
di Moussa al-Sadah – per Al-Akhbar | traduzione Enrico Tomaselli
Nell’aprile 2022, di fronte a centinaia di migliaia di persone radunate nella capitale yemenita Sana’a, il leader poi martirizzato di Hamas, Ismail Haniyeh, si rivolse alla folla in occasione della Giornata di al-Quds. Le sue parole echeggiarono attraverso un maxischermo: “Gerusalemme è il cuore di Sana’a e dello Yemen, che è sempre stata una culla dell’identità araba e un baluardo dell’Islam, vive e respira per Gerusalemme e la Palestina”.
Sette anni prima, nel 2015, appena tre giorni dopo il lancio della campagna militare saudita-americana Operazione Tempesta Decisiva, il movimento di resistenza palestinese Hamas aveva rilasciato una dichiarazione in cui esprimeva il suo sostegno alla “legittima autorità nello Yemen”.
Comprendere il cambiamento e il contrasto tra questi due momenti è fondamentale per comprendere la struttura di fondo del rapporto tra Ansar Allah e Hamas nel periodo che precedette il Diluvio di Al-Aqsa. Questo cambiamento segnò una svolta decisiva, trasformando i loro legami in un modello esemplare e in un nucleo fondante per la solidarietà transfrontaliera tra due movimenti socio-politici arabi.
Da parte di Hamas, il movimento stava attraversando un periodo di riorganizzazione interna e di ricalibrazione della propria posizione regionale e internazionale. Ciò che colpisce è come una struttura politica complessa, che comprende leader incarcerati, rifugiati nella Striscia di Gaza assediata, palestinesi nati nei Paesi arabi e comunità della diaspora in Occidente, sia riuscita a preservare una facciata pubblica di coesione. Questo, nonostante i diversi mondi, le strutture di classe e i paradigmi politici che ne costituiscono la base, è un risultato organizzativo di grande importanza. Storicamente, i movimenti nazionali e islamici spesso crollano sotto il peso del dissenso interno. Il fatto che Hamas, in un panorama palestinese così frammentato e instabile, abbia mantenuto una parvenza di unità è uno dei suoi più grandi successi.
Questa coesione fragile ma resiliente è particolarmente importante nel contesto del colonialismo, che mira soprattutto a smantellare le strutture sociali e organizzative dei colonizzati. La capacità di organizzare e preservare l’unità interna rimane una delle questioni più urgenti e una delle sfide esistenziali dei movimenti di liberazione nazionale.
È da questo riorientamento interno che è emerso il riavvicinamento di Hamas ad Ansar Allah. Questa svolta non è stata casuale, ma parte di una deliberata ricalibrazione volta a costruire un fronte strategico per la tempesta imminente: l’Operazione Al-Aqsa Flood. Ricostruire le sue alleanze regionali è diventato essenziale. Questa rete è intricata quanto le contraddizioni del mondo arabo. Eppure la storia ce lo insegna: per qualsiasi movimento di liberazione, sfruttare le contraddizioni e costruire interessi comuni è una precondizione per la sopravvivenza e la vittoria. Che si tratti di sfruttare piattaforme mediatiche come Al Jazeera, di interagire con regimi arabi intermediari o di stabilire legami con movimenti transnazionali in Malesia, Pakistan e Sud America.
Da parte sua, Ansar Allah ha offerto un modello di principio di solidarietà politica e sentimentale araba con la Palestina e i suoi movimenti di resistenza. Il fondamento ideologico del movimento yemenita, radicato negli insegnamenti rivoluzionari del suo fondatore, il martire Sayyed Hussein Badr al-Din al-Houthi, è eccezionale. La sua visione, forgiata nei primi anni 2000 e rimasta incrollabile, era panislamica, antimperialista e radicalmente contraria al sionismo. Questa visione vede la lotta palestinese non come uno slogan, ma come una causa araba esistenziale che richiede umiltà, impegno e un sostegno incrollabile.
