ALCUNE RIFLESSIONI SULL’INTELLIGENZA ARTIFICIALE. Parte 1

DiOld Hunter

10 Giugno 2025
Jonas Åberg sostiene che ciò che distingue gli esseri umani dai sistemi artificiali è la coscienza, ovvero la capacità di muoversi tra livelli di realtà qualitativamente diversi, rendendo possibili la vera comprensione e l’intelligenza.

Jonas Aberg, arktosjournal, 9 giugno 2025    —    Traduzione a cura di Old Hunter

Parte 1: Comprendere senza usare il linguaggio

Perché parliamo di intelligenza artificiale? Perché diciamo che gli algoritmi imparano? Perché affermiamo di comunicare con i computer? Cosa rende queste metafore così convincenti da non renderle tali e da non metterle in discussione?

Un programma per computer non può essere intelligente. O stupido, se è per questo. Può essere bravo o cattivo nello svolgere un compito. Un programma per computer non può imparare cose. Può avere un design più o meno flessibile. Può essere più o meno efficiente e versatile.

Chi risolve i problemi è intelligente. Quindi, una tecnologia in grado di risolvere i problemi è intelligente? Risolvere i problemi è certamente un segno di intelligenza. Uno dei più chiari e inequivocabili. Abbiamo ragione di credere che più un problema è difficile, più intelligente è chi lo risolve.

L’uso dei segni e del linguaggio è un’altra prova di intelligenza. Un uso dei segni che consenta una comunicazione razionale è una sorta di conferma dell’intelligenza di chi li usa. Quando cerchiamo criteri (facilmente applicabili) per l’intelligenza, è difficile trovare qualcosa di meglio. Pertanto, quando ci troviamo di fronte a risolutori di problemi che utilizzano il linguaggio, siamo spontaneamente portati a credere di avere a che fare con un fenomeno intelligente. Questo, tra l’altro, è un esempio di reazione intelligente.

Ma l’intelligenza non riguarda né la risoluzione del problema né i passaggi tra la formulazione del problema e la proposta di una soluzione. Nella misura in cui un problema può essere formalizzato, ovvero espresso utilizzando un insieme limitato di segni univoci e indipendenti dall’interpretazione, il cui uso è governato da una serie di regole di formazione delle frasi e di inferenza, la sua risoluzione può, in linea di principio, essere sempre automatizzata, ovvero svincolata dal pensiero cosciente/guidato dalla comprensione, ed eseguita, ad esempio, da un computer. In linea di principio, esiste sempre un algoritmo (una sequenza di operazioni) che può portare da un problema formulato in un linguaggio formale a una soluzione formulata nello stesso linguaggio. La digitalizzazione e la tecnologia informatica ne sono una testimonianza.

Il linguaggio è un criterio incompleto e fuorviante per l’intelligenza. (Non è forse l’intelligenza del bambino che gli permette di imparare una lingua?) Questo in parte perché esistono molte altre forme di intelligenza più importanti, e in parte perché l’uso dei segni non indica necessariamente intelligenza. Inoltre, questo criterio ha la conseguenza negativa di renderci più difficile comprendere l’esistenza e il comportamento di creature che non sembrano usare alcun linguaggio o non comunicano in un modo paragonabile al nostro. Aumenta inutilmente le differenze tra noi e gli altri esseri viventi.

Non tutto è un problema nel senso che di solito intendiamo con il termine, ovvero gestire un compito di cui non abbiamo la soluzione quando lo affrontiamo. Tuttavia, è possibile che molte attività “non problematiche” possano anche essere descritte come problemi con un piccolo sforzo. In ogni caso: l’intelligenza consiste nel modo in cui un problema viene percepito, ovvero nella natura della relazione tra il problema e chi lo risolve. L’intelligenza consiste più precisamente nel fatto che il problema venga compreso , nel comprenderlo, in primo luogo, come tale, e in secondo luogo, come un problema di un tipo specifico, inteso come qualcosa che richiede una soluzione con maggiore o minore insistenza. Un problema presuppone, in altre parole, la consapevolezza del problema e una mentalità orientata alla soluzione. Per questo, come per le condizioni psicologiche in generale, non esiste un linguaggio formalizzato né un algoritmo.

