A MODO NOSTRO. ITALIA CAPITALE MONDIALE DEL DESIGN

DiSonia Milone

12 Aprile 2025
Ikea? Anche no! Con un fatturato di 6,3 miliardi di euro, 17.312 imprese, 63.485 occupati, il design italiano si conferma il numero uno al mondo.

Scriveva Alessandro Mendini (1931- 2019), architetto e designer di fama internazionale:

“L’uomo iper-moderno si muove nell’universo degli oggetti come sulle onde di un’infinita Odissea. Ho paura del mondo così come lo vivo e lo ho vissuto. Percepisco la modernità come minaccia. I miei oggetti si pongono in essa come anticorpi, come anomalie, come fiori finti. Il mondo gelido, devastante e uniforme del potere scientifico mi spinge a fare una progettazione acrobatica, ad esprimere con vari mezzi le mie speranze, ma anche il mio disagio”1.

A. Mendini, Anna G, cavaturaccioli, 1994

Per lui il design era innanzitutto espressione poetica e, in quanto tale, un esorcismo contro la freddezza della tecnocrazia e l’algida distesa di oggetti-strumento, poiché se è vero che “tutto il mondo è divenuto boutique” è responsabilità sociale e culturale del progettista riuscire a tracciare “una passeggiata umana nel vuoto di merce e di metropoli”.
Di qui la sua costante ricerca per riportare alla sua radice antropologica la problematica del rapporto fra l’uomo e gli oggetti che strutturano l’ambiente. Negli ultimi anni della sua lunga vita, Mendini accusava il design di essere “bello, ma stupido”, cioè di non saper più instaurare col settore imprenditoriale quel rapporto dialettico di necessaria opposizione e provocazione, perché “nella sua essenza l’atto poetico contraddice l’atto industriale”, ha scritto.

Il design, come è noto, nasce nel nord Europa in risposta alla Rivoluzione Industriale dell’ Ottocento quando architetti, artisti e intellettuali iniziano a chiedersi come intervenire in un mondo che si stava avviando ad essere plasmato senza qualità dalla riproduzione seriale della macchina, lasciandosi alle spalle millenni di artigianato e di oggetti unici fatti dalla mano dell’uomo.

In Italia, l’industrializzazione arriva in ritardo ma è proprio questo che ha reso unico il nostro design poichè ha dato la possibilità di aprire tempi di elaborazione e di messa in critica della nuova disciplina progettuale del tutto inediti. La caratteristica fondamentale del design italiano è, infatti, la sua capacità di unire industria e artigianato, innovazione e tradizione.

G. Frattini e P. Ghianda, tavolo Kyoto, 1974

Pierluigi Ghianda (1929-2015), ad esempio, ebanista brianzolo che ha reinventato il mestiere di falegname, continuava con orgoglio a definirsi un “legnamé, un artigiano a cui piace fare delle belle cose”. E di cose belle ne ha fatte parecchie come il “tavolo Kyoto”, esposto al MoMa di New York, per cui ha ideato 1705 incastri e una texture di 1600 fori quadrati su cui giocano luci ed ombre. Per lui il legno era materia viva da toccare in un rapporto fisico con il materiale.

Oltre ai mobili da lui creati, ha collaborato con gli architetti del Politecnico con cui ha scritto pagine fondamentali della storia del design milanese. Nella sua bottega sono passati proprio tutti (da Gio Ponti ai fratelli Castiglioni, da Ettore Sottsass a Franco Raggi, da Cini Boeri fino a Vico Magistretti per cui realizza il prototipo del tavolo “Vidun”, capolavoro di sapienza tecnica) affinché trovasse soluzioni concrete alle loro idee in una collaborazione che portava anche alla rimessa in discussione dei progetti di partenza perché fra la mente e la mano vige una inscindibile alleanza.

