SINNER E L’ACCOLITA DEI RANCOROSI

DiSonia Milone

16 Settembre 2024

“Non esiste la sconfitta: o si vince o si impara” gli ha insegnato l’ex coach Riccardo Piatti, l’allenatore più vincente di sempre che ha portato in top 10 tennisti come Novak Djokovic, Ivan Liubicic, Richard Gasquet, Milos Raonic, Borna Coric. E soprattutto non ci si esalta per la vittoria perchè una carriera, un carattere, un talento si forgia nel tempo lungo, passo dopo passo, colpo dopo colpo, sacrificio dopo sacrificio.

E lui, Jannik Sinner, lo ha imparato molto bene ora che ha vinto anche gli US Open conquistando il suo secondo Slam dopo gli Australian Open di inizio anno. Di passi ne ha fatti tanti questo ventitreenne di San Candido che conosce i ritmi lenti della montagna, la solidità imperiosa delle Dolomiti e che a soli 14 anni lascia la famiglia e la Val Pusteria per andare ad allenarsi di fronte al mare di Bordighera, in Liguria, dove Piatti ha fondato nel 2017 la scuola specialistica per tennisti professionisti nello stesso luogo dove, guarda caso, c’è il secondo campo da tennis più antico del mondo (1878), dopo quello di Wimbledon. Lascia anche lo sci, di cui era campione nazionale juniores, per seguire la sua vera passione.

Era stato notato ad un torneo di Ortisei da Massimo Sartori, storico coach di Andreas Seppi, che lo segnala a Piatti e qualcuno che ha voluto rimanere anonimo gli ha finanziato la trasferta: “Questo è forte, pago io”, pare abbia detto con un gesto che il sapore del mecenatismo d’altri tempi quando ancora si investiva nel talento. Al grande coach il ragazzino piace, ha un ottimo timing sulla palla, sa ascoltare e ha una grande voglia di imparare. Lo manda ad abitare da un preparatore croato della sua accademia perchè ha due figli della stessa età e non voleva che si staccasse troppo dal suo modo di vivere.

D’altronde la scuola di Piatti è una scuola a tutto campo. Un anno c’erano i Campionati italiani giovanili a Sanremo, Jannik aveva 15 anni e i maestri dello staff erano tutti pronti a portarlo ma Piatti lo proibì: doveva arrangiarsi da solo, guardarsi gli orari, prendere il treno, andare a giocare a Sanremo e tornare indietro. E quando aveva iniziato a vincere qualche torneo, e nei piccoli paesi diventi già una piccola star, a tirare il campo a fine allenamento, era sempre lui. Lezioni antiche, di vita e di tennis, di umiltà e di lavoro.

Per Piatti il risultato non è “se i ragazzi vincono o perdono la partita, ma se comandano il gioco, se hanno un buon atteggiamento in campo, se lottano e superano le frustrazioni” perchè “fa meglio perdere bene che vincere male”. Il coach non ha mai pensato di far diventare forte nessuno soltanto vincendo: “Dobbiamo far crescere i ragazzi come persone, mettiamoli di fronte alle difficoltà, facciamo sì che imparino ad affrontarle e superarle, solo così si diventa forti”. Come quando durante una partita del 2019 Sinner è stato male in campo, mezzo piegato dal dolore, pensava di ritirarsi ma con un cenno il suo team gli ha fatto capire di stare lì e provarci fino alla fine. Avevano ragione loro: a poco a poco i dolori sono passati e ha rischiato di vincere al quinto set di una partita eroica.

A 16 anni Jannik entra nel circuito professionista e nel 2019 fa il boom passando, nel giro di pochi mesi, da numero 762 a numero 80 della classifica mondiale. Ottiene una Wild Card e a 17 anni vince Next Gen tirando giù come birilli, con una facilità stupefacente, i primi otto giocatori under 21 del mondo, campioni del calibro di Tiafoe e Kecmanovic. In finale batte Alex De Minaur, n° 18 del ranking ATP, uno che poche settimane prima contendeva a Roger Federer il torneo di Basilea. È la prima vittoria in un torneo maggiore che per classifica non avrebbe neanche potuto disputare, ma a volte la buona sorte sostiene i meritevoli. E quando vince non si scompone come se fosse stata la cosa più normale del mondo.

E già lì si capiva che era davvero un “predestinato” perchè il 10% è talento, ma il resto, cioè tutto, è carattere, è come gestisci quel dono, soprattutto nel tennis che è uno sport di testa, di forza mentale dove in campo sei da solo, nessuno ti aiuta, con la palla che ti mette di fronte soprattutto a te stesso più che ad un avversario.

