Israele potrebbe agire godendo della stessa impunità se finalmente l’Europa attenuasse il suo vitale sostegno? Ne dubito.

di David Hearst per Middle East Eye – Traduzione a cura di Old Hunter
Prima il re Abdullah di Giordania. Ora il primo ministro britannico Keir Starmer e il presidente francese Emmanuel Macron si recano a Washington per placare le passioni dell’uomo nello Studio Ovale.
Lo schema è ormai definito.
Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump spara una salva contro lo status quo sulla Palestina o sull’Ucraina e i guardiani di quella politica si chiedono: le parole di Trump sono vere? O si tratta di tattiche d’urto, la prima mossa di un lungo periodo di contrattazioni?
Un negoziatore palestinese ha paragonato i tweet di Trump a spari durante un matrimonio tribale: molto rumore, alcuni invitati potrebbero anche essere feriti dai proiettili che cadono, ma a lungo andare non ci sono danni gravi.
È vero?
Stando a fonti egiziane autorevoli, Trump si è dimostrato “attento e comprensivo” nei confronti delle suppliche del re giordano e un piano egiziano alternativo al trasferimento di massa della popolazione voluto da Trump è una possibilità concreta.
Se fosse vero, questo scenario darebbe sostegno all’idea che Trump abbia spinto gli stati arabi all’azione. Tuttavia, abbiamo già visto come nulla di ciò che Trump dice o fa con Israele sia effimero.
Un effetto permanente
Quando gli è stata offerta l’opportunità, il suo successore Joe Biden si è rifiutato categoricamente di annullare i “risultati” del primo mandato di Trump, che si trattasse dell’annessione delle alture del Golan, dello spostamento dell’ambasciata statunitense a Gerusalemme, degli Accordi di Abramo o addirittura delle sanzioni all’Iran.
Al contrario, ha costruito sulle fondamenta gettate da Trump, con conseguenze disastrose.
Allo stesso modo, l’adesione di Trump alla pulizia etnica di massa a Gaza ha già avuto un effetto permanente. Ha reso il trasferimento di massa dei palestinesi, un tempo sostenuto da una politica marginale, a quella dominante in Israele, con una netta maggioranza di ebrei israeliani a favore.
Questo, a sua volta, porta a chiedersi perché un futuro leader israeliano dovrebbe investire in colloqui per la creazione di uno Stato palestinese se crede che il conflitto possa essere concluso con la loro espulsione.
Se trasferiamo questa dinamica all’Ucraina, si aprirà una voragine gigantesca sotto le fondamenta un tempo solide dell’alleanza transatlantica.
Non solo su come fermare la guerra, ma sull’impegno dell’America per la sicurezza europea. L’Europa si ritrova con pochi materiali per colmare il divario.
Né l’America di Biden, né l’Europa di oggi hanno un percorso credibile verso la vittoria. Dopo il costoso fallimento della controffensiva ucraina nel 2023, l’Europa non ha una strategia credibile su come l’Ucraina possa riconquistare il territorio perso a causa dell’invasione di Putin.
Nemmeno i miglioramenti apportati dall’Occidente alla potenza di fuoco ucraina, l’ultimo dei quali è il permesso di usare missili a lungo raggio contro obiettivi in Russia, hanno cambiato il corso strategico della guerra.
L’Europa non ha nemmeno idea su come fermare l’esercito russo che gradualmente conquista pezzi più grandi dell’Ucraina orientale verso Pokrovsk a nord e Kupiansk a sud.
In breve, non esiste una strategia europea credibile per migliorare la posizione dell’Ucraina al tavolo dei negoziati.
L’“alleato indispensabile” dell’Europa
Nonostante tutte le sue palesi falsità, Trump ha ragione su alcune cose. “Le carte” sono nelle mani di Putin, ha dichiarato, e in questo ha ragione.
E, cosa altrettanto importante, l’Europa non ha i mezzi per opporsi a lui. Prendiamo l’idea di creare una forza cuscinetto per sorvegliare un cessate il fuoco.
L’Europa soffre di una critica carenza di munizioni a lungo raggio e di piattaforme logistiche militari di massa.
Il fallito intervento della Francia in Mali nel 2013 è stato possibile solo perché gli Stati Uniti hanno trasportato il loro equipaggiamento militare e hanno fornito aerei per il rifornimento in volo con base in Spagna per rifornire i caccia francesi.
“Loro [gli americani] sono chiamati l’alleato indispensabile per un motivo”, ha detto un ministro degli esteri europeo al FT. “Senza di loro non possiamo condurre alcuna forma di operazione militare complessa, né sostenere compiti anche semplici”.
Appena Starmer ha espresso la prospettiva che il Regno Unito fosse a capo di una forza di pace, è stato riportato alla realtà da Richard Dannatt, ex capo dell’esercito britannico.
Dannatt ha dichiarato alla BBC: “Non abbiamo né i numeri né l’equipaggiamento per mettere sul campo una grande forza per un periodo prolungato”. O come ha detto lunedì Herbert McMaster, ex consigliere per la sicurezza nazionale di Trump: “Il Corpo dei Marines degli Stati Uniti è più grande di tutto l’esercito britannico”.
C’è un crescente numero di opinioni che, nella zona del Mar Nero, in Turchia e sul fianco meridionale della Nato, vorrebbero che questa guerra finisse.
La voragine non è solo tra Washington, Berlino e Parigi. È anche tra i lati settentrionali e meridionali della NATO. Indipendentemente dal fatto che lo shock per l’establishment della difesa europea espresso dagli inviati di Trump sia retorico o reale, una tendenza è chiara.
Le esigenze di difesa dell’Europa e quelle dell’America stanno divergendo nettamente per la prima volta dalla fine della seconda guerra mondiale. “Questa guerra è molto più importante per l’Europa che per noi”, ha scritto Trump. “Abbiamo un grande e meraviglioso oceano come separazione”.
Paragonare Volodymyr Zelensky a Winston Churchill, come ha fatto il segretario alla Difesa britannico John Healey dopo che Trump ha attaccato il leader ucraino definendolo un dittatore, non porterà più rapidamente alla conclusione dell’incubo della guerra in Ucraina.
Etichettare il rapporto tra Trump e Putin come acquiescente e paragonarlo all’accordo tra Neville Chamberlain e Hitler per l’annessione dei Sudeti, una regione di lingua tedesca della Cecoslovacchia, alla conferenza di Monaco del 1938, è un esempio di virtù antistorica, nella sua forma peggiore.
Una comoda cortina fumogena
La conferenza di Monaco del 1938 è stata citata come monito contro qualsiasi forma di concessione a un nemico irrimediabilmente malvagio.
Ma è fondamentalmente inesatta come analogia per le guerre che si verificano oggi, e perfino come descrizione accurata di ciò che accadde realmente a Monaco nel 1938.
Monaco diede alla Royal Air Force (RAF) britannica due anni di tempo per riarmarsi, consentendole di sconfiggere la Luftwaffe nella Battaglia d’Inghilterra del 1940. In realtà, la battaglia aerea fu vinta con un margine ristretto e fu dovuta più che altro all’errore di Hitler di passare i suoi bombardieri dal bersaglio dei campi d’aviazione a quello delle città.
Questa battaglia, secondo Andreas Hillgruber, il principale storico tedesco di quel periodo, fu uno dei punti di svolta della guerra.
Se la Gran Bretagna fosse entrata in guerra per i Sudeti, come fece per la Polonia un anno dopo, e una RAF mal equipaggiata e mal addestrata avesse perso il controllo dei cieli sopra la Gran Bretagna, l’esito avrebbe potuto essere molto diverso.
Il modello di pacificazione di Monaco ha ancora meno senso in Ucraina, il cui conflitto con la Russia precede l’invasione di Putin nel 2022 e dove l’espansione orientale della Nato ha avuto un ruolo fondamentale nel rivolgere una Russia filo-occidentale contro l’Occidente, spingendola a ritornare a un imperialismo zarista aggressivo e di ispirazione religiosa.
Sia i russi che gli ucraini occidentali hanno giocato la carta nazionalista con effetti disastrosi, rendendo inevitabile la guerra nell’Ucraina orientale, un’area separata etnicamente e linguisticamente.
Il paradigma di Monaco ha spazio solo per un aggressore, ma non è quello che è successo in Ucraina tra la caduta dell’Unione Sovietica e oggi. La certezza morale del paradigma di Monaco è una comoda cortina fumogena.
Né aiuta affermare che se Putin vince in Ucraina, la Moldavia o l’Estonia saranno le prossime. Putin ha effettivamente vinto in Ucraina, se la vittoria è definita come il mantenimento del territorio che le sue forze hanno conquistato.
La messa in sicurezza dei confini dell’Europa orientale dipenderà tanto dalla diplomazia con la Russia quanto dall’appello alla forza militare per proteggere i confini. Al momento l’Europa occidentale non ha né l’uno né l’altro.
Mettere fine all’impunità di Israele?
