L’ultimatum di Trump all’Iran? Il colonnello Doug Macgregor lo paragona a quello che l’Austria-Ungheria consegnò alla Serbia nel 1914: un’offerta, in breve, che “non poteva essere rifiutata”. La Serbia accettò nove delle dieci richieste. Ma ne rifiutò una, e l’Austria-Ungheria dichiarò immediatamente guerra.

Titolo originale: ‘Break-a-Leg’ (that old Mafia warning) — Trump has threatened Iran over an ultimatum that likely cannot be met, Alastair Crooke, Conflicts Forum, 3 aprile 2025 – Traduzione a cura di Old Hunter
L’ultimatum di Trump all’Iran? Il colonnello Doug Macgregor lo paragona a quello che l’Austria-Ungheria consegnò alla Serbia nel 1914: un’offerta, in breve, che “non poteva essere rifiutata”. La Serbia accettò nove delle dieci richieste. Ma ne rifiutò una, e l’Austria-Ungheria dichiarò immediatamente guerra.
Il 4 febbraio, poco dopo il suo insediamento, il presidente Trump ha firmato un Memorandum presidenziale sulla sicurezza nazionale (NSPM), vale a dire una direttiva giuridicamente vincolante che richiede alle agenzie governative di eseguire con precisione le azioni specificate.
Le richieste sono che all’Iran venga negata un’arma nucleare; che vengano negati missili intercontinentali e che vengano negate altre capacità di armi asimmetriche e convenzionali. Tutte queste richieste vanno oltre il TNP e l’attuale JCPOA. A tal fine, l’NSPM ordina che venga imposta la massima pressione economica; che il Tesoro degli Stati Uniti agisca per portare le esportazioni di petrolio dell’Iran a zero; che gli Stati Uniti lavorino per innescare l’immediato sblocco delle sanzioni del JCPOA; e che la “maligna influenza all’estero” dell’Iran – i suoi “proxy” – venga neutralizzata.
Le sanzioni ONU per lo sblocco scadono a ottobre, quindi il tempo a disposizione per soddisfare i requisiti procedurali per attuarlo è breve. Tutto ciò suggerisce il perché Trump e i funzionari israeliani danno la primavera come scadenza per un accordo negoziato.
L’ultimatum di Trump all’Iran sembra spingere gli Stati Uniti verso una strada in cui la guerra è l’unica soluzione, come accadde nel 1914, un risultato che alla fine innescò la Prima guerra mondiale.
Potrebbe trattarsi solo di spacconate di Trump? Forse, ma sembra proprio che Trump stia emettendo richieste legalmente vincolanti che deve aspettarsi non possano essere soddisfatte. L’accettazione delle richieste di Trump lascerebbe l’Iran neutralizzato e privato della sua sovranità, come minimo. C’è anche un “tono” implicito in queste richieste, che è quello di minacciare e aspettarsi un cambio di regime in Iran come risultato.
Sarà anche una fanfaronata di Trump, ma il Presidente ha una “forma” (convinzioni passate) su questo tema. Ha sfacciatamente aderito alla linea di Netanyahu sull’Iran, secondo cui il JCPOA (o qualsiasi accordo con l’Iran) era “cattivo”. Nel maggio 2018, Trump ha ritirato gli Stati Uniti dal JCPOA su richiesta di Netanyahu e ha invece emesso una nuova serie di 12 richieste all’Iran, tra cui l’abbandono permanente e verificabile del suo programma nucleare in perpetuo e la cessazione di tutto l’arricchimento dell’uranio.
Qual è la differenza tra le precedenti richieste di Trump e quelle di questo febbraio? In sostanza sono le stesse, tranne che oggi dice: se l’Iran “non fa un accordo, ci saranno bombardamenti. Saranno bombardamenti come non ne hanno mai visti prima”.
Quindi, c’è sia la storia, sia il fatto che Trump è circondato – almeno su questo tema – da una cabala ostile di sostenitori di Israele e di super falchi. Witkoff è presente, ma è poco preparato sulle questioni. Anche Trump si è dimostrato virtualmente totalitario nei confronti di qualsiasi critica a Israele nell’accademia americana. E a Gaza, in Libano e in Siria, sostiene totalmente l’agenda provocatoria ed espansionistica di estrema destra di Netanyahu.