Lì è nata la stella di Jannik Sinner: il pubblico impazzisce e gli esperti iniziano a intravvedere un futuro top ten, uno che ha tutte le carte in regola per portare il tennis italiano ad altissimi livelli. Qualcuno lo paragona a Bjon Borg per il modo di andare sulla palla e per l’approccio mentale alla partita e il fatto che l’anno successivo Roger Federer lo sceglie per l’allenamento agli Internazionali di Roma, la dice lunga su quello che ci si aspettava da lui all’interno del circuito.

E dopo Next Gen l’ascesa, torneo dopo torneo, passo dopo passo, fino alla vetta del tennis e alla conquista, il 10 giugno di quest’anno, della posizione numero 1 del ranking. Un sogno che si realizza a 22 anni e 9 mesi, a coronamento di una stagione folgorante con sei finali vinte su sei, diventando anche l’ottavo uomo della storia a superare i 10.000 punti nel ranking ATP (dopo Djokovich, Federer, Nadal, Murray, Sampras, Medvedev, Agassi).

Insomma, c’è da esserne orgogliosi, mai l’Italia ha ottenuto risultati così grandiosi! Qualsiasi altra Nazione avrebbe celebrato un simile campione, basti pensare a come la Serbia ha accolto Djokovic per l’oro delle Olimpiadi, ma l’Italia è un paese strano, affetto da complesso d’inferiorità e abbruttimento di tutto ciò che ha razza e fuoriesce dai canoni della mediocrità.

Infatti, le polemiche contro l’altoatesino iniziano a fioccare subito dopo il suo primo titolo Slam agli Australian Open quando Aldo Cazzullo lo critica sul Corriere della Sera per aver spostato la residenza nel Principato di Monaco, cosa avvenuta già da alcuni anni, incalzato poi da Vasco Rossi che grida allo scandalo: “Non pagare le tasse è una vergogna. Io sono italiano, fiero e orgoglioso di esserlo, e ho voluto mantenere la residenza in Italia. Voglio e debbo versare tutte le tasse al mio Paese!”.

A parte il fatto che le imposte sui premi guadagnati vengono pagate al fisco del Paese nel quale sono stati vinti, Sinner ha fatto solo bene ad andare a Montecarlo dove la tassazione è meno erosiva rispetto all’Italia, senza dimenticare che un paese che batte moneta non ha bisogno di lucrare sui propri cittadini. Una scelta la sua fatta da tantissimi sportivi che hanno carriere brevi che possono finire in qualsiasi momento per un infortunio. Fra l’altro i costi per partecipare ai tornei (aerei, hotel, pasti) sono tutti a carico dei giocatori che solo dopo aver vinto tornei importanti iniziano a rientrare dell’investimento fatto.

Un accanimento nei suoi confronti molto sospetto che porta Jannik a intervenire, nonostante il suo notorio desiderio di riservatezza, per precisare che la scelta è dovuta a ragioni professionali: “a Monaco ci sono tanti giocatori con cui puoi allenarti, le strutture sono perfette. Lì mi sento a casa. Sto bene, ho una vita normale, posso andare al supermercato con zero problemi”. A quei livelli non è sufficiente continuare ad allenarti con un coach, devi giocare con i tuoi pari. Ma la spiegazione non soddisfa i neomoralizzatori e i media continuano ad aggredirlo.

A febbraio viene invitato al Festival di San Remo ma dà forfait irritando Amadeus: “Quando dovrei andare sarò già a lavorare ed è quello che mi piace fare”. Pochi avrebbero rinunciato ma lui è diverso e ha l’intelligenza di tenersi lontano dal tritacarne mediatico. Come tutti gli sportivi ama competere lealmente, ad armi pari, e nei mass media non lo sei mai.

Che Sinner non sia molto simpatico al mainstream era evidente già da allora ma il rapporto è destinato a deteriorarsi da quando si è fidanzato con la tennista moscovita Anna Kalinskaya, numero 25 del mondo, che, senza la bandiera russa, ha deciso di non partecipare alle Olimpiadi di Parigi.

La fidanzata non piace a Massimo Gramellini che, a luglio, si lancia in predicozzi vari contro Jannik colpevole di non aver partecipato alle Olimpiadi per motivi di salute e sentenzia: “tra le cause della tonsillite non risultano esservi né le fidanzate russe né la residenza a Montecarlo. Anche Djokovic abita lì, ma le rare volte che gli è venuta una tonsillite è stata la tonsillite a darsela a gambe in preda al terrore”. Dopo la sua vecchia crociata contro “novax” Djokovic, Gramellini eleva il serbo ad esempio chiedendo: “Ma davvero Sinner non poteva giocare il primo turno all’Olimpiade imbottito di antibiotici? La mia è che Sinner, come tutti i talenti più costruiti che naturali, pensi di funzionare solo quando la macchina del corpo risponde alla perfezione. La minima crepa basta a fargli perdere certezze e a indurlo alla resa”.

