Per impedire a Marine Le Pen di presentarsi alle elezioni presidenziali francesi, un tribunale di primo grado l’ha condannata per «appropriazione indebita di fondi pubblici». Il nesso causa-effetto è stato invertito: la privazione del diritto di eleggibilità non consegue il reato commesso, ma quest’ultimo è stato inventato per giustificare la pena di ineleggibilità. Stranamente nessun appartenente alla classe politica ha ritenuto opportuno ricordare che la presidenza del parlamento europeo ha modificato la concezione del ruolo dei deputati, sicché ora vengono considerati criminali i parlamentari che insistono a praticare il mestiere per cui sono stati eletti, quello appunto di parlamentare europeo.
di Thierry Meyssan per Réseau Voltaire

Il 31 marzo 2025 Marine Le Pen è stata condannata per «appropriazione indebita di fondi pubblici» a quattro anni di reclusione, di cui due da scontare agli arresti domiciliari, poi a 100 mila euro di multa e a cinque anni di ineleggibilità. L’esecuzione della sentenza è immediata, indifferente agli esiti di un eventuale processo di appello. Sono stati condannati anche altri 24 responsabili del Rassemblement National (RN), nonché il partito stesso. La classe politica francese si è subito divisa tra coloro che si sono rallegrati di vedere la favorita alle elezioni presidenziali esclusa dalla corsa e coloro che hanno deplorato la sentenza.
Com’era da aspettarsi nessuno ha osato esprimere apertamente il proprio pensiero, ma tutti hanno assicurato o di sostenere «lo Stato di diritto» o di condannare «la tirannia dei giudici».
Dietro le reazioni a una sentenza storica, pronunciata da tre giudici indipendenti dal potere politico, ma che avevano ben capito quali fossero le richieste della procura (cioè il punto di vista del governo), c’è il fatto che nessuno osa affrontare la questione che la sottende: il conflitto tra la Francia e la presidenza del parlamento europeo. I fatti contestati sono tutti antecedenti al 2015. È impossibile capire perché gli eletti del Rassemblement National, pur convinti di non aver violato le legge, sono stati condannati, se non si conosce questa controversia. Ecco la spiegazione.
Alla fine della seconda guerra mondiale il primo ministro britannico Winston Churchill elaborò un progetto per pacificare europei tanto diversi tra loro attraverso la creazione di istituzioni comuni tra Stati. Non si parlava ancora di Unione europea, bensì di un’istanza che permettesse ai governi di incontrarsi e negoziare in modo permanente, o di un’organizzazione che riunisse i parlamentari degli Stati per favorirne il confronto. Alla fine dieci Stati fusero i due progetti in lizza e crearono il Consiglio d’Europa. Cui oggi aderiscono 46 Stati. La sede di questa istituzione politica è Strasburgo. In pratica, il Consiglio d’Europa fu concepito come braccio civile della Nato, Strasburgo fu scelta come sede perché città culturalmente franco-tedesca.
Indipendentemente dal Consiglio d’Europa nacque un altro progetto, però economico: la Comunità economica del carbone e dell’acciaio (CECA), diventato Comunità economica europea e oggi Unione Europea. La sede del parlamento europeo venne stabilita a Strasburgo, già sede dell’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa. Tuttavia, a causa delle rivalità tra gli Stati membri, diverse istituzioni di questa unione economica furono collocate a Bruxelles e a Lussemburgo, sede del segretariato generale del parlamento nell’edificio Robert Schumann. I parlamentari europei risiedevano una settimana al mese a Strasburgo, poi tornavano nei rispettivi Paesi. Poiché erano eletti non a titolo personale, ma in nome del proprio partito, in un unico collegio nazionale (tranne che tra il 2003 e il 2018, quando ci fu la suddivisione in otto collegi elettorali), dedicavano il resto del tempo al loro proprio partito politico.