A chi gli diceva che, oramai, con le macchine i suoi oggetti potevano essere intagliati in cinque minuti, Ghianda risposeva: “Quando faranno delle macchine con dei polpastrelli che sentono come le dita e con degli occhi che vedono come i nostri, allora ne comprerò dieci. Ma fino a quel momento, che nessuno mi venga a raccontare che le macchine funzionano meglio di un uomo per la lavorazione del legno!”

Fortunato Depero, bottiglia Campari, 1932

Il design italiano prima di diventare compito di architetti inseriti in un tessuto industriale sempre più specializzato, è all’inizio opera di maestri artigiani di eccezionale talento e di artisti come Balla, Depero e Prampolini che progettano i geniali arredi futuristi per attuare la loro “ricostruzione estetica dell’universo”, primo esempio di progettazione globale, o come Felice Casorati con i suoi tavoli e sgabelli metafisici, o come Manzù che firma nel 1929 la splendida lampada “Eva” insieme all’architetto Giuseppe Pizzigoni.

Tutto il secolo scorso è caratterizzato da numerose collaborazioni fra architetti ed artisti come quella che vede impegnati Giuseppe Terragni e il pittore astrattista Mario Radice alla Casa del Fascio di Como, uno dei massimi esempi di architettura razionalista italiana, o Mario Sironi che lavora sia con Terragni sia con Muzio e il rivale gruppo Novecento. Nel secondo dopoguerra si distingue l’attività dei pittori astrattisti del MAC che affinano un preciso programma di sintesi delle arti coinvolgendo Bruno Munari, Enrico Baj, Joe Colombo, insieme a progettisti del calibro di Pier Luigi Nervi e Vittoriano Viganò.

Particolarmente proficua è la sinergia fra uno dei padri del disegno industriale, Osvaldo Borsani, e numerosi artisti quali Fausto Melotti, Arnaldo Pomodoro e, soprattutto, Lucio Fontana che ha portato alle celebri ceramiche con i fregi spazialisti. All’architetto milanese si devono un’infinità di innovazioni della storia dell’arredo dagli anni Trenta ai Sessanta, sua fu anche la concezione democratica dell’ufficio, privo di gerarchie che non fossero funzionali al lavoro. “Quando noi usavamo il vocabolo design – diceva Borsani – lo facevamo con rispetto profondo perché si nominava un nuovo modo di pensare e di costruire”.

A. e P. Castiglioni, lampada Arco, 1962

Nel secondo dopoguerra esplode il miracolo economico italiano, si moltiplicano le aziende e il design diventa disciplina cosciente della propria funzione economico-sociale (nel 1956 viene fondata a Milano l’ADI, Associazione per il design industriale).

Da allora il design italiano ha conosciuto uno sviluppo senza sosta. Con un fatturato di 6,3 miliardi di euro, 41.908 operatori, suddivisi tra 24.596 liberi professionisti e lavoratori autonomi e 17.312 imprese che hanno generato un valore aggiunto pari a 3,14 miliardi con 63.485 mila occupati, tutt’oggi si conferma il numero uno al mondo2.

A guidare il sistema è la Lombardia che raccoglie il 29,4% delle imprese italiane e il 27,7% dell’occupazione complessiva, seguita da Veneto, Emilia Romagna e Piemonte. La capitale mondiale del design è Milano capace di concentrare il 18% del valore aggiunto del settore di tutto il territorio nazionale.

Il suo successo è legato, fra gli altri fattori, ad un sistema di formazione diffuso sul territorio che vede una delle più alte concentrazioni di scuole di design al mondo con eccellenze quali il Politecnico di Milano (4000 studenti iscritti di cui un terzo provenienti dall’estero) in vetta alla classifica delle università pubbliche internazionali e quinta nella top 10 mondiale del “QS World University Rankings by Subject nell’area Design”.

Nell’arredo esistono altre realtà di rilievo (presenti negli Stati Uniti, in Germania, in Giappone e nel Nord Europa) ma nessuno è come noi e non c’è designer straniero che non sogni di progettare per una azienda italiana. Perché la verità è che sono tutti pazzi per il “Made in Italy” che continua ad esercitare una forte attrattiva con il vino italiano che è l’unico prodotto che tutt’oggi batte la Coca Cola.