E come se non bastasse qualcuno, dopo la vittoria di New York, ha tentato di ritirare fuori la polemica sul doping, ennesimo caso in cui il Belpaese si è prodigato nell’arte della maldicenza e della calunnia. La vicenda risale a marzo quando, nel torneo di Indian Wells, Jannik risulta positivo al test antidoping per tracce bassissime di Clostebol, uno steroide anabolizzante, causate da una contaminazione involontaria trasmessagli dal suo massaggiatore (che stava usando la sostanza per curare una ferita alle mani). È stato pienamente assolto dalla giuria sportiva che ha anche precisato nella sentenza che “la concentrazione di Clostebol trovata nel sangue dell’atleta non è tale da provocare alcun effetto dopante o aumento delle prestazioni”, come ha scritto il professore emerito Cowan del dipartimento analisi e scienza forense del King’s College di Londra.

Ma il giudizio del tribunale sportivo non basta al tribunale mediatico che ha continuato a infangare il suo nome e a mettere in dubbio la sua onestà arrivando a sostenere che Sinner abbia avuto un trattamento di favore essendo il numero 1 del mondo, senza sapere che a due dei tre giudici non è stata nemmeno rivelata l’identità dell’atleta oggetto di analisi. La verità risulta evidente a chiunque sappia guardarla senza pregiudizi: a differenza di certi fisici ipertrofici che sembrano appartenere a ben altri sport, Jannik ha il tipico fisico del tennista, magro e con una muscolatura poco pronunciata, naturale, come quella di Djokovic. Nel tennis, poi, il doping, non porta molto lontano perchè è uno sport di intelligenza, di lettura tattica del match, di controllo dei nervi.

Una vicenda questa che avrebbe potuto destabilizzare chiunque ma non Sinner che ha un equilibrio che non viene scalfito da niente e nessuno perchè il colpo che non si può insegnare e che distingue il fuoriclasse è l’atteggiamento mentale, preludio indispensabile per resistere ai colpi della vita. E così, mentre una parte di questo Paese pieno di invidia e livore si scagliava contro il giovane tennista, lui ha taciuto per tutti questi mesi e ha risposto da campione quale è: vincendo in campo.

Ha battuto in tre set l’americano Taylor Fritz che sperava di riportare il titolo a casa: “Sono fiducioso e so che quando gioco bene posso battere chiunque”, aveva dichiarato prima dell’incontro. In conferenza stampa Jannik ha detto: “So che Carlos Alcaraz e gli altri campioni mi renderanno un giocatore migliore perchè mi batteranno spingendomi a lavorare di più”. In queste due dichiarazioni è possibile leggere tutta la differenza fra la “generazione Sinner” e la generazione dei ragazzi abituati ad avere la strada spianata dalle difficoltà, il grande male degli adulti infantilizzati di oggi.

Nel 2022 Sinner si separa da Riccardo Piatti e arrivano alla guida del nuovo team Simone Vagnozzi e Darren Cahill con i quali costruisce l’ascesa definitiva nell’Olimpo del tennis.

Quella di Jannik è una bella storia di chi, partito da umili origini, si è fatto strada con il lavoro, la dedizione, l’umiltà, l’ambizione, la tenacia, la forza d’animo, la ricerca dell’eccellenza. Valori antichi nella modernità fluida, lontani dal neomoralismo politicamente corretto, un esempio per tutti i giovani.

“Ai ragazzi dico di stare attenti” – ha dichiarato – “Perché magari uno sta male ma sui social si postano foto dove va tutto bene. Io personalmente vivo meglio senza i social e continuerò a fare così. I social non mi piacciono. Non è quella la verità, vedi certe cose ma non sono quelle”. Ha poi aggiunto: “Ma le serie tv le guardo, ad esempio in Australia stavo vedendo Animal Kingdom. Poi ci sono momenti in cui leggo tanto, ho sempre un libro con me dietro”.

E voi volete che uno così, che gioca fuori dalle righe del pensiero politicamente e giovalisticamente corretto, sia amato dai media nostrani? Sinner ha un “difetto”: è un italiano che vince e ragiona con la sua testa, un “peccatore” come dice il suo cognome.

Sonia Milone

Un pensiero su “SINNER E L’ACCOLITA DEI RANCOROSI”

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *