ALCUNE CONSIDERAZIONI SUL DoE e SULL’ANNUNCIATA VOLONTÀ DI TRUMP DI SOPPRIMERLO

DiRedazione

11 Febbraio 2025
L’opera di demolizione della spesa pubblica inaugurata dal rieletto Donald Trump e dal capo del DOGE, Elon Musk, sta per toccare il Department of Education. Come prevedibile qualcuno applaude, auspicando l’avvento della “libertà di scelta scolastica”, e qualcun altro strilla paventando la fine della “scuola pubblica”. Per capirci qualcosa, bisogna prima scoperchiare il pentolone. I numeri dicono che il DoE oggi non offre un vero servizio pubblico e non garantisce affatto un’istruzione universale, ma è piuttosto un’enorme voragine nella quale ogni anno finiscono miliardi di fondi pubblici che a tutto servono meno che a fornire una solida istruzione di base agli studenti. Se, da un lato, preoccupa molto il modello scolastico che si profila con la nuova amministrazione, fortemente sbilanciato verso il privato, dall’altro non si può non riconoscere che una profonda riforma del DoE è comunque urgente e necessaria. Troppo spesso, anche in Italia, la lotta in favore del servizio pubblico diventa la scusa per difendere istituzioni completamente controllate da partiti e gruppi di potere da ogni possibile riforma.

Iniziamo dicendo che Trump non può chiudere il Department of Education (DoE), come ha più volte annunciato in campagna elettorale e nei primi giorni dopo il suo insediamento. Per farlo, avrebbe bisogno, infatti, di un atto del Congresso e di una “super maggioranza”, ossia 60 senatori su 100. Non li avrà mai. Nel migliore dei casi potrebbe convincere i suoi 53 senatori repubblicani. Praticamente impossibile strappare sette voti tra le file dei democratici. Il massimo che il DOGE e la maggioranza repubblicana potranno fare, dunque, sarà tagliare alcuni programmi e ridurre i fondi che il Congresso alloca annualmente al DoE, in pratica riversando il peso del finanziamento interamente sugli stati (che già oggi sostengono per la maggior parte l’istruzione pubblica). Vedremo. La battaglia su questo terreno si preannuncia durissima.

Resta il fatto, tuttavia, che, da quando è stato istituito da Carter nel 1979, il DoE si è trasformato progressivamente in un’enorme macchina amministrativa che ogni anno imbarca nuovi burocrati e funzionari e si inventa programmi spesso fantasiosi, gonfiando a dismisura i costi, senza per questo migliorare le condizioni salariali del corpo docente o, ancor meno, aumentare il livello qualitativo dell’insegnamento. Al contrario, i salari dei professori sono rimasti negli anni allineati all’inflazione. Peggio ancora, il livello di apprendimento medio degli studenti è andato progressivamente peggiorando. Secondo l’ultimo rapporto del NAEP (National Assessment of Educational Progress), sette studenti americani su 10 di quarta elementare non sono “reading proficient”. Significa, in pratica, che hanno difficoltà anche a leggere la letteratura di livello scolastico e a comprendere testi informativi. Il 40% di loro è stato valutato come “al di sotto della soglia di base”. In matematica, il quadro è simile: sei bambini su 10 di quarta elementare sono indietro.

Trump avrà buon gioco nel dimostrare che il DoE è un carrozzone inefficiente, che ogni anno prosciuga circa 80 miliardi di tasse producendo risultati infimi. E sarà difficile dargli torto su questo, per il semplice fatto che è la verità. Naturalmente, il definanziamento del DoE aprirà la strada a un modello scolastico che favorirà le scuole private, magari ricorrendo al solito stratagemma dei voucher. Un modello che del resto, per quanto trasversale, viene promosso oggi con particolare vigore da potenti fondazioni repubblicane con cui Trump ha dovuto fare i conti in campagna elettorale – dalla Claws Foundation al Club for Growt al Cato Institute – e che già è in rapidissima ascesa. Sentiremo, dunque, rideclinare il sogno americano in termini di “libertà della scelta scolastica”, in nome di un’eguaglianza delle opportunità che, di fatto, consoliderà l’egemonia del privato. E, probabilmente, assisteremo al solito teatrino, in cui gli avversari dell’attuale amministrazione si faranno difensori del pubblico sebbene, in realtà, abbiano contribuito a portarlo sull’orlo del collasso.

Restare fuori dallo spettacolo, e possibilmente romperne gli schemi narrativi, è di gran lunga l’opzione più sensata. Il nostro canale sostiene, come è noto, la necessità di una vera scuola pubblica gratuita. Quanto di più lontano, dunque, dal modello che verosimilmente andrà imponendosi sotto Trump, ma anche da quello esistente. Non riconoscere che c’è del vero in quello che Trump dice e arroccarsi sulle barricate del sinistrismo progressista, sarebbe infatti un madornale errore. Il DoE oggi non offre un vero servizio pubblico, non garantisce un’istruzione universale. Al contrario, è un enorme voragine nella quale ogni anno finiscono miliardi di fondi pubblici che a tutto servono meno che a fornire una solida istruzione di base agli studenti. Per ragioni che riguardano i modelli pedagogici prevalenti (già ampiamente criticati da autorevoli studiosi) e la struttura stessa del sistema.

A ben guardare, infatti, l’esplosione esponenziale della spesa del DoE negli anni sembra essere stata assorbita in massima parte dai costi amministrativi di personale non docente (i grafici della nostra GIF animata, benché non tutti recentissimi, dovrebbero fornire almeno un’idea approssimativa):

Molto ci sarebbe da dire, poi, su come il DoE ha imposto – specialmente negli ultimi anni – standard come l’ormai famoso DEI (Diversity, Equity and Inclusion), condizionando l’erogazione di fondi, borse di studio e agevolazioni varie alla conformità con essi. Così si legge nel rapporto Waste Land. The Education Department’s Profligacy, Mediocrity, and Radicalism della National Association of Scholars, un’organizzazione di difesa dell’istruzione di orientamento conservatore, che propone, tuttavia, una riforma del DoE, ma non la sua eliminazione:

Il Dipartimento dell’Istruzione impone la sua agenda progressista attraverso una serie di azioni locali che non sono mai uniformi e mai universali, ma che sono in ultima analisi sufficienti a cambiare la natura dell’istruzione americana. I burocrati attivisti del Dipartimento dell’Istruzione e i decisori politici hanno fatto molto per trasformare il DoE in un veicolo non responsabile e arbitrario per obiettivi politici progressisti. La struttura stessa del Dipartimento dell’Istruzione, che rende gli stati, le LEA (agenzie educative locali) e gli istituti post-secondari finanziariamente dipendenti dal governo federale, tende a degradare la struttura localizzata della politica e della società americana e a sostituirla con un controllo centralizzato e controproducente da parte del governo federale. (p. 13)
[..]
Il Dipartimento dell’Istruzione ha anche ridefinito il sesso per indicare la parola arbitraria genere; ha quindi interpretato le leggi sulla discriminazione sessuale senza mandato statutario per fornire protezione legale per l’orientamento sessuale (omosessuali) e l’espressione di genere (identità di genere, non conformità di genere, transizione di genere, transgender e acronimi collettivi per una varietà di categorie di orientamento sessuale ed espressione di genere tra cui LGBT, LGBTQ, LGBTQ+ e LGBTQI+). I punti critici particolari per i dibattiti sul transgenderismo includono uomini che partecipano a sport femminili e uomini che usano gli spogliatoi femminili, questioni in cui il Dipartimento dell’Istruzione ha costretto le istituzioni educative a richiedere entrambe queste sfortunate politiche. (p. 29)

Il risultato è che l’istituzione è stata progressivamente infarcita di burocrati e funzionari e trasformata in una macchina finalizzata più a produrre futuri elettori che a preparare studenti per la vita. Chi difende il Department of Education così com’è, illudendosi di difendere così la scuola pubblica, il diritto allo studio universale o, peggio ancora, il “socialismo” dalle grinfie della “destra populista” commette, a nostro giudizio, un errore storico fatale.

Lo ribadiamo: la scuola privata non è certo la soluzione per chi, come noi, sogna l’istruzione pubblica universale. Ma nemmeno può esserlo la difesa d’ufficio di un baraccone inefficiente e controproducente, in nome di principi astratti e puntualmente traditi. Mai come in questo caso le dicotomie imposte dal potere e la propaganda che ne deriva, con le connotazioni ideologiche che ormai conosciamo, dovrebbero essere spazzate via dal dibattito per fare posto a una discussione seria sul modello di istruzione che possa garantire alle nuove generazioni di proiettarsi consapevolmente verso il futuro. Oggi succede in America, ma, non illudiamoci, i riflessi di questo dibattito si faranno sentire molto presto anche sulle nostre sponde.

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