Se l’antropologo Marc Augé definiva McDonald come il simbolo della globalizzazione dove tutti mangiano di fretta lo stesso cibo nelle diverse parti del pianeta senza nessun legame con la specificità dei luoghi e delle tradizioni, possiamo dire che lo è anche Ikea, emblema di un processo produttivo facilmente imitabile ovunque e di un modo di abitare omologato, fatto di mobili traballanti di cartone di scarsa qualità e rapida obsolescenza, pensati per l’abitante del terzo millennio che passa di casa in casa e di città in città, perennemente in transito nella precarietà del lavoro e della vita.

Bruno Vaerini, tavolo Filo, 2010

Gli arredi fatti in legno, acciaio, bronzo, marmo, sono, all’opposto, solidi, fatti per durare nel tempo, creati per affezionartici e invitarti a radicarti in una casa, in una città, in una comunità.

Sono il frutto della cultura di territori come la Brianza, alle porte di Milano, che è il più grande distretto al mondo del design, un vero museo diffuso del bello. Le aziende più importanti del mobile sono tutte in questa area, bacino fondamentale per lo sviluppo di competenze, talenti e idee che poi dettano le linee guida internazionali.

È proprio nell’unicità di questi territori al confine tra Milano, Monza, Cantù e Como che, da cento anni, risiede un’industria lungimirante costituita da piccole e medie imprese che ha saputo valorizzare un artigianato di altissima qualità che è il fattore che contraddistingue i nostri prodotti. Un macchinario può funzionare nello stesso modo a Tokyo come a Cantù ma è la mano dell’uomo a fare la differenza, un valore che non ha prezzo perché non è replicabile in nessun’altra parte del globo.

Come ha scritto Giulio Cappellini (Compasso d’Oro alla carriera dell’ Adi Museum di Milano e grande ambasciatore del design nel mondo) qui c’è una cultura dove si respira ancora aria di bottega che “fa crescere come imprenditori e come operai, un contagio che accomuna le persone che in questi luoghi crescono e lavorano. Qui nell’arco di 10 chilometri è possibile risolvere qualsiasi problema tecnico che sia relativo al legno, all’alluminio o alla plastica. Si tratta di un tessuto produttivo straordinario e di un comune approccio molto pratico ai problemi. Possiamo anche disegnare un progetto, ma poi bisogna che ci sia qualcuno che lo capisca e che lo sappia prototipare. Servono specialisti capaci di interpretare le idee del designer e farle diventare prodotto. Si tratta di un ruolo di valore importante che ha bisogno di perizia, sensibilità ed esperienza perché un intagliatore, ad esempio, non è un semplice operaio, è un artista”.

Competenza artigiana, sapienza manuale, arte del mestiere in tutte le sue specializzazioni sono la ricchezza di questi luoghi e vi è la più grande attenzione alla loro tutela. Per garantire la trasmissione dei saperi e il ricambio generazionale delle maestranze proprio le aziende hanno voluto l’apertura del “Polo formativo del legno e dell’arredo”, inaugurato nel 2012 a Lentate sul Seveso, che va arricchendosi di nuovi indirizzi come quello della tappezzeria.

Museo del design, Palazzo della Triennale, Milano

Il design lombardo però non è solo un vanto produttivo ma un circuito culturale che si snoda fra il Museo del design dalla Triennale di Milano, i numerosissimi Musei d’impresa sparsi sul territorio, gli archivi dei progettisti, il più antico e prestigioso premio del settore conferito ai migliori creativi (il Compasso d’Oro), la Biblioteca del mobile e dell’arredamento di Lissone (unica in Italia) e un vivacissimo mondo editoriale fatto di riviste di eccellenza come Casabella, Domus e Interni, lette in tutto il mondo.

Il successo dei prodotti trova, poi, corrispondenza nel Salone del Mobile di Milano, la più importante fiera internazionale del settore (una delle poche non ancora divorata dalla Cina) dove si incontrano ogni anno 2.100 venditori e milioni di acquirenti provenienti da oltre 150 Paesi.