Queste attuali richieste riguardanti l’Iran sono anche in contrasto con l’ultima valutazione annuale delle minacce dell’intelligence degli Stati Uniti del 25 marzo 2025, secondo cui l’Iran NON sta costruendo un’arma nucleare. Questa valutazione dell’intelligence è di fatto ignorata. Pochi giorni prima della sua pubblicazione, il consigliere per la sicurezza nazionale di Trump, Mike Waltz, ha chiaramente affermato che l’amministrazione Trump sta cercando il “pieno smantellamento” del programma di energia nucleare dell’Iran: “L’Iran deve rinunciare al suo programma in un modo che il mondo intero possa vedere“, ha affermato Waltz. “È tempo che l’Iran rinunci completamente al suo desiderio di avere un’arma nucleare“.
Da un lato, sembra che dietro questi ultimatum ci sia un Presidente reso “indispettito e arrabbiato” dalla sua incapacità di porre fine quasi immediatamente alla guerra in Ucraina – come aveva inizialmente ipotizzato – insieme alle pressioni di un Israele amaramente diviso e di un Netanyahu instabile che vorrebbe comprimere la tempistica per una rapida “eliminazione” del “regime” iraniano (che, si sostiene, non è mai stato così debole). Tutto questo affinché Israele possa normalizzare la situazione nel Libano – e persino in Siria. E con l’Iran presumibilmente “disattivato”, perseguire l’attuazione del progetto del Grande Israele per normalizzarsi in tutto il Medio Oriente.
Il che, d’altro canto, consentirà a Trump di perseguire il grande cambiamento “da tempo atteso” verso la Cina. (La Cina dal punto di vista energetico è vulnerabile: un cambio di regime a Teheran sarebbe una calamità per i cinesi).
Per essere chiari, anche la strategia cinese di Trump deve essere messa in atto, per far avanzare i piani di riequilibrio del sistema finanziario di Trump. Perché, se la Cina si sentisse assediata, potrebbe benissimo fungere da guastafeste per la rielaborazione del sistema finanziario americano e globale da parte di Trump.
Il Washington Post riferisce di una nota “segreta” del Pentagono, redatta da Hegseth, secondo cui “la Cina [ora] è l’unica minaccia del Dipartimento, [insieme] alla negazione di una presa di Taiwan come fatto compiuto da parte della Cina – mentre contemporaneamente si difende la patria degli Stati Uniti”.
Il “force planning construct” (un concetto di come il Pentagono costruirà e metterà a disposizione le risorse dei servizi armati per affrontare le minacce percepite) prenderà in considerazione solo il conflitto con Pechino quando pianificherà le contingenze per una guerra tra grandi potenze, si legge nella nota del Pentagono, lasciando che la minaccia di Mosca sia in gran parte gestita dagli alleati europei.
Trump vuole acquisire un potere sufficientemente forte da poter minacciare militarmente la Cina e, pertanto, vuole che Putin accetti rapidamente un cessate il fuoco in Ucraina, in modo che le risorse militari possano essere rapidamente trasferite sul teatro cinese.
Nel suo volo di ritorno a Washington di domenica sera, Trump ha ribadito il suo fastidio nei confronti di Putin, ma ha aggiunto “Non credo che tornerà sulla parola data, lo conosco da molto tempo. Siamo sempre andati d’accordo“. Alla domanda su quando avrebbe voluto che la Russia accettasse un cessate il fuoco, Trump ha detto che c’era una “scadenza psicologica” – “Se penso che ci stiano prendendo in giro, non ne sarò felice“.
Lo sfogo di Trump contro la Russia potrebbe forse avere un elemento da reality-TV. Per il suo pubblico interno, deve essere percepito come colui che porta “pace tramite la forza” – per mantenere l’aspetto di maschio alfa, affinché la verità della sua mancanza di influenza su Putin non diventi fin troppo evidente per il pubblico americano e per il mondo.
Parte della frustrazione di Trump potrebbe essere dovuta anche alla sua formazione culturale di uomo d’affari newyorkese, secondo cui un accordo consiste nel dominare prima i negoziati e poi nel “ridurre rapidamente le differenze”. Tuttavia, non è così che funziona la diplomazia. L’approccio transazionale riflette anche profondi difetti concettuali.
Il processo del cessate il fuoco in Ucraina è in stallo, non a causa dell’intransigenza russa, ma piuttosto perché il Team Trump ha stabilito che il raggiungimento di un accordo in Ucraina debba avvenire innanzitutto insistendo su un cessate il fuoco unilaterale e immediato, senza introdurre una governance temporanea per consentire le elezioni in Ucraina, e senza neppure affrontare le cause profonde del conflitto. E in secondo luogo, perché Trump si è precipitato, senza ascoltare cosa dicevano i russi e/o senza ascoltarli.