L’intelligenza è comprensione. Capire qualcosa significa usare la propria intelligenza. Essere intelligenti significa avere (una buona) capacità di comprensione. Cos’è dunque la comprensione? A questa domanda si dovrebbe rispondere in un modo che non si limiti agli esseri umani e alle circostanze umane.

Il prerequisito elementare affinché qualcosa sia compreso o, in altre parole, affinché sia ​​rilevante descrivere un atto cognitivo come comprensione è:

1) che esistano due livelli di elaborazione delle informazioni qualitativamente diversi e

2) che sia possibile in qualche modo passare da un livello all’altro.

Comprendere (qualcosa) significa compiere questo passo. Chi compie questo passo è di conseguenza qualcuno che comprende.

Il motivo per cui i sistemi digitali – sistemi basati e operanti con segni e regole puramente formali – non possono compiere questo passo è che per loro esiste un solo livello: quello digitale. Questo non è un difetto di questi sistemi. La chiave della loro utilità ed efficienza risiede, al contrario, nel fatto che possono gestire compiti e risolvere problemi senza, come gli esseri umani, essere costretti a comprenderli. Lavorando sempre allo stesso livello, si possono ottenere guadagni significativi in ​​termini di capacità e velocità di calcolo. La risoluzione dei problemi riguarderà la progettazione degli algoritmi e l’architettura e la capacità del sistema che elabora i segni digitali. Se si dimostrerà possibile scrivere algoritmi che a loro volta possano scrivere algoritmi nuovi e migliori, e se tra questi algoritmi ce ne saranno alcuni che potranno contribuire a migliorare il flusso di dati stesso (la costruzione e la capacità del computer), non ci saranno limiti teorici a questo sviluppo [1]. Un esempio semplice ma importante di comprensione è vedere qualcosa o, più precisamente, vedere qualcosa come qualcosa (di specifico). Vedere un albero, un gatto, le nuvole nel cielo, o qualsiasi altra cosa, è, in altre parole, un esempio di intelligenza. Quale problema si sta risolvendo qui? Si potrebbe sostenere che si tratti di un problema di identificazione. Ma non accade spesso in questi contesti che la soluzione venga prima del problema? Non ci chiediamo: “Cos’è quella cosa maculata che si muove laggiù?”, ma diciamo invece: “Ecco di nuovo il gatto del Bengala del vicino”.

Poiché una creatura ha bisogno di vedere o percepire in altro modo ciò che la circonda immediatamente per muoversi con successo e deve essere in grado di registrare le possibilità di movimento e gli ostacoli tra sé e la sua destinazione, muoversi tra due punti nello spazio è un altro importante esempio di intelligenza.

La storia del robot rotolante

Un robot mobile dotato di un programma di navigazione e di sensori per registrare l’ambiente circostante utilizza i sensori per digitalizzare lo spazio tridimensionale in uno unidimensionale e quindi utilizza i suoi algoritmi per risolvere il compito di muoversi su questa superficie. Mentre il piccolo robot avanza tra gli ostacoli, il programma per computer non si muove da nessuna parte. Si muove poco come se giocasse a Go o a Minecraft. Ma non abbiamo forse a che fare con due livelli qualitativamente distinti e un passo dall’uno all’altro? La risposta è no. Affinché il programma per computer esegua i suoi calcoli, per trasformare l’input in output secondo i suoi algoritmi, i dati di input devono già essere in forma digitale fin dall’inizio. I sensori non vedono come un occhio che interagisce con un cervello che interpreta e giudica. Le loro informazioni non sono prima elettrochimiche per poi diventare concettuali e immaginifiche/rappresentative. 

Digitalizzano interagendo con un programma per computer altrettanto digitale. Per il programma per computer del robot, quindi, esiste solo la Flatlandia [la terra piatta, ndt] della mappa digitale unidimensionale. I suoi compiti sono definiti ed eseguiti interamente all’interno della struttura di questa Flatlandia. Il programma per computer è strutturato per elaborare e organizzare i dati digitali dei sensori in un modo specifico, non per interpretarli e valutarli, e pertanto non può interpretarli male o commettere errori.

