Questa settimana Putin ha lasciato intendere che il conflitto in Ucraina potrebbe concludersi nel giro di poche settimane, perciò Trump potrebbe non dover aspettare a lungo.

di Alastair Crooke su The Unz Review – Traduzione a cura di Old Hunter
Come fare l’impossibile? L’America è istintivamente una potenza espansionista, che ha bisogno di nuovi campi da conquistare; nuovi orizzonti finanziari da padroneggiare e sfruttare. Gli USA sono fatti in questo modo. E lo sono sempre stati.
Ma – se siete Trump, che vuole ritirarsi dalle guerre alla periferia dell’impero, e che comunque vuole dare un’immagine brillante di un’America muscolosa che si espande e dirige la politica e la finanza globale – come fare?
Ebbene, il Presidente Trump – da sempre uomo di spettacolo – ha una soluzione. Disdegnare l’ideologia intellettuale, ormai screditata, dell’egemonia muscolare americana a livello globale; suggerire piuttosto che queste precedenti “guerre per sempre” non avrebbero mai dovute essere realmente “le nostre guerre”; e, come ha avanzato e suggerito Alon Mizrahi, iniziare a ricolonizzare ciò che era già stato colonizzato: Canada, Groenlandia, Panama – e anche l’Europa, naturalmente.
L’America sarà quindi più grande; Trump agirà con decisa muscolarità (come in Colombia); farà un grande “show”, ma allo stesso tempo ridurrà l’interesse principale degli Stati Uniti per la sicurezza per concentrarlo nell’emisfero occidentale. Come continua a osservare Trump, gli americani vivono nell'”emisfero occidentale”, non in Medio Oriente o altrove.
Trump tenta così di staccarsi dalla periferia bellica espansionistica americana – ‘l’esterno’ – per proclamare che ‘l’interno’ – cioè la sfera dell’emisfero occidentale – è diventato più grande ed è indiscutibilmente americano. Ed è questo che conta.
È un cambiamento importante, ma ha il pregio di iniziare a essere riconosciuto da molti americani come un riflesso più accurato della realtà. L’istinto americano rimane espansivo – e questo non cambia -, ma molti americani sono favorevoli a concentrarsi sui bisogni interni dell’America e del suo “vicinato”.
Mizrahi chiama questo aggiustamento dall’interno verso l’esterno “autocannibalizzazione”: l’Europa fa parte della sfera di interesse occidentale. In effetti, “l’Europa” si considera la sua [dell’America] progenitrice, eppure il team di Trump ha iniziato a ricolonizzarla, anche se in chiave Trump.
Robert Cooper, un alto diplomatico britannico inviato a Bruxelles, nel 2002 ha notoriamente coniato il termine imperialismo liberale come nuovo scopo dell’Europa. Si trattava di un imperialismo del soft-power. Tuttavia, Cooper non riusciva ancora a liberarsi dell'”orientalismo da vecchio impero” europeo, e scriveva:
“La sfida per il mondo postmoderno è abituarsi all’idea di due pesi e due misure. Tra di noi, operiamo sulla base di leggi e di una sicurezza cooperativa aperta. Ma quando abbiamo a che fare con gli Stati più antiquati al di fuori del continente europeo postmoderno, dobbiamo tornare ai metodi più rudi di un’epoca precedente: forza, attacco preventivo, inganno, tutto ciò che è necessario per affrontare coloro che vivono ancora nel mondo ottocentesco di ogni Stato per sé. Tra di noi, però, rispettiamo la legge: Ma quando operiamo nella giungla, dobbiamo usare anche le leggi della giungla“.
La visione del mondo di Cooper ha influenzato il pensiero di Tony Blair e lo sviluppo della politica di sicurezza e difesa europea.
Tuttavia, l’élite dell’UE ha iniziato a vedersi con ottimismo come avente uno status di “impero” (vero) di vertice (influenza globale), basato sul suo controllo normativo di un mercato di 400 milioni di consumatori. Non ha funzionato. L’UE aveva adottato lo stratagemma di Obama che prometteva un quadro di “controllo mentale” che afferma che la realtà può essere “creata” tramite una narrazione gestita.
