NON CI SARÀ ALCUN “EFFETTO TRUMP” QUANDO SI TRATTERÀ DELLA POLITICA STATUNITENSE NEI CONFRONTI DELLA PALESTINA

DiOld Hunter

23 Gennaio 2025
Il presidente eletto degli Stati Uniti Donald Trump
parla a Phoenix, Arizona, il 22 dicembre 2024.

di Mitchell Plitnick per Scheerpost del 23 gennaio  –   Traduzione a cura di Old Hunter

Con il genocidio a Gaza temporaneamente sospeso e alcuni ostaggi liberati da entrambe le parti, Donald Trump e Joe Biden si sono sfidati a suon di tira e molla per decidere a chi spettasse il “merito” per l’accordo finalmente raggiunto.

Non importa se l’accordo era buono o cattivo, o se riguardava le decine di migliaia di vite palestinesi stroncate, o anche le centinaia di vite israeliane quindici mesi fa. Bisogna dare credito a qualcuno per l’apparente “vittoria”.

La verità è che nessuno dei due merita credito. Di certo, Biden non ne merita nessuno. Il “piano” proposto da lui lo scorso maggio è stato sul tavolo per sei mesi prima di presentarlo disonestamente come un piano israeliano, solo per poi rivendicarlo come suo. In realtà, non era né l’uno né l’altro; era l’unico modo per negoziare un cessate il fuoco che entrambe le parti potessero essere indotte ad accettare, ed è stato negoziato per questo motivo. 

Biden ha preferito mese dopo mese di genocidio. Il fatto che il suo team abbia preso parte alle discussioni in cui Israele ha finalmente accettato quella che probabilmente equivale a una breve pausa nel genocidio, simile a quella che abbiamo visto nel novembre 2023, non dovrebbe far guadagnare alcun merito a Biden.

Allora il merito è di Trump? Rispetto a Biden, qualcosa l’ha fatta. Come ho detto, “Trump poteva e ha usato la sua influenza su Netanyahu per spingerlo verso l’accordo”. Ma ora alcuni stanno discutendo di un “effetto Trump“, che vedrà gli Stati Uniti svolgere un ruolo diverso in Palestina e con Israele rispetto a quanto fatto da Biden. Si tratta di un’esagerazione.

Non c’è stato un effetto Trump, ma un effetto POTUS

Come ha affermato il reporter statunitense di Ha’aretz, Ben Samuels, “la stragrande maggioranza degli osservatori ha attribuito il cessate il fuoco a quello che oggi è noto come ‘l’effetto Trump'”. Lo stesso Samuels non sembra dargli molto peso, e ha ragione. 

Tutto quello che Trump ha fatto è stato chiarire al Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu che voleva un cessate il fuoco. Non gli importava né della vita né della libertà dei palestinesi, né delle preoccupazioni politiche di Netanyahu. Trump ha chiarito cosa voleva, e spettava a Netanyahu metterlo in pratica e poi affrontare i suoi problemi politici come riteneva opportuno. 

Come sempre accade quando un Primo Ministro israeliano si trova di fronte a una richiesta chiara da parte di un Presidente americano (o presidente eletto, in questo caso), Netanyahu sapeva di dover obbedire. Questo non è stato un “effetto Trump”, è stato un “effetto POTUS”. Trump non ha fatto nulla che Biden non avrebbe potuto fare in qualsiasi momento se solo avesse avuto la volontà di farlo. 

L’inviato di Trump, Steve Witkoff, ha chiesto a Netanyahu di incontrarlo, secondo il programma di Witkoff. Ha esposto la sua lista di incentivi e conseguenze per il rifiuto, insieme alla sua semplice richiesta: Trump vuole entrare in carica con un cessate il fuoco in vigore. 

Ciò che potrebbe essere stato minacciato o offerto a Netanyahu per convincerlo a eseguirere ciò che gli era stato detto rimane un mistero. Alcuni hanno ipotizzato che l’annessione della Cisgiordania sia la carota sventolata da Trump, ma ciò sembra improbabile. La mega-donatrice Miriam Adelson ha donato 100 milioni di dollari al SuperPAC di Trump, e certamente lo ha fatto con l’aspettativa che l’annessione sarebbe avvenuta entro i prossimi quattro anni. Trump non giocherà con quell’impegno o, cosa ancora più importante, con il continuo supporto finanziario della Adelson.