(Quando un elemento di interpretazione fa parte di un processo, il risultato non è mai completamente definito e può variare da caso a caso. Un’interpretazione è sempre sotto-determinata. Ma questo ha anche il vantaggio che un processo interpretativo può gestire informazioni incomplete e parzialmente errate).

Un programma per computer dotato di meccanismi di feedback che gli consentono di integrare e correggere le sue digitalizzazioni dello spazio tridimensionale e di migliorarle progressivamente rispetto alle sue istruzioni, ad esempio per andare dal punto A al punto B nel minor tempo possibile senza collidere con nulla, per quanto affascinante possa essere questo meccanismo e per quanto grande sia il suo potenziale di sviluppo, non è un esempio di interpretazione e apprendimento. Ciò che accade in questo caso è che un piano unidimensionale viene sostituito da un altro con un design e una risoluzione parzialmente diversi perché l’algoritmo ha identificato nuove (e migliori) possibilità di soluzione sul nuovo piano, più ricco di informazioni. L’interpretazione implica l’opposto della sostituzione di un piano di realtà con un altro, e un processo di apprendimento rimane sempre all’interno dello stesso mondo. Poiché il programma per computer “capisce” solo il linguaggio digitale, lo spazio tridimensionale indipendente non esiste per esso. Il programma per computer, per così dire, vede solo sé stesso. Il flusso di input dai sensori e di output verso i meccanismi di movimento esiste solo in e attraverso questo programma.

Come suggeriscono gli esempi sopra riportati, l’intelligenza non è qualcosa di riservato agli esseri umani o agli animali più evoluti dal punto di vista della coscienza, come scimpanzé, corvidi e delfini. Gli esempi sono scelti deliberatamente per evidenziarlo. L’intelligenza negli esseri umani e in altre creature (piante e animali, invertebrati e vertebrati) non è una questione di o/o, ma di gradi e forme diverse. In natura esistono creature dotate di capacità intellettive che gli esseri umani non possiedono. Presumere che le api siano intelligenti ci rende più facile spiegare il loro comportamento. Nuove scoperte sui metodi di comunicazione e sulle tecniche di cooperazione tra gli alberi forniscono possibili prove che anche gli alberi possiedano intelligenza [2]. 

È indubbiamente più interessante e gratificante, sebbene moralmente ed emotivamente più impegnativo, vivere tra esseri intelligenti in un mondo intelligente che in un mondo muto e meccanico. 

Dobbiamo relazionarci in modo diverso con un insetto o una pianta in grado di sentire e reagire rispetto a una costituita esclusivamente da processi vitali passivi o automatici. È sorprendente che sia necessaria una ricerca scientifica avanzata per scoprire e comprendere cose che le persone in società tecnicamente e socio-economicamente molto meno avanzate sanno da tempo.

Se le capacità visive e motorie sembrano troppo semplici per essere interessanti in questo contesto, è perché

queste forme di intelligenza sono così comuni che le diamo per scontate e non le consideriamo tali. Tendiamo a percepire l’intelligenza come qualcosa di esclusivo. È più facile per noi sfruttare piante e animali a nostro piacimento se non sono intelligenti o se la loro intelligenza è relativamente insignificante. Ma più ristretta è la nostra concezione dell’intelligenza, più difficile diventa per noi comprenderla e spiegarne i prerequisiti.

L’esempio fondamentale di intelligenza è quando una creatura registra qualcosa come qualcosa nel suo ambiente, ad esempio come un certo colore o forma, o come un oggetto con un certo colore e forma. Questo modo di registrare qualcosa implica che la cosa registrata appartenga a un mondo esterno, cioè un mondo indipendente dalla creatura che la registra o, più precisamente, dal processo di registrazione stesso. Quando la creatura registra qualcosa in questo modo, ha compreso qualcosa. (Il che non equivale ad averlo compreso correttamente, al meglio, o addirittura del tutto. Potrebbe essere un’illusione. Quando parlo di comprensione, qui, mi riferisco a un processo di natura specifica, non al suo risultato o alle qualità di quel risultato). Registrare una cosa in questo modo significa comprenderla: comprendere prima di tutto che è, comprendere come è, comprendere cos’è [3].