Che impatto ha tutto questo sul Medio Oriente? Indiscutibilmente, i cambiamenti della politica estera statunitense da un’amministrazione all’altra hanno ripercussioni su tutti i Paesi che ritengono che il sostegno militare degli Stati Uniti sia parte integrante del loro rapporto con Washington.
Non lo è più. L’Arabia Saudita lo ha imparato a sue spese quando i droni costruiti dall’Iran hanno attaccato i suoi impianti petroliferi, dimezzando temporaneamente la produzione dell’Aramco. Trump, che all’epoca era presidente, non ha reagito.
Qualsiasi trattato firmato da un presidente degli Stati Uniti può essere annullato dal suo successore. Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, l’alleato più vicino a Trump nel mondo, ritiene che questo aspetto sia attualmente a favore di Israele.
Netanyahu si vanta che può far funzionare a suo vantaggio qualsiasi amministrazione statunitense. È riuscito a trovare degli inviati per “parlare con i democratici” quando Biden era al potere. E ha i finanziatori per incanalare le politiche più estreme nel cervello vuoto di Trump e della sua cricca di consiglieri oggi.
Sia il sionismo dell’attuale leadership del Partito Democratico sia il ricorso all’evangelismo cristiano da parte di Trump promuovono l’implacabile opposizione di Israele alla creazione di uno Stato palestinese e quindi alla soluzione del conflitto.
Ma Israele trae altrettanto vantaggio dal ruolo dell’Europa in questo conflitto. Il sostegno britannico, tedesco e francese al processo di Oslo ha permesso ai coloni israeliani di assicurarsi la presa sulla Cisgiordania occupata per decenni.

durante una manifestazione a Monaco di Baviera, in Germania, il 15 febbraio 2025
Questo è stato uno dei fattori che hanno portato all’attacco di Hamas dell’ottobre 2023.
L’Europa forma e finanzia un’Autorità Nazionale Palestinese che esiste solo per essere gli occhi e le orecchie della massiccia operazione di sicurezza di Israele. Se c’era una potenza esterna che lavorava per l’occupazione di terre che fosse la più economica e indolore possibile per l’occupante, quella era Bruxelles.
A prescindere da ciò, gli ebrei israeliani si considerano europei che proteggono l’Europa dall’Islam.
Così come i coloni francesi dell’Algeria, che dichiararono lo Stato nordafricano parte integrante della Francia, gli ebrei israeliani custodiscono e coltivano i loro legami con la diaspora ebraica in Europa, senza il cui sostegno Israele non esisterebbe.
Dove si colloca Israele se, come sostiene ora Trump, “un grande e meraviglioso oceano separa l’America dall’Europa”?
Non è una questione che sta molto a cuore a Netanyahu. Ma dovrebbe esserlo.
L’incubo dell’Europa
Come Trump, il governo estremista di Netanyahu ha corteggiato l’estrema destra europea neofascista e tradizionalmente antisemita, gli stessi partiti che stanno scuotendo la politica tedesca, francese e
potenzialmente anche britannica.
Come Trump, Netanyahu straccia gli accordi a metà, come ha fatto rifiutando di ritirare le sue truppe dal Libano, o come sta facendo con il cessate il fuoco a Gaza.
Come Putin, egli stabilisce “i fatti sul campo” conquistando territori e mantenendoli con la forza delle armi.
Se Netanyahu e Ron Dermer, ora suo capo negoziatore nei colloqui di Doha, riuscissero nel loro intento di “diradare” la popolazione di Gaza – una politica da loro perseguita fin dai primi giorni della guerra nell’ottobre 2023 – centinaia di migliaia, se non milioni di palestinesi potrebbero dirigersi verso l’Europa.
Se il nazionalismo di destra e l’immigrazione sono le due forze che modellano la politica di ogni grande paese occidentale, la gioia di Israele nel modificare l’equilibrio demografico della popolazione tra il fiume e il mare si trasformerebbe rapidamente nell’incubo dell’Europa.
Tutti questi fattori stanno agiscono contro la difesa dell’Europa e gli interessi europei. Tutti questi fattori minacciano la stabilità politica e sociale in Europa.
Vedremo cosa succederà in Europa se Netanyahu riavvierà la guerra a Gaza o annetterà parte della Cisgiordania. Israele potrebbe operare con la stessa impunità se l’Europa finalmente si accorgesse della situazione e attenuasse il suo sostegno vitale? Ne dubito.
Ma, grazie allo splendido oceano che si è aperto tra Washington e il resto del mondo, questa è una possibilità concreta.
David Hearst