Mike Casey, una delle due sole persone che esplicitamente si occupavano di Gaza, ha preferito andarsene piuttosto che fare “ciò che vogliono gli israeliani”

Casey dice che lui e i suoi colleghi sviluppavano strategie per la ricostruzione di Gaza, solo per vedersele sistematicamente rifiutare.
di Joseph Gedeon per The Guardian – Traduzione a cura di Old Hunter
Quando Mike Casey è arrivato a Gerusalemme nel 2020, non era in cerca di bisticci.
Veterano dell’esercito con un periodo in Iraq, entrato nel Dipartimento di Stato per oltre un decennio di incarichi in tutta l’Asia, è arrivato con il misurato ottimismo di un diplomatico di carriera: due anni di formazione in arabo, un potenziale cambio di amministrazione e la possibilità di fare la differenza. Alla fine ha fatto carriera fino a diventare vice consigliere politico del Dipartimento di Stato per Gaza.
Ciò che non aveva previsto era di diventare un testimone chiave di quello che descrive come un sistematico fallimento della politica estera degli Stati Uniti.
“Più ti informi su questo argomento, e più ti rendi conto di quanto sia grave”, ha dichiarato Casey al Guardian.
Casey si è dimesso dal Dipartimento di Stato a luglio dopo quattro anni di lavoro, lasciando l’incarico con discrezione, a differenza di altre recenti dimissioni dal governo di alto profilo. Ora, seduto al tavolo della sua cucina nella tranquilla periferia del Michigan settentrionale, Casey ripensa a come, pur essendo una delle due sole persone nell’intero governo degli Stati Uniti a occuparsi esplicitamente di Gaza, sia diventato un cronista involontario di una catastrofe umanitaria.
“Mi sono veramente stancato di scrivere di bambini morti”, ha detto. “Dover continuamente dimostrare a una catastrofe umanitaria che questi bambini sono morti davvero e poi vedere che non cambiava nulla”.
La funzione del lavoro di Casey comprendeva la documentazione della situazione umanitaria e politica tramite cablogrammi classificati, ricerche e reportage. Ma la sua disillusione non è stata improvvisa. Si è trattato di un lento accumularsi di tradimenti burocratici: ogni rapporto è stato respinto, ogni preoccupazione umanitaria è stata spazzata via dalle convenienze politiche.
“Dovevamo scrivere aggiornamenti quotidiani su Gaza”, ha detto. I colleghi scherzavano sul fatto che si poteva allegare del denaro ai rapporti ma che nessuno li avrebbe letti.
Secondo gli ultimi dati delle Nazioni Unite, più di 45.000 palestinesi sono stati uccisi a Gaza, con il 90% della popolazione sfollata che deve affrontare condizioni umanitarie catastrofiche, sull’orlo della carestia. Nonostante gli interventi legali internazionali – tra cui l’ordine della Corte di Giustizia Internazionale di fermare le operazioni militari a Rafah all’inizio di quest’anno e la prosecuzione delle accuse di crimini di guerra da parte del Tribunale Penale Internazionale contro i leader israeliani – il conflitto continua senza sosta, con gli aiuti umanitari che impediscono a malapena il disastro totale.
Mesi dopo l’inizio dei bombardamenti aerei e della successiva invasione di terra di Gaza dopo l’attacco di Hamas a Israele del 7 ottobre, le riunioni per la pianificazione postbellica sono diventate una particolare fonte di frustrazione.
Casey ha raccontato che lui e i suoi colleghi avevano sviluppato complete strategie per la ricostruzione di Gaza, solo per vederle sistematicamente rifiutate. “Avevamo definito tre punti chiave”, ha spiegato. “Aiuti umanitari, infrastrutture di sicurezza e governance. Abbiamo sottolineato la necessità di collegare Gaza con la Cisgiordania, spingendo affinché l’Autorità Palestinese affermasse il proprio controllo su Gaza a livello governativo e ministeriale e di indire prima o poi delle elezioni”.
Ma ogni proposta, sia con i rapporti che con le riunioni a Washington, avevano la stessa risposta: “A ogni idea che ci veniva in mente, [l’amministrazione Biden] rispondeva semplicemente: ‘Beh, gli israeliani hanno un’idea diversa’”.