I prerequisiti per la comprensione risiedono in ultima analisi nella differenza qualitativa tra il sistema percettivo di una creatura e il mondo percepito da tale sistema. L’intelligenza di una creatura consiste principalmente nella sua capacità di colmare questa differenza qualitativa producendo, all’interno del suo sistema percettivo, una rappresentazione del (di una parte del) mondo esterno, ovvero producendo, a un livello qualitativamente diverso, una rappresentazione di qualcosa la cui forma originaria esiste a un altro livello qualitativo. È la natura di questo processo che giustifica il fatto di chiamare il suo risultato “comprensione”. In secondo luogo, l’intelligenza della creatura consiste nelle qualità di questa rappresentazione, ad esempio, quanto velocemente può essere prodotta, quanto bene corrisponde alle condizioni del mondo esterno, quanto è praticamente utile, quanto facilmente può essere comunicata…

E qual è il senso di questo lavoro di traduzione? A quale funzione serve la comprensione? La giustificazione evolutiva della comprensione consiste nel fatto che essa è un prerequisito per ogni forma di vita più complessa, cioè per gli organismi che costituiscono un insieme funzionale integrato di diversi sistemi interagenti, perché una creatura di questo tipo, per interagire con il suo mondo esterno e quindi poter esistere, deve avere la capacità di percepirlo a un livello corrispondente al suo più alto livello di complessità – un livello che si trova sempre più o meno al di sopra del livello atomico o molecolare, cioè il livello che le scienze naturali considerano il livello fondamentale dell’esistenza e che a volte, nei loro momenti più materialistici, sostengono essere l’unico livello realmente esistente. Questo vale almeno per tutte le creature dotate di un sistema nervoso centrale. La comprensione, in qualche forma, è quindi parte integrante di tale sistema. Al contrario, la comprensione può rappresentare un costo inutile e quindi un peso per le creature prive di sistema nervoso. Se si vuole costruire un computer veramente intelligente, si deve, in altre parole, costruire un computer con un sistema nervoso. Ma allora si deve anche essere consapevoli che sarà fallibile e potrà commettere errori. Perché un passaggio tra livelli qualitativamente diversi può sempre essere fatto in più di un modo.

Gli esseri umani e molte altre creature possiedono un’intelligenza, di forme e dimensioni diverse, e possono comprendere le cose. Prima della svolta delle scienze naturali, questa era una convinzione intuitiva basata sulle nostre esperienze personali. Oggi è evidente anche da ciò che sappiamo sulla natura fisica del mondo e su come sono strutturati e funzionano il nostro cervello e il nostro sistema nervoso. Grazie a questa conoscenza, sappiamo che la natura, inclusa la nostra base fisica, differisce significativamente dal nostro modo di sperimentarla e comprenderla in forma cosciente. Il mondo in sé o al di fuori del cerchio della coscienza consiste, secondo le teorie fisiche, non di alberi, nuvole, gatti e cose simili, ma di associazioni (prive di qualità) di atomi e molecole e di varie energie e forze a essi legate. Con l’aiuto dei sistemi elettrochimici del nostro cervello (il nostro sistema nervoso), percepiamo le parti di questo mondo con cui entriamo in contatto (e che siamo evolutivamente condizionati a considerare rilevanti) e trasformiamo e reinterpretiamo il loro impatto fisico su di noi in stati mentali sotto forma di proprietà qualitative di vario tipo, come colori, sapori e suoni, come duro e morbido, caldo e freddo. Sebbene il mondo mentale costituisca sostanzialmente una comprensione del mondo fisico, i due mondi differiscono in modo piuttosto radicale.

È importante sottolineare qui che il mondo mentale, qualsiasi mondo mentale individuale, non è l’unica possibile interpretazione del mondo fisico esterno. Un mondo mentale individuale, qualsiasi esso sia, non è mai l’unica possibile interpretazione del mondo fisico esterno con cui l’individuo interagisce. Ciò deriva dalle differenze qualitative tra i due. Un mondo mentale non deve nemmeno necessariamente essere un’interpretazione particolarmente buona o adeguata del mondo fisico, come nel caso di individui affetti da malattie mentali o comunque con deficit intellettivi. La conoscenza più importante sulla coscienza o sulla psiche è che essa costituisce un’interpretazione costante e continua di qualcosa di indipendente da sé e che il risultato di questo processo interpretativo è uno dei tanti possibili. Il dogmatismo – politico, religioso, scientifico – costituisce uno dei fenomeni più peculiari dell’intelletto umano perché è una negazione della natura fondamentalmente dinamica di questa facoltà.

Ciò che rende gli esseri umani e creature simili capaci di comprendere è che la struttura fisica degli organi percettivi di un essere umano non differisce per tipo dal mondo che quegli organi percepiscono; piuttosto, esistono allo stesso livello qualitativo. Pertanto, è con l’aiuto di un sistema dello stesso tipo qualitativo del resto del mondo (= il corpo come lo descrivono le scienze naturali) che gli esseri umani sono in grado di produrre un livello qualitativamente nuovo: un livello di comprensione costituito da parti distinte portatrici di significato che interagiscono tra loro in virtù del loro significato/contenuto. Nella nostra esperienza, questo è esemplificato più chiaramente dalla nostra coscienza, e all’interno della nostra coscienza forse più chiaramente dal linguaggio. La coscienza in quanto tale costituisce una forma di comprensione [4]. Tuttavia, non dobbiamo identificare l’intelligenza e la comprensione con la coscienza. I processi coscienti costituiscono solo una parte minore dei processi di comprensione.

Ci sono “materialisti” che vogliono ridurre la coscienza e le sue attività al substrato fisico, cioè alle strutture e ai processi elettrochimici del cervello. La loro ragione principale è (presumibilmente) che credono che la coscienza “immateriale” sia priva di potere causale e quindi non possa influenzare il corpo. La coscienza quindi non ha la capacità di spiegare alcunché. Nella misura in cui sono empiristi, cioè sostengono che la conoscenza umana debba partire dall’esperienza ed essere messa alla prova rispetto ad essa, questo ragionamento è sorprendente, perché tutte le nostre esperienze costituiscono il contenuto della nostra coscienza e sono quindi coscienti nella forma. Se si vogliono costruire le proprie teorie sull’esperienza, non si può ridurre la propria base esperienziale alle componenti delle teorie formate su questa base. Tale riduzione priva la teoria del suo fondamento empirico indipendente e la trasforma in speculazione teorica o, in altre parole, in filosofia. Tale speculazione non ha di per sé più peso di qualsiasi altra.

Ogni livello organizzativo di un insieme funzionale possiede un certo grado di autonomia rispetto ai livelli su cui si basa. Questo vale sia per le organizzazioni sociali che per i sistemi logici e gli esseri biologici. Il livello sovraordinato o superiore dipende naturalmente dai livelli sottostanti più semplici ed è influenzato dall’attività che vi si svolge, ma allo stesso tempo, in virtù della propria organizzazione, unica e più generale all’interno dell’insieme, e delle funzioni ad essa collegate, possiede una capacità di attività indipendente e di autogoverno. Governando sé stesso, il livello sovraordinato governa anche tutti i livelli subordinati. Il livello organizzativo più elevato di un insieme funzionale, governando sé stesso, governerà l’insieme di cui costituisce il livello organizzativo sovraordinato. Questo è ciò che descriviamo negli esseri umani come libero arbitrio e capacità di scelta [5].

La relazione tra un algoritmo digitale (un programma per computer) e i segni binari e le strutture fisiche (processore, memoria, ecc.) su cui si basa ne è un esempio esemplificativo. L’algoritmo costituisce il livello operativo. Determina come i segni binari devono essere combinati e quali operazioni devono essere eseguite. Ma il funzionamento dell’algoritmo è a sua volta condizionato dal linguaggio binario e dalle sue possibilità, e la sua capacità computazionale è limitata dall’architettura e dalla capacità delle strutture fisiche.