In ogni caso, il prezzo potrebbe non essere stato poi così alto. Mentre Netanyahu e il suo ministro delle Finanze di estrema destra Bezalel Smotrich sono stati sinceri nel dire che non hanno intenzione di vedere questo cessate il fuoco durare oltre la prima fase, è altrettanto chiaro che se Israele torna al genocidio, le armi statunitensi continueranno a circolare liberamente come sempre. 

Il cessate il fuoco era scomodo per Netanyahu e, come tale, non aveva motivo di accettarlo. Biden avrebbe potuto dargli motivo di farlo molti mesi fa. Ma Biden semplicemente non voleva, se riflettiamo quanto sfacciatamente sia lui che il suo Segretario di Stato Antony Blinken hanno mentito nel volerne perseguirne uno. Trump, per motivi personali, voleva un cessate il fuoco quando è entrato in carica.

Ma Trump non ha alcun interesse a spendere il suo capitale politico e l’energia che sarebbero necessari per vedere la guerra attraverso tutte e tre le fasi, e non ha mai avuto intenzione di farlo. Ha subito chiarito questo punto quando ha affermato di non avere molta fiducia nel cessate il fuoco e che “non è la nostra guerra”. Il messaggio che ci aspettiamo è che Israele riprenda l’attacco, e che gli va bene così, non potrebbe essere più chiaro.

Preparare il terreno per ricominciare

Non è una coincidenza che, praticamente contemporaneamente all’inizio del cessate il fuoco, Israele abbia lanciato un massiccio assalto a Jenin in Cisgiordania. Questo potrebbe probabilmente essere parte di un quid pro quo che Netanyahu ha dato a Smotrich per impedirgli di mandare a casa il governo e per convincerlo ad aspettare che la Fase I del cessate il fuoco avesse fatto il suo corso. 

Non c’è nemmeno la pretesa di una provocazione per le azioni di Israele. Lo stesso Smotrich lo ha chiarito quando ha detto: “Non si tratta più di sventare [attacchi], e neppure della gestione ordinaria della sicurezza di routine…” L’obiettivo è iniziare un attacco su larga scala e a lungo termine in Cisgiordania per schiacciare lo spirito del popolo palestinese con il pretesto di “combattere il terrorismo”. Non ci sono dubbi che questo servirà anche a ricominciare le uccisioni a Gaza.

Questo piano è dimostrato dal fatto che l’attacco arriva dopo settimane di un assalto sostenuto anche dalle forze dell’Autorità Nazionale Palestinese contro il campo di Jenin. Dopo settimane di scontri, le forze dell’ANP hanno infranto il loro accordo di ritirarsi dal campo, invece circondandolo e poi andandosene solo quando le forze israeliane hanno iniziato il loro nuovo attacco.

Con questo nuovo fronte aperto da Israele, ci sarà un conflitto, anche al di là degli episodi sparsi e in corso di violenza israeliana contro i palestinesi a Gaza. Dopo quindici mesi del peggior genocidio del XXI secolo, Israele, secondo una valutazione americana, sta ancora affrontando quasi lo stesso numero di combattenti di Hamas che c’erano all’inizio del genocidio. Rabbia, disperazione e mancanza di speranza stanno senza dubbio spingendo più giovani palestinesi a imbracciare le armi, scegliendo di morire combattendo piuttosto che aspettare che Israele li bombardi, spari, torturi o li faccia morire di fame. 

Israele è quindi ben lontano dal suo dichiarato obiettivo bellico di annientare Hamas. In effetti, Hamas rimane una forza ribelle e potente a Gaza e, sebbene possa essere disposta a cedere il governo della Striscia ad altri gruppi palestinesi, sarà comunque in grado di porre il veto a qualsiasi nuovo regime, con la forza o semplicemente con la sfida. Dopo ben oltre 50.000 morti, la distruzione di praticamente tutta Gaza e decine di miliardi di dollari di valore di alcuni degli armamenti più sofisticati al mondo, la potenza dell’egemone militare regionale sostenuta dal potere dell’unica superpotenza mondiale si è dimostrata incapace di sconfiggere una milizia scarsamente armata, anche dopo che le linee di sostegno esterno molto più limitate di Hamas sono state tagliate.

