LA FINE DEL GIOCO: LA NORMALIZZAZIONE

DiOld Hunter

10 Febbraio 2025

di Jeffrey Halper per CounterPunch   –   Traduzione a cura di Old Hunter

Nonostante le conseguenze, la conferenza stampa di Trump e Netanyahu della scorsa settimana ha avuto ben poco di nuovo o di sconvolgente. Ciò che ha sconvolto le persone informate su tutti i fronti della questione palestinese è stata la schietta (anche se rozza, mal compresa e inconsapevole) dichiarazione della verità da parte di Trump: che gli Stati Uniti sono impegnati nell’ebraizzazione della Palestina e in un processo di “normalizzazione” tra un “più grande” Israele e i suoi vicini arabi che comporta una combinazione di apartheid e spostamento fisico. Tutti i discorsi di Biden e dei suoi predecessori, che hanno offuscato in modo così efficace le vere politiche degli americani e degli israeliani, sono spariti. Trump è semplicemente incapace di usare le parole intelligenti necessarie per inquadrare le politiche razziste come una politica razionale di governo.

Se ci distanziamo dai commenti rozzi e stupidi di Trump, allora possiamo facilmente discernere l’orientamento della politica israeliano-americana, chiaro alla maggior parte di noi da anni, ma che ora sta raggiungendo il suo culmine nel processo della “normalizzazione”. Ecco come funziona:

  • L’Arabia Saudita, il gioiello della corona per aver completato gli Accordi di Abramo, ha condizionato la normalizzazione con Israele a un vago impegno, mai attuato, per un “percorso” verso uno stato palestinese in una data futura indeterminata. Nessun dettaglio o condizione necessaria; ad esempio, lo stato palestinese sarebbe territorialmente contiguo, genuinamente sovrano ed economicamente sostenibile? Perché spendere capitale politico per entrare in dettagli problematici su un’eventualità che “tutti sanno” (per citare Leonard Cohen) non si materializzerà mai? Gli altri stati arabi che hanno già normalizzato con Israele – Egitto, Giordania, Emirati Arabi Uniti, Bahrein, Marocco – non hanno nemmeno avanzato quella richiesta simbolica.
  • La collusione del governo arabo con Netanyahu e Trump (e Biden, questo non è solo un piano repubblicano) autorizza Israele a definire meno come sarebbe lo “stato” bantustan-palestinese (a chi importa?) e più l’Israele espanso che starebbero normalizzando. I parametri sono chiari: sono stati stabiliti in mappe dettagliate già nel 2020 (leggi sotto). “Israele” è definito come lo stato di Israele nei suoi confini del 1967 PIÙ i suoi insediamenti. Israele si espande quindi all’85% della Palestina storica mentre lo “stato” palestinese è ridotto a tre enclave in Cisgiordania e una nella inabitabile Gaza. Per ragioni di “sicurezza” Israele controlla anche i confini (la Palestina non avrà un confine con un paese arabo), lo spazio aereo e persino i movimenti interni tra le enclave. Nessuna contiguità territoriale, nessuna sovranità, nessuna redditività economica e nessuna possibilità di riportare a casa i rifugiati. Un bantustan palestinese all’interno di un regime di apartheid israeliano onnicomprensivo.

Il fatto che il processo di normalizzazione sia prossimo al completamento spiega la spinta di Israele a ripulire etnicamente l’Area C, il 62% della Cisgiordania in cui si trovano gli insediamenti e di cui è prevista l’annessione. I giovani coloni israeliani più violenti sono stati sguinzagliati contro le comunità palestinesi; nei fatti, sono stati reclutati in un’unità speciale dell’IDF chiamata Desert Frontier, dove si uniscono ad altre unità dell’esercito per cacciare i contadini e i pastori palestinesi dai loro villaggi e dalle loro terre. Più di 50 comunità rurali sono state abbandonate dal 7 ottobre; in sostituzione sono stati creati più di 40 nuovi “avamposti” di insediamento di coloni israeliani. Il tutto per stabilire i “fatti sul terreno” che saranno poi normalizzati.

Che un paio di milioni di abitanti di Gaza vengano trasferiti in modo semi-volontario o forzato, o che marciscano lì dove sono sotto qualche autorità fantoccio palestinese o araba, non fa alcuna differenza. Israele non ha alcun interesse strategico a Gaza e, a parte qualche colono, nessun interesse a integrarla in un Grande Israele. Resta marginale e sacrificabile. L’interesse principale di Israele è quello di rimuovere 2,3 milioni di palestinesi da un suo governo diretto, quindi mettere i restanti tre milioni del suo Bantustan della Cisgiordania sotto un subappaltatore tipo Autorità Nazionale Palestinese. Quindi un Grande Israele con una maggioranza ebraica del 70-80% che copre tutta la Palestina storica.

  • L’unica condizione effettiva imposta a Israele dagli Stati Uniti e dall’Arabia Saudita perché il processo di normalizzazione possa andare avanti è la quiete industriale, che mette a tacere la questione palestinese in modo da farla semplicemente sparire dalla vista. Così l’intensa campagna di pacificazione di Israele, iniziata con l’eliminazione di Hamas a Gaza, ultimo bastione di resistenza effettiva, che si sta ora riversando in Cisgiordania, dove Israele sta “Gazificando” i campi profughi di Jenin, Tulkarm e Nablus e altre sacche di resistenza. (Con il nauseabondo sostegno attivo dell’Autorità Palestinese, collaborazionista e desiderosa di “dimostrare” a Israele che è in grado di prendere il controllo di Gaza).
  • Infine, con tutto questo in atto, la normalizzazione. Un “Grande” Israele riconosciuto dall’Arabia Saudita, da gran parte del mondo arabo e musulmano e dagli Stati Uniti, i palestinesi visti come “un problema” minore che richiede poco più di un periodico servizio a chiacchere. Di sicuro, questo sarà venduto come la “soluzione a due stati” che la comunità internazionale ha a lungo sostenuto, ma chiamiamola con il suo vero nome: apartheid a due stati.

Il colonialismo colonizzatore non termina con la vittoria, ma con la normalizzazione. Perché normalizzazione vuol dire chiusura definitiva della faccenda. Una volta che un Israele allargato e il suo regime di apartheid saranno riconosciuti dalla comunità internazionale – se non formalmente da gran parte dell’Europa, dal blocco BRICS e dal Sud globale, quindi certamente de facto, il che per Israele è sufficiente – ci sarà ben poco spazio politico per i palestinesi per continuare a spingere la loro causa. Il completamento degli accordi di Abramo rappresenta la più grande minaccia per i palestinesi dalla Nakba del 1948. Opporsi ad esso finché la normalizzazione non avrà altro significato che quello di restituire ai palestinesi i loro diritti nazionali dovrebbe essere la nostra priorità.

Jeff Halper è un antropologo israeliano anti-coloniale, capo dell’Israeli Committee Against House Demolitions (ICAHD) e membro fondatore della One Democratic State Campaign. È autore di  War Against the People: Israel, the Palestinians and Global Pacification (Londra: Pluto, 2015). Il suo ultimo libro è Decolonizing Israel, Liberating Palestine: Zionism, Settler Colonialism and the Case for One Democratic State (Londra: Pluto, 2021). È raggiungibile all’indirizzo jeffhalper@gmail.com .  È raggiungibile all’indirizzo jeffhalper@gmail.com .

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