Ora che le iniziali formalità sono finite e la Russia afferma senza mezzi termini che le attuali proposte di “cessate il fuoco” sono semplicemente inadeguate e inaccettabili, Trump si arrabbia e si scaglia contro Putin, affermando che dazi del 25% sul petrolio russo potrebbero essere imposti IN QUALSIASI momento.
Putin e l’Iran sono ora entrambi sotto “scadenza” (una “psicologica” nel caso di Putin), in modo da consentire a Trump di procedere con minacce credibili alla Cina affinché giunga presto a un “accordo”, mentre l’economia globale sta già vacillando.
Trump si infuria e sputa fuoco. Cerca di accelerare le cose facendo una grande scenata di bombardamenti degli Houthi, vantandosi che sono stati duramente colpiti, con “molti” leader Houthi uccisi. Eppure, tale insensibilità verso le morti dei civili yemeniti si sposa male con la sua dichiarata e straziante empatia per le migliaia di “bei” giovani ucraini che muoiono inutilmente in prima linea.
Tutto diventa reality-TV.
Trump minaccia l’Iran con “bombardamenti come non ne hanno mai visti prima” per un ultimatum che probabilmente non può essere rispettato. In parole povere, questa minaccia (che include il possibile uso di armi nucleari) non viene data perché l’Iran rappresenta una minaccia per gli Stati Uniti. Non lo è. Ma viene data come un’opzione. Un piano; come un “oggetto” posto con calma sul tavolo geopolitico e destinato a diffondere paura. “Città piene di bambini, donne e anziani da uccidere: non è moralmente sbagliato. Non è un crimine di guerra “.
No. Solo la “realtà” che Trump considera il programma nucleare iraniano una minaccia esistenziale per Israele. E che gli USA sono impegnati a usare la forza militare per eliminare le minacce esistenziali per Israele.
Questo è il cuore dell’ultimatum di Trump. È dovuto al fatto che è Israele, non l’America e neppure la comunità di intelligence statunitense, a considerare l’Iran una minaccia esistenziale. Il professor Hudson, parlando con conoscenza diretta della politica di fondo (vedi qui e qui), afferma: “NON è solo che Israele, così come lo conosciamo, deve essere sicuro e protetto e libero dal terrorismo“. Questa è la “linea” di Trump e del suo team; questa è anche la narrativa di Israele e dei suoi sostenitori. “Ma la mentalità [dietro di essa] è diversa“, afferma Hudson.
Ci sono circa 2-3 milioni di israeliani che si considerano destinati a controllare tutto ciò che ora chiamiamo Medio Oriente, il Levante, quello che alcuni chiamano Asia Occidentale e altri chiamano “Grande Israele”. Questi sionisti credono di essere stati incaricati da Dio di prendere questa terra e che tutti coloro che si oppongono a loro siano Amalek. Credono che gli Amalek siano consumati da un desiderio travolgente di uccidere gli ebrei e che quindi debbano essere annientati.
La Torah riferisce la storia di Amalek: Parshat Ki Teitzei, quando la Torah afferma, machoh timcheh et zecher Amalek – che dobbiamo cancellare la memoria di Amalek. “Ogni anno noi [ebrei] siamo obbligati a leggere – non come Dio distruggerà Amalek – ma come noi dovremmo distruggere Amalek“. (Anche se molti ebrei si chiedono come conciliare questa mitzvà [enigma] con i loro valori contrari e radicati di compassione e misericordia).
Questo comandamento nella Torah è in effetti uno dei fattori chiave che stanno alla radice dell’ossessione di Israele per l’Iran. Gli israeliani percepiscono l’Iran come una tribù di Amalek che complotta per uccidere gli ebrei. Nessun accordo, nessun compromesso è quindi possibile. Riguarda anche, naturalmente, la sfida strategica dell’Iran (seppur laica) allo stato israeliano.
E ciò che ha reso l’ultimatum di Trump così pressante dal punto di vista di Washington, a parte le considerazioni sul perno cinese, è stato l’assassinio di Sayyed Hassan Nasrallah. Quell’assassinio ha segnato un grande cambiamento nel pensiero degli Stati Uniti, perché, prima di allora, vivevamo in un’era di calcoli accurati; mosse incrementali su una scala mobile. Ciò che si capisce ora è che “non stiamo più giocando a scacchi”. Non ci sono più regole.
Israele (Netanyahu) sta dando il massimo su tutti i fronti per attenuare le divisioni e i disordini interni di Israele, infiammando il fronte iraniano, anche se questa strategia potrebbe minacciare la distruzione di Israele.
Quest’ultima prospettiva segna la più rossa delle “linee rosse” verso le radicate strutture dello Stato profondo.