Le proposte israeliane – tra cui quelle che prevedevano la gestione di Gaza da parte dei clan locali – gli sono sembrate non solo impraticabili, ma anche deliberatamente distruttive.
“Abbiamo scritto numerosi rapporti e cablogrammi per spiegare perché non avrebbe funzionato”, ha detto. “Non è nel nostro interesse avere i signori della guerra a capo di Gaza”.
Una descrizione interna delle mansioni ottenuta dal Guardian ha confermato il ruolo di Casey, che era il “responsabile delle relazioni politiche sulle questioni di politica interna e della sicurezza nella Striscia di Gaza e sulle questioni per la riconciliazione palestinese”.
“L’ufficiale guida gli sforzi inter-agenzie della Missione a Gaza e fa da supporto per le questioni economiche di Gaza”, si legge ancora.
L’ufficio per gli affari palestinesi era stato formalmente istituito nel 2022 e avrebbe dovuto rappresentare un pilastro dell’impegno, della comunicazione, della politica e dell’analisi degli Stati Uniti per quanto riguarda l’Autorità Nazionale Palestinese e i territori, che ospitavano un paio di dozzine di americani e circa 75 dipendenti locali.
Le sue radici erano nel Consolato generale degli Stati Uniti a Gerusalemme, che si è poi fuso con l’ambasciata statunitense quando nel 2019 l’allora presidente Donald Trump ha dichiarato Gerusalemme capitale di Israele.
Tuttavia, la sua influenza è stata oscurata dalla più ampia risposta del Dipartimento di Stato durante questo conflitto, che ha assunto la guida degli sforzi diplomatici di alto livello, come la de-escalation e i negoziati, il coordinamento della sicurezza con Israele e l’impegno con altri alleati regionali e internazionali. Il Consiglio di sicurezza nazionale svolge inoltre un ruolo centrale nello sviluppo e nell’attuazione della politica statunitense, fornendo consulenza al presidente e al Pentagono, fornendo aiuti militari a Israele.
In risposta alle affermazioni di Casey, un portavoce del Dipartimento di Stato ha dichiarato al Guardian: “Abbiamo ripetutamente detto che Israele non solo deve rispettare il diritto umanitario internazionale, ma deve anche fare ogni passo possibile per prevenire danni ai civili – questo è un imperativo morale e strategico”.
Quando Trump ha lasciato l’incarico, Casey aveva inizialmente sperato che l’amministrazione Biden avrebbe rappresentato un approccio più equilibrato, ma invece in ogni occasione lo ha deluso.
Un momento particolarmente irritante è stato all’inizio della guerra, quando Joe Biden mise pubblicamente in dubbio il numero delle vittime, stimate in circa 8.300 morti in meno di un mese, numeri che Casey stesso aveva documentato.
“Ero io a scrivere i rapporti”, ha detto. “Che senso ha che io scriva queste cose, se poi voi le ignorate?”.

Edifici distrutti a Gaza.
Il Consiglio di sicurezza nazionale della Casa Bianca non ha risposto a una richiesta di commento.
A differenza dei suoi precedenti incarichi diplomatici in Malesia, Cina e Pakistan, Casey ha trovato i negoziati diretti con i funzionari israeliani fondamentalmente diversi per quanto riguarda il modo in cui gli Stati Uniti usano la loro influenza.
“In Malesia, se non collaboravi, potevi essere sanzionato”, spiega Casey. “Con il Pakistan, potevamo togliere i programmi di addestramento, interrompere alcuni aiuti”.
“Ma con gli israeliani è completamente diverso. Loro devono solo trascinare i negoziati e alla fine noi accetteremo qualsiasi cosa vogliano ottenere”.
Alla richiesta di un commento, il portavoce del Ministero degli Affari Esteri israeliano Oren Marmorstein ha dichiarato: “Non vediamo la necessità di rispondere ad accuse infondate che derivano unicamente dalla frustrazione di un ex dipendente”.
