i diritti dei lavoratori. Da italiano, sono particolarmente attento ai profondi legami tra il Partito Comunista Italiano e l’Unione Sovietica, legami che hanno influenzato la vita politica italiana ben oltre la Guerra Fredda.
Ciò che gli Stati Uniti e i loro rappresentanti europei hanno fatto – con azioni o inazioni – è una tragedia di proporzioni storiche. Come scrive il filosofo tedesco Hauke Ritz nel suo straordinario libro “Dal declino dell’Occidente alla reinvenzione dell’Europa”:
Aver respinto e forse perso definitivamente questo amico pianificando la separazione dell’Ucraina dalla Russia, come fece un tempo l’Alto Comando tedesco durante la prima guerra mondiale, è forse l’errore più drammatico che l’Europa abbia mai commesso in tutta la sua storia.
Ecco perché ho scelto di essere a Mosca il 9 maggio. È un piccolo ma deliberato atto di sfida al tentativo di recidere i legami tra Europa e Russia. Il momento è particolarmente simbolico: il 9 maggio commemora la vittoria della Russia sul nazismo, una storia che i leader europei stanno ora tentando di riscrivere o cancellare.
Questo potrebbe sembrare un gesto di poco conto, ma anche gli atti simbolici contano. L’Europa si trova oggi in un pericoloso interregno: il vecchio ordine transatlantico è crollato, ma nessun nuovo quadro ha preso il suo posto. In questo vuoto, leader sconsiderati si aggrappano a istituzioni obsolete e ideologie deliranti. Questo periodo di transizione tra il vecchio mondo morente e quello nuovo, che non è ancora nato, è un momento estremamente pericoloso, in cui politici disperati possono facilmente andare in cortocircuito.
È possibile ricucire i rapporti con la Russia? Questa domanda non è solo geopolitica, è esistenziale. La crisi d’identità dell’Europa, la sua irrilevanza strategica e la sua disintegrazione sociale derivano tutte da una condizione più profonda: negli ultimi 80 anni, l’Europa non si è autogovernata. È stata subordinata a una potenza esterna – gli Stati Uniti – e tagliata fuori dalle proprie radici storiche e culturali.
Il mito dell'”Occidente” è una finzione, un eufemismo per un impero statunitense informale. Tagliando i legami con la Russia, l’Europa ha tagliato i legami con sé stessa. Come sostiene Ritz, solo riallacciando i rapporti con la Russia l’Europa può rivendicare la propria sovranità culturale e politica. Solo la Russia, tra le nazioni “europee”, ha preservato una visione della cultura europea radicata nella tradizione, in contrasto con il postmodernismo vuoto esportato dal mondo atlantico.
In breve, la sopravvivenza dell’Europa dipende dalla rottura con gli Stati Uniti e dalla definizione di un’identità post-atlantica. Ciò significa riallacciare i rapporti con la Russia, non come una concessione politica, ma come un imperativo di civiltà. È un compito arduo, ma è l’unica strada percorribile. Ecco perché io – e molti altri europei – cercheremo di essere a Mosca il 9 maggio: per iniziare a ricostruire il ponte che altri hanno cercato così duramente di distruggere.