È al di là del regno delle possibilità che Israele sia disposto a lasciare che questa situazione resti in piedi. Questa verità si estende ben oltre Bezalel Smotrich, Itamar Ben-Gvir e persino Benjamin Netanyahu e tutte le sue ragioni personali per volere che questa guerra continui. Un cessate il fuoco permanente ora paralizzerebbe i tentativi di deterrenza di Israele e trasformerebbe persino l’orrore del genocidio a Gaza in un racconto di ispirazione palestinese che dimostri la forza e la resilienza di questo popolo per i decenni a venire. 

Ecco perché, più di ogni altra cosa, Trump e Netanyahu concordano sul fatto che questo cessate il fuoco non debba durare.

Differenze e somiglianze tra Biden e Trump

Trump ha ottenuto la maggior parte di ciò che voleva. È riuscito a entrare in carica grazie al cessate il fuoco e, nonostante le affermazioni di Biden e dei suoi apologeti, il merito del ruolo degli Stati Uniti è andato quasi esclusivamente a Trump. 

Tutto ciò che Trump vuole ora è che l’accordo duri abbastanza a lungo da consentire lo scambio di un numero significativo di ostaggi, ma non ha alcun interesse a fare pressione su Israele affinché prenda sul serio i negoziati per la seconda fase dell’accordo, per non parlare della terza, che vedrebbe un nuovo organo di governo a Gaza, un ritiro israeliano definitivo e l’inizio di lunghi anni di ricostruzione. 

Ma qui non c’è stato alcun “effetto Trump”. Trump ha semplicemente usato gli strumenti della presidenza per costringere Netanyahu a un accordo di cessate il fuoco. Netanyahu, come un vero socio junior che ha i suoi interessi, ha obbedito ma ha trovato il modo di continuare a perseguire il suo programma pur soddisfacendo i desideri del capo. 

Laddove Joe Biden fantasticava di porre fine alla “guerra” a Gaza con una soluzione a due stati, le fantasie di Trump sono un po’ più bizzarre e altrettanto irrealistiche. Steve Witkoff  ha lanciato l’idea di spedire la popolazione di Gaza, o almeno una parte di essa, in Indonesia, per esempio. Jakarta è rimasta comprensibilmente sorpresa quando ne ha sentito parlare dai media.

Trump ha accennato con malinconia alle riflessioni di suo genero, Jared Kushner, del marzo scorso sul potenziale della “proprietà costiera” di Gaza [il gas palestinese, ndt]. E crede ancora di poter raggiungere un accordo di normalizzazione tra Israele e Arabia Saudita nonostante la mancanza di speranza dell’unica condizione fondamentale dei sauditi: un percorso verso uno stato palestinese. 

A Trump non importa nulla delle vite dei palestinesi, anche se non ha mostrato lo stesso livello di antipatia nei loro confronti che ha caratterizzato l’intera carriera di Biden, un odio cieco che, come dimostrano i recenti sondaggi, ha contribuito notevolmente a far costare al suo vicepresidente le elezioni del 2024. Trump non ha bisogno di massacrare i palestinesi, come fa Biden. Per lui, è tutta questione di transazioni.

Ma il risultato finale è lo stesso. Trump aveva una ragione per impiegare gli strumenti che Biden si è rifiutato di usare. Ma quella ragione è ora soddisfatta e i suoi interessi personali lo riportano subito al pieno supporto a Israele. La sua base sostiene Israele, il suo staff senior è un sostenitore zelante di alcune delle forze, delle politiche e delle azioni più estreme di Israele. E, soprattutto, gli enormi profitti che l’esercito israeliano genera per le aziende americane sono ciò che Trump cercherà di incrementare a ogni occasione. 

Netanyahu sa tutto questo, e a Jenin, che rappresenta quasi certamente solo l’inizio, sta preparando il terreno per porre fine al cessate il fuoco in sei settimane o meno. Nessuno nel partito repubblicano di Trump, tanto meno il suo staff, si farà portavoce della ragione o o si sforzerà di frenare il pieno sostegno al genocidio israeliano che ricomincerà alla fine del cessate il fuoco.

A un certo punto, ci sarà una rappresaglia per la furia di Israele in Cisgiordania, e questa sarà usato per dimostrare che è stato Hamas a rompere il cessate il fuoco. Un pubblico americano credulone, che non avrà sentito molto dell’attacco israeliano in Cisgiordania o degli incidenti in corso di attacchi ai civili palestinesi a Gaza, verrà facilmente convinto ancora una volta. E, con Trump alla Casa Bianca, quelli di noi che ne sanno di più avranno ancora meno impatto e probabilmente affronteranno critiche molto più intense per aver parlato.

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