Nel 1993 il parlamento europeo si dotò di un emiciclo a Bruxelles, l’edificio Paul-Henri Spaak. Sei anni dopo inaugurò il proprio emiciclo a Strasburgo, l’edificio Louise Weiss. All’epoca le sessioni parlamentari venivano ripartite tra le due città. Una gigantesca carovana di camion provvedeva, per due volte al mese, a trasferire tutti gli incartamenti dei parlamentari da una sede all’altra. Avendo ora a disposizione un ufficio privato a Bruxelles, i parlamentari europei furono esortati a risiedervi e a recarsi a Strasburgo solo per le sessioni che vi si tenevano. Tornavano nel proprio Paese solo per incontrare gli elettori e per le riunioni di partito.
L’amministrazione della Comunità economica europea, che risiedeva principalmente a Bruxelles, intendeva distinguersi dal Consiglio d’Europa e al tempo stesso avvicinarsi al Parlamento europeo; quindi fece di tutto per far cessare l’andirivieni da Strasburgo dei parlamentari e per fissare a Bruxelles la sede permanente del parlamento europeo. Era anche l’obiettivo della Nato, i cui uffici principali si trovano anch’essi a Bruxelles (più precisamente a Mons). La Nato stabilisce le norme, la Commissione le propone al Parlamento e quest’ultimo le approva. Ma siccome con il tempo il parlamento europeo aveva iniziato a svolgere un ruolo sempre più indipendente, la Nato ha sentito il bisogno di sorvegliarlo in permanenza per assicurarsi che nessuna delle proprie norme sia respinta.
È a questo punto che inizia la controversia: i francesi si rifiutavano di lasciare Strasburgo per non cadere troppo ostentatamente sotto l’influenza degli anglosassoni. La presidenza del parlamento pretendeva invece che gli eletti si dedicassero esclusivamente alla propria carica, a Bruxelles, e cessassero di occuparsi dei partiti di appartenenza nei rispettivi Paesi.
Da allora tutti i partiti politici francesi legati all’indipendenza del loro Paese – non solo il Rassemblement National – sono in contrasto con la presidenza del parlamento europeo. Il tribunale che ha condannato Marine Le Pen si è quindi schierato con la tesi della presidenza del Parlamento europeo, contraria a quella del Rassemblement National che sosteneva di non aver sottratto un solo centesimo di denaro pubblico e di aver agito come molti altri partiti politici.
Durante il processo, Marine Le Pen ha scelto di difendersi sostenendo di non aver avuto scelta, di essere stata costretta a optare per la precedente concezione del lavoro dei deputati europei, piuttosto che la nuova, perché i suoi colleghi non volevano che fosse una deputata a pieno titolo (la politica del cosiddetto cordone sanitario). Dal momento che non si sentiva a proprio agio a Bruxelles ha scelto di lavorare nel proprio Paese.
«Questa impostazione della difesa costituisce, secondo il tribunale, una costruzione teorica che disprezza le regole del parlamento europeo, le leggi della Repubblica e le decisioni giudiziarie, emesse soprattutto nel corso di questa informazione giudiziaria, attenendosi solo ai propri principi» scrivono i magistrati.
Bisogna sapere che non ci sono regole sul parlamento europeo; l’unico testo di riferimento è il Trattato consolidato della Ue, che fissa la sede del parlamento europeo ancora a Strasburgo e non a Bruxelles. La posizione dei deputati europei francesi è dunque in accordo con i testi.
In sostanza i magistrati non hanno giudicato secondo diritto e, per quanto riguarda la favorita alle elezioni presidenziali, non potevano adottare misure provvisorie perché Marine Le Pen non è più deputata europea, quindi non può «recidivare», secondo la loro interpretazione dei fatti.
Condannando Marine Le Pen, il tribunale non l’ha semplicemente privata del diritto di candidarsi alla presidenza della Repubblica, ma ha privato i deputati francesi del diritto di contestare la sottomissione del Parlamento europeo alla Nato.
Per scaricare il dispositivo della sentenza, cliccare qui: https://www.voltairenet.org/IMG/pdf/delibere-marine-lepen.pdf