Un altro esempio della stessa relazione è la coscienza umana o, più precisamente, la comprensione umana (= attività coscienti + inconsce dell’intelligenza). La comprensione umana rappresenta un nuovo livello organizzativo rispetto ai sistemi elettrochimici del cervello. Poiché la comprensione e il sistema nervoso costituiscono parti dello stesso insieme funzionale (= il corpo umano) e poiché la comprensione costituisce il sistema sovraordinato, essa può, in virtù della sua capacità operativa, governare il sistema nervoso e il resto del corpo. Poiché la comprensione e gli altri sistemi costituiscono un insieme integrato, questa capacità operativa non è né incondizionata né illimitata. Le nostre esperienze ci mostrano, al contrario, che presenta numerose condizioni e limitazioni. (Altrimenti, non avremmo a che fare con un insieme funzionale integrato.).

Ciononostante, la comprensione costituisce un livello operativo dotato di capacità autonoma. Se così non fosse, ci troveremmo di fronte al fatto sorprendente che un organismo biologico, in un lungo e costoso processo evolutivo, sia riuscito a sviluppare un organo avanzato, ad alto consumo energetico, che non svolge alcuna funzione pratica! Tuttavia, la capacità operativa della comprensione, così come le sue molteplici funzioni, è già evidente dalla coscienza stessa. Sperimentiamo di governarci con l’aiuto della nostra comprensione. Questa esperienza di governo consapevole è stata certamente messa in discussione, in parte a causa dei limiti sopra menzionati a cui è soggetta, ma le nostre esperienze quotidiane sulla capacità operativa della comprensione sono un argomento altrettanto valido quanto la nostra convinzione, basata sull’esperienza, dell’esistenza del mondo esterno e delle altre persone [6]. Queste due convinzioni si trovano sullo stesso piano logico. Chi sostiene un’opinione opposta deve di conseguenza produrre contro-argomentazioni estremamente convincenti. La presunzione è dalla nostra parte. Ma non siamo dogmatici! L’esperienza ci ha insegnato il contrario. Se i nostri avversari possono dimostrare che viviamo in un’illusione, senza per questo dimostrare contemporaneamente che lo fanno anche loro, siamo disposti a riconsiderare la nostra opinione.

Poiché noi, con la nostra comprensione e la nostra coscienza, possiamo governare sia (molti dei) nostri pensieri sia (molte delle) azioni e movimenti che compiamo con il nostro corpo, possiamo quindi governare anche i livelli operativi subordinati su cui si basa il sistema operativo sovraordinato della comprensione e da cui dipende per le sue componenti e la sua struttura, ovvero possiamo governare le strutture e i processi elettrochimici del sistema nervoso. Questa conclusione, per quanto ne so, non è del tutto in linea con i punti di vista e le teorie dominanti nella scienza e nella filosofia, ma che la comprensione possa governare il sistema nervoso e per molti aspetti lo faccia è in realtà altrettanto ovvio quanto che gli algoritmi possano governare le operazioni in un computer. In virtù della capacità operativa delle sue unità portatrici di significato e delle loro relazioni, la comprensione ha anche la capacità di governare il suo substrato fisico non portatore di significato. E proprio come gli algoritmi non governano tutto ciò che accade in un computer, la comprensione non governa tutto ciò che accade nel nostro corpo o persino nel nostro cervello. Il prerequisito fondamentale per la capacità di governo della comprensione risiede, come per gli algoritmi, nel fatto che essa ha una portata limitata e riguarda compiti specifici [7] Se questa comprensione della capacità causale della comprensione e della coscienza contraddice la visione della causalità della scienza e della filosofia, allora è quest’ultima ad essere troppo limitata o errata [8].