Tutto ciò viene, infine, coronato con il Fuorisalone, la festa della creatività che invade, per una settimana, le vie e i quartieri del capoluogo lombardo con oltre mille eventi fra mostre, installazioni e convegni dove si incontrano designers, architetti, arredatori, fotografi, grafici, giornalisti, esperti della comunicazione e studenti, oltre a personalità delle istituzioni, per condividere idee che interpretano il presente immaginando il futuro. La manifestazione è un appuntamento ormai radicato nella cultura cittadina permettendo alle persone comuni di immergersi nella cultura del progetto, perchè l’abitare è un bene comune.

Tante le esposizioni speciali nell’edizione di quest’anno, come l’installazione “Mother” di Robert Wilson al Castello Sforzesco dedicata alla “Pietà Rondanini” di Michelangelo, mentre “Library of Light” dell’artista britannica Es Devlin offre un’esperienza performativa allestita nel cortile della Pinacoteca di Brera, vero “faro di sapere”, e realizzata con 2.000 volumi. Nel chiostro e nella sacrestia di Santa Maria delle Grazie viene presentato “Graffito di luce”, costituito da suggestive sculture luminose ispirate ad una decorazione floreale del Bramante all’interno del chiostro.

Esposizione al Salone del Mobile di Milano

Tappa obbligata del Fuorisalone è l’Università degli Studi di Milano dove, nel cortile quattrocentesco, progettisti di fama creano sempre mini-architetture dal forte carattere sperimentale, emblema di un processo in cui la creatività si traduce in azione concreta, innescando trasformazioni reali. La mostra “Facades, l’ordine nel caos” offre invece una riflessione sulla solitudine urbana nelle opere di Mao Sagao.

“Armonie invisibili” è il tema scelto dal quartiere delle 5vie per riscoprire la bellezza come esperienza che connette spazi, cose e persone. Oltre l’estetica, il bello diventa una soglia verso un’armonia sottile capace di fondere forma, funzione e intuizione e il design un ponte tra tangibile e intangibile. Il Durini Design District diventa, invece, un laboratorio per riflettere sul valore della materia, inesauribile punto di partenza per la creatività, evidenziandone il ruolo nella definizione di nuovi scenari estetici e funzionali.

Negozio Richard Ginori, 290 anni di storia

Uno degli aspetti più belli della manifestazione è l’apertura al pubblico di luoghi della città solitamente non accessibili. Quest’anno la presentazione della collezione del designer cinese Gu Hailong, ha offerto l’occasione di visitare la Cascina Bolla che secondo alcuni ricercatori fu la residenza milanese di Leonardo da Vinci tra il 1483 e il 1499, nel frattempo, come ogni primavera, è sbocciata nel giardino della Casa degli Atellani la “vigna di Leonardo”, il vitigno donatogli dal Duca di Milano per allietare il lavoro del genio fiorentino (che pare provenisse da una famiglia di vignaioli) intento a dipingere “L’ultima cena”.

In effetti il design italiano ha saputo ereditare la lezione di Leonardo facendo propria quell’unità inscalfibile fra cultura umanistica, pensiero scientifico, sapienza manuale, audacia sperimentale e, soprattutto, infinita immaginazione.

Contro le non cose e i non luoghi, c’è il modo italiano.

NOTE

1, Alessandro Mendini, “Scritti”, Skira, 2004

2. Report “Design Economy 2024” realizzato da Fondazione Symbola, Deloitte Private, POLI.design e ADI in collaborazione con Comieco, Alma Laurea, CUID, con il patrocinio del ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale e del ministero delle Imprese e del Made in Italy.

Per approfondire la cultura italiana, si veda anche:

GRAND TOUR: IL GRANDE VIAGGIO IN ITALIA DELL’ÉLITE EUROPEA

VIAGGIO IN ITALIA SULLE ORME DEI GRANDI SCRITTORI

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