Ansar Allah ha mantenuto una posizione di principio nei confronti della causa palestinese, anche quando alcune fazioni palestinesi le si sono opposte. La lealtà verso la Palestina è stata una costante rivoluzionaria, non una variabile tattica. Sapevano che cedere alle divisioni o allinearsi alle polarizzazioni settarie avrebbe solo servito gli interessi sionisti. Pertanto, i principi fondamentali di Ansar Allah, delineati nei discorsi del suo leader Abdul Malik al-Houthi, e persino nei cori dei suoi combattenti sul campo di battaglia durante l’aggressione saudita-americana, sono rimasti saldamente ancorati alle avversità. Emotivamente e ideologicamente, il movimento ha conservato un profondo animus antisionista che continua a plasmare la coscienza politica yemenita.
Partendo da queste basi, la convergenza dei due movimenti in un momento di portata rivoluzionaria, il 7 ottobre, ha segnato un cambiamento radicale, che nessuna delle due parti aveva pienamente previsto. Per Hamas e i suoi combattenti, un nuovo attore è improvvisamente entrato nella loro sfera sociale e operativa, come se avessero appena scoperto questo gruppo a lungo oscurato da quasi un decennio di distorsioni e guerre mediatiche arabe e internazionali: i cosiddetti Houthi.
Per Ansar Allah, il momento di ottobre ha confermato, attraverso il puro coraggio, l’ingegno e lo straordinario sacrificio dei combattenti palestinesi, l’immagine idealizzata, a lungo custodita nell’immaginario arabo, dell’eroico e fedele popolo palestinese. Questa impressione, già radicata nella coscienza rivoluzionaria della resistenza yemenita, ha trovato nuova vita. La giovinezza di Ansar Allah come movimento e il continuo impegno bellico che ne definisce la storia, lo hanno preservato in uno stato di costante prontezza rivoluzionaria e potenziale di mobilitazione, tratti che gli hanno permesso di entrare in forte risonanza con la resistenza palestinese.
Oggi, il rapporto tra le due parti, consolidatosi attraverso il Diluvio e la fusione emotiva e politica sul campo di battaglia, ha raggiunto un livello senza precedenti sia per portata che per natura. Rappresenta un modello unico di allineamento tra un’organizzazione di resistenza palestinese e un movimento politico arabo che governa uno Stato. Attraverso un messaggio mediatico coordinato, immagini e simboli condivisi, legittimazione reciproca e comunicazione strategica, lo Yemen è ormai diventato un’ancora salda per la dimensione araba regionale del Diluvio di Al-Aqsa. Da parte sua, Ansar Allah ha dimostrato la sincerità dei propri slogan e l’autenticità del proprio percorso rivoluzionario.
Nel più ampio panorama politico arabo, questa alleanza tra Hamas e Ansar Allah offre un quadro metodologico e un modello fondante su cui vale la pena costruire: dalle strategie di comunicazione condivise ai meccanismi di promozione dell’unità tra due società arabe geograficamente distanti e distinte, che spesso differiscono in alcuni aspetti dell’interpretazione storica islamica. Rappresenta una potente sfida alle divisioni settarie e un passo avanti verso la costruzione del blocco arabo storico in grado di resistere all’alleanza coloniale-imperiale; un blocco di cui c’è urgente bisogno nel decennio a venire per affrontare sia il potere coloniale che i suoi rappresentanti arabi.
Ecco perché oggi dobbiamo respingere gli sforzi di coloro che si aggrappano a un mondo pre-7 ottobre, in particolare le voci provenienti da entrambe le parti della divisione civile siriana, che cercano di riesumare vecchi disaccordi per seminare divisioni a fini miopi e irresponsabili. Dovremmo invece imparare dal rapporto tra Hamas e Ansar Allah, dallo slancio creato dal diluvio di Al-Aqsa e dalla chiamata alle armi di Muhammad Deif [Comandante delle Brigate ʿIzz al-Dīn al-Qassām, il braccio armato di Hamas, nella Striscia di Gaza – ndt], e costruire su di esso. Qualsiasi altra cosa sarebbe un servizio al sionismo.