Una parentesi: la scoperta che l’attività cosciente sembra essere preceduta dall’attività neurale, ovvero che il cervello sembra pensare prima che diventiamo consapevoli dei nostri pensieri, può essere usata come argomento contro l’idea della capacità operativa della coscienza. Questa scoperta, in primo luogo, non è un argomento contro la capacità operativa del pensiero guidato dalla comprensione, poiché tutt’altro che tutto il pensiero guidato dalla comprensione è cosciente. In secondo luogo, come già sottolineato da Pascal, tutte le operazioni intellettuali, sia coscienti che inconsce, si basano sulla memoria. Dobbiamo ricordare costantemente cose, molte cose, per essere coscienti, ma non possiamo essere coscienti di tutti questi ricordi simultaneamente, perché altrimenti non potremmo pensare e ragionare coscientemente. Sotto ogni pensiero cosciente, quindi, ce ne sono molti inconsci. Molto spesso abbiamo la sensazione di sapere cosa diremo, qual è il passo successivo in un’argomentazione, appena prima di dirlo. Se le nostre catene di pensiero comprendessero solo ciò di cui siamo coscienti, semplicemente non reggerebbero e non sarebbero in grado di svolgere i loro compiti.

Questa osservazione ci aiuta anche a comprendere che ciò di cui non siamo coscienti al tempo T1, ma di cui diventeremo coscienti al tempo T2, deve essere della stessa qualità di ciò di cui siamo coscienti al tempo T1 affinché ne diventiamo coscienti al tempo T2 e affinché interagisca con lo stato cosciente al tempo T1 e formi una catena di pensiero coerente con il tempo T1. Il prerequisito per ricordare consapevolmente una cosa è che in precedenza e simultaneamente ricordiamo inconsciamente molte altre cose. È del tutto ovvio che né il pensiero razionale né la memoria potrebbero funzionare se i processi di comprensione fossero limitati a ciò che è attualmente presente nella coscienza. È del tutto possibile che il nostro pensiero cosciente in un dato momento costituisca solo una piccola parte (la proverbiale punta dell’iceberg) dei processi di pensiero guidati dalla comprensione, ovvero che la maggior parte del nostro pensiero legato e governato dalla rappresentazione sia sempre inconscio. La scoperta di corrispondenze strutturali tra l’attività cerebrale preconscia e la successiva attività cosciente contribuisce effettivamente a spiegare come possiamo lavorare consapevolmente e quindi come la coscienza possa avere capacità operativa.

Jonas Aberg

Note e riferimenti:

  1. Vedere Consapevolezza della situazione: il decennio a venire di Leonard Aschenbrenner.
  2. Peter Wholleben, La vita nascosta degli alberi: cosa sentono, come comunicano — Scoperte da un mondo segreto (I misteri della natura 1)
  3. Comprendere non significa riprodurre o copiare qualcosa. Indipendentemente da ciò che l’intelligenza produce – vero o falso, utile o inutile – rappresenta sempre qualcosa di qualitativamente nuovo o diverso rispetto alla sua base fisica.
  4. I due livelli qualitativi, e l’interazione tra loro, sono anche la chiave della coscienza e della comprensione di ciò che essa è. La coscienza stessa rappresenta la comprensione. Sotto ogni aspetto, costituisce un livello di comprensione. Ogni contenuto chiaro e distinto della coscienza rappresenta la comprensione di qualcosa. Persino i sogni? Assolutamente: i concetti di sogno non sono diversi da quelli della veglia. In quale altro modo potremmo ricordare i nostri sogni e descrivere ciò che abbiamo sperimentato in essi?
  5. Gli insiemi funzionali che chiamiamo organismi viventi sono costituiti da una gerarchia di livelli organizzativi, in cui i livelli più complessi e generali si basano su quelli più semplici e localizzati. Questi livelli organizzativi interagiscono tra loro nell’ambito dell’insieme funzionale che formano collettivamente e ne costituiscono i presupposti interni. Il sistema nervoso è un esempio di sistema ad alto livello organizzativo. In molte creature, rappresenta probabilmente il livello organizzativo più elevato. In alcuni esseri, come gli esseri umani, il sistema nervoso ha sviluppato la capacità di registrare il mondo esterno sotto forma di rappresentazioni . Queste rappresentazioni possono interagire tra loro in virtù del fatto che 1) persistono nel tempo, 2) costituiscono unità discrete e 3) possiedono un significato o un contenuto, ovvero servono come segni per qualcosa. Attraverso l’interazione di questi elementi, diventa possibile un nuovo tipo di livello operativo. Per semplicità, possiamo chiamarlo coscienza. È in queste rappresentazioni portatrici di significato e nelle loro interazioni guidate dal contenuto che risiede la differenza qualitativa tra il sistema percettivo di un essere cosciente e ciò che viene percepito (il mondo). L’intelligenza, o comprensione, è quindi di natura rappresentativa e lo scopo della sua attività è generare un mondo significativo e governato dal significato su una base fisica priva di queste qualità. Eppure questo velo di significato non è meno vero e reale della realtà svelata nascosta sotto di esso. In effetti, concetti come verità realtà trovano applicazione solo a livello di coscienza. La coscienza, quindi, costituisce non solo il più alto livello organizzativo, ma anche il più alto livello di realtà. Da questa prospettiva, l’esistenza di un’intelligenza divina e di un creatore divino non appare un’assurdità, ma una possibilità logica. Su basi logiche, il mondo di un’intelligenza divina potrebbe rappresentare una realtà a un livello persino superiore alla coscienza umana. Faremmo fatica a percepire un’intelligenza come divina se non rappresentasse una realtà superiore alla nostra.
  6. Le esperienze che abbiamo di incapacità di governare noi stessi – di non essere in grado di controllare le nostre emozioni, di non capire perché agiamo come agiamo, o di non realizzare le nostre intenzioni – sono in realtà un’ulteriore prova che la coscienza costituisce un livello operativo. È attraverso queste difficoltà e fallimenti, tanto quanto attraverso i nostri successi, che diventiamo consapevoli della capacità operativa del nostro intelletto e delle possibilità che comprende.
  7. La capacità della comprensione di governare le nostre emozioni è fortemente limitata e indiretta. Né può determinare la natura delle nostre impressioni sensoriali, sebbene disponga di vari mezzi per controllare ciò che proviamo – come distogliere lo sguardo o chiudere gli occhi – e attraverso la concentrazione possa rendere le nostre esperienze più chiare e dettagliate. Esercita un’influenza significativa, sebbene lungi dall’essere completa, sul nostro pensiero e sul nostro ragionamento. Può (se lo si vuole e ci si impegna) determinare quasi completamente ciò che diciamo e, in misura ancora maggiore, ciò che scriviamo.
  8. La difficoltà nell’accettare la capacità causale della coscienza deriva probabilmente dal modo in cui le differenze qualitative tra corpo (il sistema nervoso) e coscienza sono state definite in termini di materiale e immateriale. Questi due concetti e la distinzione categoriale che creano ostacolano molte intuizioni. Quanto è “materiale” la vita organica, in realtà? Non c’è una differenza significativa tra un organismo unicellulare e una molecola? Il fatto che possiamo spiegare i processi della vita organica senza invocare alcuna “forza vitale” bergsoniana non significa che le nostre teorie non stiano, in sostanza, spiegando proprio questa forza vitale. Persino la “materialità” dei più piccoli elementi costitutivi conosciuti può essere messa in discussione. Quanto sono materiali gli elettroni e le forze di legame all’interno degli atomi? Le forze che operano a livello macroscopico della fisica sollevano le stesse domande. Sarebbe meglio – e più istruttivo – se potessimo affrontare i fenomeni del mondo in un modo meno presupponente, cioè in modo più filosofico e meno dogmatico, sforzandoci il più possibile di descrivere ogni cosa così com’è realmente, senza affidarci a concetti superficiali e generalizzati come “materiale” e “immateriale”. Questi concetti contribuiscono ben poco ad approfondire la nostra comprensione. Il loro fascino risiede nella capacità di darci l’illusione di una comprensione. Una volta che caratterizziamo qualcosa usando questi termini, sentiamo di averla compresa. Quando assegniamo un nome a qualcosa, questa ci appare meno estranea.

Fonte originaria in svedese: https://motpol.nu/jonas-aberg/2025/05/09/nagra-reflektioner-rorande-ai/

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