Agli europei non è mai stato detto in modo appropriato che un impero transnazionale dell’UE implicava (e pretendeva) la rinuncia al loro sovrano processo decisionale parlamentare. Loro immaginavano, piuttosto, di entrare a far parte di un’area di libero scambio. Invece, venivano portati a un’identità UE in modo furtivo e con l’attenta gestione di una “realtà” UE confezionata.
Quell’aspirazione all’impero liberale europeo, sulla scia dell’assalto culturale di Trump a Davos, sembra molto sorpassata. L’atmosfera accenna piuttosto al passaggio da uno zeitgeist culturale a un altro.
Elon Musk sembra avere il compito di far uscire Germania e Gran Bretagna dalla vecchia visione del mondo e di farle entrare in quella nuova. Questo è importante per il programma di Trump, poiché questi due stati sono i principali agitatori della guerra per sostenere un primato globale, piuttosto che un primato nell’emisfero occidentale. I fallimenti decisionali dell’Europa negli ultimi anni, tuttavia, rendono l’Europa un bersaglio ovvio per un Presidente determinato a un radicale cambiamento culturale.
C’è un precedente per la strategia Inside-Out di Trump: anche la vecchia Roma si ritirò dalle sue province imperiali periferiche per concentrarsi sul suo nucleo, quando le guerre lontane prosciugarono troppe risorse al centro e il suo esercito fu surclassato sul campo. Roma non avrebbe mai ammesso apertamente la ritirata.
Il che ci riporta all’attuale “soluzione radicale Inside-Out”: che sembra consistere in un “andare come un turbine demente” a livello nazionale, che è ciò che più conta per la sua base, e, nella sfera internazionale, proiettare confusione e imprevedibilità. Continuare a ripetere gli slogan ideologici e le statistiche controfattuali dell’antico regime, ma poi rinforzare il tutto con occasionali commenti contrari e superficiali – come dire, in riferimento al cessate il fuoco di Gaza, che è “la loro [di Israele] guerra”, e che gli interessi di Israele potrebbero non essere sempre quelli degli Stati Uniti e, apparentemente come inciso, che Putin potrebbe aver già deciso di “non fare un accordo” sull’Ucraina.
Denigrare Putin come perdente in Ucraina forse era più indirizzato al Senato degli Stati Uniti e alle sue udienze di conferma in corso. Trump ha fatto questi commenti giorni prima che Tulsi Gabbard affrontasse le udienze del Senato. La Gabbard è già criticata dai “falchi” degli Stati Uniti per aver presumibilmente nutrito sentimenti “pro-Putin”, oltre a essere stata sottoposta a una campagna mediatica diffamatoria da parte dello stato profondo.
L’apparente mancanza di rispetto di Trump nei confronti di Putin e della Russia (che ha causato l’ira russa) era rivolta principalmente ai senatori degli Stati Uniti? (Il Senato ospita alcuni dei più convinti “never-Trumpers” [mai-più-per Trump]).
E i commenti oltraggiosi di Trump sulla “pulizia” dei palestinesi di Gaza in Egitto o Giordania – coordinati con Netanyahu, secondo un ministro israeliano – erano destinati principalmente alle orecchie della destra israeliana? Secondo quel ministro, la questione dell’incoraggiamento alla migrazione volontaria dei palestinesi è ora tornata all’ordine del giorno, proprio come i partiti di destra desideravano da tempo, e molti nel Likud di Netanyahu avevano sperato. Musica per le loro orecchie.
Si è trattato allora di una mossa preventiva di Trump, progettata per salvare il governo di Netanyahu da un imminente collasso sulla seconda fase del cessate il fuoco e dalla minaccia di un’uscita del suo contingente di destra? Il pubblico di riferimento di Trump in questo caso erano allora i ministri Ben Gvir e Smotrich?
Trump ci confonde volutamente, non chiarendo mai a quale pubblico si rivolge in ogni momento con le sue riflessioni.
C’è comunque una qualche sostanza sedimentata nel commento di Trump secondo cui qualsiasi stato palestinese deve essere risolto “in un modo diverso” rispetto alla formula dei due stati? Forse. Non dovremmo sottovalutare le forti inclinazioni di Trump verso Israele.
Netanyahu affronta dure critiche per aver gestito male sia il cessate il fuoco di Gaza che quello libanese. È stato colpevole di aver promesso una cosa a una parte e il contrario all’altra – un vecchio vizio – : ha promesso alla destra un ritorno alla guerra a Gaza, ma si è impegnato a porre fine inequivocabilmente alla guerra nell’effettivo accordo di cessate il fuoco. In Libano, Israele si è impegnato a ritirarsi entro il 26 gennaio da un lato, ma il suo esercito è ancora lì, provocando un’ondata umana di libanesi che tornano a sud, sperando di poter reclamare le loro case.
Di conseguenza, Netanyahu in questo momento è totalmente dipendente da Trump. Gli stratagemmi del PM non saranno sufficienti a tirarlo fuori dai guai: Trump lo ha dove vuole. Trump otterrà il cessate il fuoco e dirà a Netanyahu, nessun attacco all’Iran – almeno finché Trump non avrà esplorato la possibilità di un accordo con Teheran.
Con Putin e con la Russia, è il contrario. Trump lì non ha alcuna leva – la parola preferita a Washington. Non ha alcuna leva per quattro motivi:
- In primo luogo, perché la Russia rifiuta fermamente l’idea di qualsiasi compromesso che “si riduca al congelamento del conflitto lungo la linea di ingaggio, ciò darebbe tempo agli Stati Uniti e alla NATO di riarmare i resti dell’esercito ucraino – e quindi iniziare un nuovo ciclo di ostilità”.
- In secondo luogo, perché le condizioni poste da Mosca per porre fine alla guerra si riveleranno inaccettabili per Washington, in quanto non potrebbero essere presentate come una “vittoria” americana.
- In terzo luogo, perché la Russia ha un chiaro vantaggio militare: l’Ucraina sta per perdere questa guerra. Le principali roccaforti ucraine vengono ora conquistate dalle forze russe senza opporre resistenza. Questo porterà a un effetto a cascata. L’Ucraina potrebbe cessare di esistere se non si svolgeranno negoziati seri prima dell’estate, ha avvertito di recente il capo dell’intelligence militare ucraina Kyrylo Budanov.
- Ma in quarto luogo, perché la storia non si riflette affatto nella parola “leva”. Quando i popoli che occupano la stessa geografia hanno versioni diverse e spesso inconciliabili della storia, la transazione occidentale “dividere lo spettro di potere” semplicemente non funziona. Le parti contrapposte non si sposteranno, a meno che una soluzione non riconosca e tenga conto della loro storia.
Gli USA devono sempre “vincere”. Quindi Trump capisce che le dinamiche ineluttabili di questa guerra militano contro la presentazione di qualsiasi risultato frutto di una transazione come una chiara “vittoria” per gli USA? Certo che lo capisce (o lo dovrà capire, quando sarà professionalmente informato dal suo team).
Per essere schietti, la logica della situazione in Ucraina suggerisce che il presidente Putin dovrebbe consigliare discretamente al presidente Trump di allontanarsi dal conflitto ucraino, per evitare di assumersi la responsabilità di un disastro occidentale.
Questa settimana Putin ha lasciato intendere che il conflitto in Ucraina potrebbe concludersi nel giro di poche settimane, quindi Trump potrebbe non dover aspettare a lungo.
Se Trump volesse una “vittoria” – altamente probabile -, allora dovrebbe farsi guidare dai suggerimenti numerosi di Putin: gli schieramenti di missili intermedi da entrambe le parti stanno creando un rischio elevato e “chiedono a gran voce” un nuovo accordo per una limitazione. Trump potrebbe dire di averci salvato tutti dalla Terza Guerra Mondiale, e potrebbe esserci più di un granello di verità in questo.