Quando Casey se n’è andato, a luglio, i palestinesi avevano ricevuto circa 674 milioni di dollari di assistenza totale da parte degli Stati Uniti, rispetto al record della Casa Bianca di 17,9 miliardi di dollari in aiuti militari a Israele nel corso dell’anno fino a ottobre. A un certo punto, Biden ha firmato una legge che proibiva per un anno di finanziare l’Unrwa, che sostiene i rifugiati palestinesi nella regione come parte del pacchetto di stanziamenti federali di quest’anno pari a 1,2 miliardi di dollari, anche se i finanziamenti per l’Unrwa Usa – che è un’entità separata – sono ripresi.
Casey non è l’unico collaboratore di carriera a vari livelli della politica estera statunitense a provare frustrazione e disillusione. Nell’ultimo anno si sono verificate dimissioni di alto profilo dal Dipartimento di Stato, tra cui il direttore degli affari politico-militari Josh Paul, il vice assistente segretario per gli affari israelo-palestinesi Andrew Miller, la responsabile degli affari esteri Annelle Sheline e la diplomatica Hala Rharrit.
Ma ciò che colpisce del percorso di Casey è l’entità della sua vicinanza e della sua analisi politica diretta con il conflitto e l’uscita di scena silenziosa che non ha comportato dimissioni pubbliche.
“Ero troppo imbarazzato per continuare a essere un diplomatico americano”, ha detto. “Sapevo che non avrei potuto andare ad un altro incarico o funzione”.
Per alcuni analisti delle questioni mediorientali, l’approccio dell’amministrazione che ha portato alle dimissioni dei funzionari ha raggiunto un livello di disfunzione eccezionale nel suo immobilismo.
“Ci siamo incontrati per parlare di un cessate il fuoco per molti, molti mesi”, ha detto Khaled Elgindy, direttore del programma del Middle East Institute sulla Palestina e sugli affari israelo-palestinesi, che spesso incontra e consiglia i funzionari dell’amministrazione. “La cosa che mi ha colpito è quanto poco si siano mossi. Ogni volta che li abbiamo visti, è stato notevole. Non c’è stato alcuno spostamento dell’ago, praticamente niente”.
Per altri, le stesse metriche dell’amministrazione sono diventate un atto d’accusa ai suoi approcci.
Yousef Munayyer, responsabile del programma Palestina/Israele presso l’Arab Center di Washington DC, ha osservato che la gestione degli aiuti umanitari ha raggiunto “un livello così basso che non credo si sia mai visto prima”.
Ha descritto una strategia calcolata in cui l’amministrazione “sta deliberatamente usando questo strumento degli aiuti umanitari come un modo per guadagnare tempo e diffondere un po’ di tensione tra la propria base per dimostrare che sta cercando di fare qualcosa”.
A ottobre, gli Stati Uniti hanno dato a Israele un ultimatum di 30 giorni, chiedendo in una lettera poi trapelata almeno 350 camion di aiuti umanitari a Gaza. Nonostante le richieste esplicite e i livelli di aiuti che sono crollati ben al di sotto dei parametri di riferimento, l’amministrazione Biden ha spiegato che non avrebbe limitato gli accordi sulle armi allo scadere dell’ultimatum sebbene avesse visto progressi limitati.
Gli ultimi dati forniti da Mercy Corps e da altre agenzie di aiuti hanno rilevato che la crisi umanitaria di Gaza sta ancora scendendo al di sotto dei livelli indispensabili per soddisfare i bisogni umani fondamentali, con appena 65 camion di aiuti che entrano a Gaza ogni giorno – una riduzione rispetto alla media prebellica di 500 camion.
Lontano dalla diplomazia, Casey lavora ora in una banca locale, dove osserva da lontano ma le sue critiche vanno ben oltre la singola amministrazione. Vede il fallimento di un sistema nella politica degli Stati Uniti verso i palestinesi, una totale assenza di una strategia coerente che a sua volta danneggia anche gli israeliani e che rimane visceralmente personale.
“Ricordo due bambini uccisi in un attentato alla fermata dell’autobus a Gerusalemme che avevano la stessa età dei miei figli”, ha detto Casey. Si vede anche in Israele l’effetto che il conflitto ha sulle persone. . Gli israeliani meritano di meglio, e non solo i palestinesi”.
La sua valutazione finale?
“Non abbiamo una politica sulla Palestina. Facciamo solo quello che gli israeliani vogliono che noi facciamo”.